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Il futuro dei media risulta più complicato di quanto si potesse pensare , ma sarà in ogni caso all’ insegna dell’ ibridazione. E’ quanto è emerso dal Media Technology Summit (organizzato dalla Scuola di giornalismo dell’ Università di California-Berkeley in uno spazio appartenente a Google), riporta Francis Pisani sul suo blog su lemonde.fr.*
D’ altra parte, sostiene Pisani, l’ ibridazione è ‘’la migliore risposta in tempi di transizione, dal momento che permette di cercare in più direzioni cotemporaneamente’’. E ‘’si manifesta – aggiunge – per lo meno in tre campi: articoli, modelli economici e produzione di notizie’’.
1 – L’ utilizzazione dei dati come parte integrante del giornalismo comincia a fare capolino. Ne abbiamo avuto una brillante dimostrazione col progetto OpenCalais – rileva Pisani -. Questa tecnologia (messa a apunto dalla Reuters), che rappresenta una delle tessere del puzzle ‘’web semantico’’, prolunga la vita degli articoli traducendo i testi in metadati (persone, luoghi, date, ecc.), e quindi in elementi che i computer possono leggere. In parole povere questo sistema trasforma le storie che noi raccontiamo in ‘’fatti’’, in elementi utilizzabili dai database.
A questo bisogna aggiungere la nozione proposta da Richard Gingras, patron di Salon.com, secondo cui “il prodotto finale del giornalismo non è più l’ articolo ma la pagina degli argomenti’’. E’ la prova che stiamo passando da un prodotto a un processo e questo richiede, in un modo o in altro, una bella collaborazione fra algoritmi e giornalisti.
2 – Sul piano del business, se tutti sono d’ accordo per dire che il modello tradizionale è ‘’cancellato’’, nessuno ha ancora trovato la ‘’martingala’’ che permetterà di finanziare il giornalismo del XXI secolo. Quindi ciascuno cerca di portare il suo elemento di soluzione e tutti riconoscono che dovranno tentare diversi bouquet.
La pubblicità sul web continua a crescere ma è suddivisa in tanti supporti che il suo impatto su ciascuno di essi ha poche possibilità di essere sufficiente.
Marshall Van Alstyne, della Boston University, ha insistito sulla nozione di “Freemium” (una parte parte gratuita e una parte premium, pagante) spiegando che bisogna “donare quello che non si può possedere’’ – e cioè i fatti – e condurre gli utenti “alle cose che si può possedere”: il modo di dare valore. Pert esempio: è impossibile far pagare le informazioni sui risultati delle elezioni americane, ma il New York Times potreb be far pagare le sue mappe interattive .
In mancanza di un business model chiaro, molti stanno valutando l’ ipotesi di imprese non-profit. E’ possibile (soprattutto negli Stati Uniti, dove la legge è favorevole) ma questo non può essere che una parte della soluzione, secondo John Thornton, che si appresta a lanciare la Texas Tribune su questo modello e dice di essere convinto che “la filantropia può riempire una parte del vuoto’’… una parte soltanto.
Meno di un anno dopo che Barack Obama ha dimostrato che si possono raccogliere delle somme colossali sul web a partire da modesti contributi, tutti pensano a sollecitare gli utenti. E’ possibile, come dimostra NPR, la radio pubblica Usa, ma Ellen Weiss, che ne è vicepresidente ricorda che ci vogliono “5 anni per trasformare un ascoltatore in membro pagante’’. Molto lento.
3 – Il terzo ”meticciato’ è il frutto della collaborazione fra quella che un tempo era l’ audience e i giornalisti. Sempre più media vi si lanciano. E’ il caso, per esempio, di True/Slant come del rapporto fra iReport e CNN o di MissionLocal , il lavoro realizzato da alcuni studenti in giornalismo di Berkeley nel quartiere della Missione a San Francisco.
Il mio solo rammarico – rileva Pisani – è che se ci hanno mostrato diversi siti in cui l’ informazione viene elaborata dagli utenti in collaborazione con dei giornalisti, nessuno ci ha spiegato le difficoltà (né l’ interesse) di una tale impresa, né come si fa concretamente.
Complessivamente – conclude – ho trovato incoraggiante comunque questa accettazione delle soluzioni miste perché dimostrano che le esperienze si moltiplicano sotto tutti i cieli e che gli spiriti si aprono.
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*L’ articolo ci era sfuggito. Risale al 2 ottobre, ma ne pubblichiamo ugualmente la traduzione, anche se in ritardo, perché ci sembra una sintesi molto efficace, ndr.