Il giornalismo, il premio Pulitzer e lo schema-Ponzi
Su Poynter online, Roy J. Harris Jr. racconta come il famosissimo Premio Pulitzer debba in gran parte la sua fortuna alla scoperta dello schema truffaldino da parte di una squadra di cronisti del Boston Post
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La rete d’ investimenti fraudolenti messa in piedi da Bernard Mandoff ha riportato in prima pagina il famoso ‘’schema-Ponzi’’, la truffa ideata dal famoso ciarlatano di Boston Charles Ponzi (nella foto), che consisteva, semplicemente, nel pagare i primi investitori con i soldi degli investitori successivi, e così via.
Ciclicamente, nuovi fatti di cronaca ridanno luce alla vicenda, ma è raro che si aggiungano nuovi particolari ai retroscena di quella truffa.
Su Poynter online, invece, Roy J. Harris Jr. ce ne racconta alcuni molto interessanti sul versante giornalistico, spiegando che il famosissimo Premio Pulitzer deve in gran parte la sua fortuna proprio alla scoperta dello schema-Ponzi da parte di alcuni giornalisti investigativi dei primi anni Venti.
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di Roy J. Harris Jr.
(da Poynter online, ‘’What Journalism Owes to Charles Ponzi’’)
La prima premiazione avvenne nel 1917, il Pulitzer fu istituito presso la Columbia University grazie alla volontà del pioniere della stampa Joseph Pulitzer che morì nel 1911. Ci volle un po’ di tempo perché il premio fosse gradito all’ opinione pubblica che vedeva ancora con sospetto la stampa. Dopo tutto, la stampa era appena uscita dal periodo dello Yellow Journalism, al centro del quale vi era stata la guerra a colpi di sensazionalismi che fin dalla fine del XIX secolo, aveva visto contrapposti Joseph Pulitzer, proprietario del New York World , e il rivale William R Hearst proprietario del New York Journal. Infatti, la creazione del premio, immaginata da Pulitzer nel 1902 per la prima volta a Bar Harbor, Maine, e poi ritirata, rifletteva senza dubbio il tentativo di ristabilire la reputazione della stampa come servizio pubblico.
Attraverso gli anni, “ Il public service Pultzer” è stato concesso ad alcuni grandi impegni giornalistici. Destinatari del premio, solo per citarne alcuni, sono stati: Il New York Times per la pubblicazione dei Pentagon papers( vinse nel 1972) . Il Washington Post per aver il caso Watergate ( 1973) e il Boston Globe per aver reso nota la protezione da parte della Chiesa cristiana di preti pedofili (2003).
Guardando indietro a quei primi anni, non è uno strappo alla regola dire che lo straordinario giornalismo premiato con il Pulitzer- iniziando dal vecchio caso di Ponzi pubblicato dal Boston Post– ha offerto a tutti i giornali della nazione il primo modello nazionale di giornalismo civico da emulare.
Il testo seguente è adattato da "Pulitzer’s Gold: Behind the Prize for Public Service Journalism” La mia storia del giornalismo pubblicata lo scorso anno dall’Università della Stampa del Missouri.
Una Storia dell’ era del Jazz.
Non ci poteva essere una storia migliore per l’era del Jazz, una storia cresciuta dal nulla in modo tanto potente da contagiare con il suo spirito l’America, come la storia che la commissione del premio Pulitzer decise di premiare nel 1921 come servizio reso al pubblico.
La giuria del Pulitzer nominò il Boston Globe per aver “pizzicato” la bolla finanziaria di Ponzi investigando sulle sue presunte attività con valuta estera e aver gettato dubbi su di lui nel momento in cui sia gli ufficiali pubblici che gli altri giornali o lo ignoravano o lo trattavano come un genuino mago della finanza. Il lavoro fu effettuato “con grande rischio di incorrere in pesanti danni”.
Il trentottenne, snello e allampanato, Charles Ponzi, si era costruito un alone di rispettabilità portando elegantemente “paglietta” e bastone, aveva il senso della vendita e un eccellente fiuto per gli affari- fintanto che questi affari non vennero smascherati-. All’ insaputa dei bostoniani, che rimasero folgorati dalle sue promesse di rapida e facile ricchezza all’ inizio del 1920, Ponzi aveva un passato pieno di precedenti penali per contraffazioni e imbrogli per i quali aveva scontato alcuni periodi di detenzione nelle prigioni di Montreal e della Georgia.
Quasi come un collezionista di francobolli, Ponzi era un appassionato truffatore, che aveva escogitato un altisonante piano d’ investimenti- con non plausibili ritorni del 50 per cento in 90 giorni- basato sui tassi di cambio delle collassate valute dell’ Europa post bellica . Per ottenere credito dai finanziatori Ponzi promise di utilizzare quel denaro in alcuni, apparentemente comuni, strumenti finanziari chiamati: “International Reply coupon” o IRC. Questi esistevano realmente. Gli IRC , infatti, erano stati creati da un accordo internazionale prima della guerra, per aiutare gli stati a fissare un valuta con la quale i loro francobolli nazionali potevano essere riscattati. Gli stati avevano adottato questo accordo – che prevedeva dei tassi di riscatto fluttuanti, a seconda di quale valuta veniva usata nella transazione -, per permettere la spedizione internazionale di lettere. Quindi, una lettera inviava ad un certo tasso, diciamo quello degli Stati Uniti, sarebbe stata consegnata alla Spagna o all’Italia, senza preoccuparsi di quali fossero le tariffe da pagare in questi due stati.
Fu nel 1919 che Ponzi, avendo avuto fra le mani uno degli IRC che una società spagnola gli aveva inviato, iniziò a progettare. Sappiamo qualcosa del suo modo di ragionare per quanto lui stesso raccontò poi sulle avventure della sua vita. Come scrive il giornalista di Boston Mitchel l Zuckoff nel suo libro Lo schema di Ponzi : “Con un lampo d’ intuizione, qualcuno potrebbe dire di genio, in quel coupon Ponzi ha visto qualcosa di più, un moneta il cui valore oscillava selvaggiamente a seconda di dove esso fosse utilizzato”. Ponzi fece alcuni calcoli: se con un dollaro degli Stati Uniti si possono acquistare cinque IRC a Boston, si possono acquistare invece 66 IRC a Roma, una volta che i dollari sono stati scambiati con la tanto svalutata lira.
L’ idea ricorda per alcuni tratti “ The producers”, quando Max Bialoystock trama con Leo Bloom sul come fare più soldi mettendo in piedi un flop piuttosto che uno spettacolo eccezionale a Brodway. Per avviare l’ operazione, a Ponzi serviva un gruzzolo di dollari per l’ acquisto di IRC originali in paesi con una moneta svalutata, una somma che non aveva. E poi avrebbe dovuto comprare e trasportare grandi quantità di coupon da utilizzare ovunque fosse possibile realizzare qualche bun profitto. E “tutto questo era perfino legale”. Ma alla fine Ponzi decise di utilizzare la sua trovata in un altro modo, vendendo ad altri investimenti nei suoi titoli. Così avrebbe ottenuto il suo finanziamento. E mantenne le promesse di pagare i vecchi investitori con i soldi dei nuovi. Ma il suo commerciò di IRC non iniziò mai. Ciò che iniziò fu una promozione basata sulla persuasione di altri che Ponzi potesse manipolare il sistema creando enormi profitti per loro. Nuove vie dovevano essere scovate per attrarre sempre nuovi investitori , e Ponzi le aveva trovate: “Un po’ di dollari potevano volare otre oceano e tornare dopo sei settimane sposati e con un paio di figli”, affermava.
A partire dal 4 luglio, il Boston Post cominciò a pubblicare, per quasi due mesi, articoli e inchieste su Ponzi. Il direttore Richard Grozier, non credendo al meccanismo di profitti messo in piedi dall’ italoamericano, chiese al capo della cronaca cittadina, Edward J. Dunn, di utilizzare alcuni giornalisti per controllare Ponzi e la sua azienda più da vicino. I due giornalisti a cui venne affidato l’ incarico furono P.A. Santosuosso e Herbert L. Boldwin. Si rivolsero a una loro fonte, Charless Barron. Il 65enne proprietario del Boston New Boureau insieme al New York Dow Jones e co. e del Wall street Journal, si era ben inserito nell’ establishment di Boston. Il basso, tarchiato e barbuto Barron aveva una camera riservata al Ritz affacciata proprio sul Boston Public Parck, oltre alla sua casa di Beacon Hill e le sue tenute nell’elegante contea di South Shore Cohasset . Definito dal Post come: “un autorità finanziaria internazionalmente riconosciuta” Barron, come dicevo, affermò: “ Nessun uomo di vasta esperienza finanziaria può pensare due volte di investire il suo denaro sulla base di una semplice promessa di essere ripagati con più del 50% in tre mesi”.
Ma questo non servì a gettare acqua fredda su qui bollenti investimenti. La corsa di persone che volevano acquistare continuava ancora. Quando Edward Dunn girò l’angolo del Post per andare a vedere la scena, la sua osservazione fu: ”Maiali che vengono condotti al macello”. Lo scenario non cambiò per molte settimane, ogni nuovo scetticismo sembrava stimolare gli affari invece che fermarli.
L’ 8 agosto, Ponzi , seduto comodo, in accappatoio, parlò per due ore con P. A. Santosuosso che gli rivolgeva domande sulla sua vita prima di arrivare a Boston. C’ erano dei buchi nella sua storia, falle che Santosuosso voleva provare a colmare, anche perché aveva sentito voci sul passato giudiziario canadese di Ponzi. Ma il reporter non aveva abbastanza materiale concreto per confrontarsi con Ponzi su questo. Successivamente però, il corrispondente del Post da Montreal ritrovò alcuni documenti che avevano colpito la sua attenzione. E comunicò che “qualcuno identificato come Charles Ponsi (scritto con una “s”) era stato recluso dieci anni prima per falso. Le accuse a suo carico si riferivano a quando era impiegato al Banco Zarossi. Santosuosso richiamò subito Ponzi, che alla domande diretta se fosse lui lo stesso uomo chiamato Ponsi e se avesse anche usato l’ alias di Bianchi, scoppiò in una risata. Era in Canada in quel periodo? Rispose di sì. Aveva lavorato per quella banca? “ Avrei potuto” rispose.
Per il Post il passo successivo fu di spedire un reporter (Herbert Baldwin) a verificare quelle informazioni. La sue interviste ebbero buon esito e ottenne anche delle fotografie di conferma. Con l’aggiunta dei baffi i due erano la stessa persona: Ponsi il falsario, alias Bianchi. O, come lo chiamavano, “ Bianchi il serpente”! Inizialmente Ponzi si sforzò ancora di negare. Perfino dopo che Baldwin, l’ 11 agosto, scrisse un articolo da Montreal sulla detenzione in Canada di un ‘’Ponsi’’ in cui si racontavano tutti i particolari di una precedente truffa del presunto Ponzi. Interpellato al telefono per un commento, Ponzi disse in modo minaccioso al giornalista del Post: “ Volete che qualcuno vi getti le rotative dalle finestre del giornale?”. Rimase spavaldo fino all’ ultimo.
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Fu questa rivelazione a far finalmente esplodere la bolla”, scrisse il Post nella domanda di nomination per il Pulitzer. “ Praticamente gli ultimi dubbi erano stati spazzati via”.
Più tardi, alla fine del processo, parlando con uno dei cronisti del Post, Ponzi disse: “ Hai fatto un buon lavoro con me, se non fosse stato per la storia pubblicata dal Post le cose oggi sarebbero diverse”. E ancora più tardi entro anche nei dettagli della sua truffa: “Il mio piano era semplice. Era il vecchio gioco di rubare a Pietro per pagare Paolo”.
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(traduzione di Pietro Omerini)