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Mentre infuriano le polemiche contro Google (Murdoch dà di nuovo di ‘’ladri’’ agli uomini di Mountain View e qui da noi Carlo De Benedetti rilancia più o meno sulla stessa linea) l’ azienda continua a testa bassa a produrre novità e applicazioni.
Martedì la grande G ha presentato un nuovo sistema di aggregazione delle notizie online attraverso argomenti. Un sistema messo a punto con la collaborazione di New York Times e Washington Post, e che, se avrà successo, verrà messo a disposizione di tutti gli altri editori.
Living stories
Si tratta del progetto ‘’living stories’’ una versione molto potenziata del lavoro che diversi siti web di testate giornalistiche già fanno raggruppando i materiali per temi.
Nel caso del NYT, ad esempio, il giornale ha già migliaia di ‘’topic pages’’. Anche se questi sforzi non hanno portato consistenti aumenti di lettori o di pubblicità .
Il progetto di Google è ora visibile su livingstories.googlelabs.com, una sezione di Google Labs, l’ ambiente in cui l’ azienda sperimenta dei nuovi prodotti.
La pagina presenta le storie di attualità con gli aggiornamenti che a mano a mano vengono prodotti dai due giornali. Il tutto in un solo spazio che – spiega l’ azienda – consente di avere sotto mano la copertura completa di una vicenda senza dover navigare fra siti e url diversi per individuare le notizie e i commenti che si accumulano su un determinato argomento.
Se verrà ritenuto un successo, il servizio potrà essere inserito nelle pagine di qualunque editore che desideri usarlo e che, in questo caso, potrà anche vendere spazi pubblicitari su quella pagina.
In testa ad ogni argomento – i titoli principali per ogni argomento oggi (10 dicembre) erano la riforma sanitaria, il summit di Copenhagen e la situazione in Afghanistan – c’ è un sommario, una timeline dei principali avvenimenti collegati, con relative foto, seguito da una serie di articoli elencati in ordine temporale inverso, mentre diversi pulsanti consentono al lettore di restringere l’ argomento.
Nel motore anche i social network
I contenuti pubblicati su siti popolari come Facebook, Twitter e MySpace finiranno infatti nel motore di ricerca di Google. L’annuncio – rileva Flavio Fabbri su Key4biz.it -è arrivato direttamente dagli uffici di Montain View e le notizie incorporate nelle ricerche saranno in ‘real time’ e in più lingue. Faranno parte del progetto anche Jaiku, Identi.ca e Friendfeed.
Il primo a vedersi ‘prelevare’ contenuti da Google è stato Twitter nella giornata di martedì, mentre per le altre due reti sociali, che assieme superano abbondantemente il mezzo miliardo di utenti, bisognerà attendere i primi mesi del 2010.
Grazie al microblogging pubblicato in tempo reale – commenta Fabbri – si avrà certamente un effetto di amplificazione dell’informazione e, sulla scia di quanto accaduto in Iran, del ‘citizen journalism’. Probabilmente da Facebook e MySpace sono invece attesi i maggiori risultati in questo nuova fase della ricerca online perché, con le loro potenzialità di abilitare il file sharing e di uploadare sempre nuovi contenuti dal basso, sicuramente apporteranno una ventata di freschezza sul web in maniera più capillare ed evidente.
Ogni utente potrà decidere inoltre ‘se e come’ rendere possibili le pubblicazioni dei contenuti sul motore di ricerca, dando o meno il proprio consenso. Mentre non secondario, ovviamente, è il discorso pubblicitario, perché con la maggiore visibilità dei contenuti provenienti dai social network anche l’advertising avrà la sua considerevole fetta di guadagni, implementando in questo modo nuovi modelli di business.
Ma Google ‘’ruba’’?
Per quanto riguarda invece le nuove ‘’bordate’’ contro Google dal fronte editoriale, Massimo Mantellini commenta in particolare l’ intervento di De Benedetti sul Sole24ore, (‘’Perché Google deve pagare i giornali’’) ristabilendo soprattutto la verità dei fatti.
Google – chiede Mantellini – sta attualmente rubando i diritti agli editori? La risposta ovviamente è no: oggi Google indicizza solo materiale che gli editori hanno gratuitamente messo online e l’indicizzazione è un procedimento comunque bidirezionale che chiunque può interrompere molto facilmente. E anche quando assembla notizie nel suo aggregatore, Google lo fa previo accordo con gli editori stessi, quotando solo una piccola parte del testo e linkando l’articolo originale. Quindi in effetti non si capisce davvero di cosa De Benedetti stia parlando. O meglio si capisce. De Benedetti partecipa come può a quella strategia del “non detto†(un po’ ti minaccio un po’ ti blandisco) molto utilizzata da Murdoch negli ultimi mesi.
(Vedi Lsdi, Murdoch, leggere fra le bugie…).