(nella foto: Trippaio in S. Ambrogio, Firenze. Clicca per ingrandire)
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Far pagare degli articoli disponibili dovunque sul web è oggi utopico. Bisogna essere disperati per immaginare un tale ritorno al passato. Bisognerebbe garantire l’ originalità dei testi. E come impedire ad altri giornalisti di leggerli e riscriverli? Impossibile. La stampa non fa che copiarsi. Per una notizia nuova ne abbiamo mille duplicate. E forse sono anche molte di più.
Ma l’ idea stessa di informazione ‘’nuova’’ non ha più senso, visto che non è il giornalista che costruisce questa informazione ma un informatore. La fonte è generalmente gratis. Perché dopo bisognerebbe far pagare quello che ha detto, più o meno deformandolo, e mettendo se stessi nel contesto? E’ un lavoro troppo facile, ancora più facile nell’ era di internet, un lavoro che tantissime persone sanno fare relativamente bene (e non parlo solo delle cronache e degli editoriali, di cui il web rigurgita).
Nel tempo dei motori a reazione, vista l’ abbondanza di penne avremo sempre da leggere degli articoli gratuiti.
Il business della stampa è morto. Non è uno scoop. Ma se diventa impossibile far pagare degli articoli brevi, forse resta ancora possibile far pagare dei testi lunghi. Dei documenti. Dei saggi. Dei romanzi. L’ economia dell’ editoria libraria invece tiene, nonostante che i lettori non siano onnipresenti; ed è un’ economia con un biglietto d’ ingresso molto meno alto di quello della stampa. Siamo in un periodo di transizione, probabilmente breve, ma che lascia delle occasioni di affari
Bisogna che i giornalisti smettano di essere soddisfatti solo di sfornare due o tre post ogni tanto per proporci invece delle cose che stiano in piedi, delle cose che richiedono un po’ più di approfondimento, un po’ più di attenzione, un lavoro di scrittura.
Ne parlavo qualche giorno fa su Twitter con Jacques Rosselin, fondatore del Courrier International, che l’ anno scorso ha lanciato Vendredi. Ha sospeso le pubblicazioni dopo l’ estate. Non è facile portare avanti un nuovo nato quando anche testate già note vengono accolte con freddezza.
Perché non riprendere questa idea sotto un’ altra forma? Perché pubblicare dei testi brevi come tutti e andare a sbattere contro il muro come tutti? Non si può guadare ai blogger come a degli autori potenziali?
Con Le syndrome du poisson rouge (un libro realizzato con 150 post del suo blog), Agnès Maillard ha cercato di gettarsi nella mischia da sola. Non credo che sia una buona soluzione. Come sottolinea spesso François Bon, bisogna fare comunità . Bisogna che gli autori si spingano e sostengano l’ uno con l’ altro. Bisogna che si leggano gli uni con gli altri. Che alzino la qualità del loro rispettivo lavoro.
Un editore potrebbe servire da collante per una nuova forza letteraria che si alimentasse sul web.