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Tre anni fa Jean-François Fogel e Bruno Patino, con « Une presse sans Gutenberg », avevano annunciato, con accenti a momenti altamente profetici, l’ apertura di una nuova era della storia della stampa, che si sarebbe completamente reinventata su internet, a conclusione di un vasto movimento di distruzione creatrice che avrebbe rivoluzionato il settore come non era mai avvenuto prima.
Tre anni dopo Bernard Poulet, con « La fin des journaux et l’avenir de l’information » (La fine dei giornali e l’ avvenire dell’ informazione) constata che la distruzione c’ è, ma che la creazione si fa attendere e, forse, alla fine, non arriverà mai: è la fine dei giornali, ma l’ informazione stessa ha un futuro?
Sul Foglio del 12 febbraio Marina Valensise aveva pubblicato una interessante recensione del libro, che ci era purtroppo sfuggita. Qualche giorno fa, su Novovision, Narvic ha scritto una nota di lettura del lavoro di Poulet molto approfondita, che ci sembra interessante proporre qui in maniera integrale perché pone questioni di fondo e di lungo periodo che spesso restano troppo sullo sfondo.
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« La fin des journaux et l’avenir de l’information »
Bernard Poulet, 2009, Gallimard, 210p., 15,90€.
Bernard Poulet è redattore capo a l’Expansion. Ha scritto diversi libri sui media e la stampa, fra cui « Le Pouvoir du Monde » (2003).
Nota di lettura di Narvic
(da Novovision)
La sopravvivenza della stampa scritta quotidiana è fortemente compromessa, se non addirittura definitivamente segnata. Il futuro dei giornalisti non è assicurato, il giornalismo professionale stesso fa una gran fatica a trovare un posto online. Può darsi molto semplicemente che posto non ce ne sia affatto… E’ la stessa possibilità reale di una sopravvivenza di una informazione di qualità nelle nostre democrazie che diventa la posta cruciale dei prossimi anni. Per motivi economici e tecnologici, ma non solo. Per delle ragioni sociologiche anche, che forse sono più profonde – e irreversibili -: le persone, e soprattutto i giovani, desiderano sempre informarsi, sono interessate veramente all’ informazione?
La soluzione? Bernard Poulet non ne ha. Sperando lui stesso di peccare per eccesso di pessimismo, il giornalista si interroga. Passando in rassegna tutte « le esperienze » in corso – soprattutto su internet, ma anche altrove – si avverte bene che egli spera che se ne possa trovare una per riuscirci, per liberare l’ orizzonte del giornalismo e dell’ informazione, che oggi è totalmente bloccato.
(…)
L’ inchiesta di Bernard Poulet si sviluppa in tre tempi.
1 – La stampa scritta è veramente condannata? La risposta è sì. E questo porta l’ autore a una riflessione sulla natura dell’ informazione, su che cosa è il giornalismo e su quale sia il suo ruolo nel meccanismo di funzionamento della democrazia.
2 – Poulet analizza da vicino quello che accade su internet, le radicali trasformazioni sociali, cognitive, economiche o politiche che vi si producono.
3 – Poulet osserva come i media di informazione e i giornalisti tentino di trovarsi uno spazio in questo nuovo ecosistema, sperimentando in tutte le direzioni, ma senza trovare per il momento nessuna soluzione…
1. La fine dei giornali, « un dibattito tabù? »
Forzando un po’ i toni si potrebbe dire che la questione della scomparsa della stampa scritta d’ informazione è un nuovo ‘’dibattito tabù’’ in Francia. Il rifiuto è tanto più forte in quanto non si tratta soltanto di rimettere in questione un rito sociale, una pratica secolare, ma anche una concezione della civiltà.
Ed è proprio questo « dibattito proibito » che Bernard Poulet comincia ad aprire:
In realtà, tre nuove rivoluzioni si stanno producendo simultaneamente: la generalizzazione del digitale, il calo brutale di interesse delle giovani generazioni per la scrittura e per l’ informazione e l’ abbandono dell’ informazione come supporto privilegiato per la pubblicità, cosa che prosciuga la sua principale fonte di reddito. E’ abbastanza per compromettere la sopravvivenza dei giornali, dei quotidiani prima di tutto, ma forse anche della maggior parte dei media di informazione e dell’ informazione di qualità. Esiste una massa critica – di lettori, di ricavi, di diffusione – senza cui tutto può sprofondare.
Oggi la soglia di svolta è raggiunta. Tutto il settore sta per andare oltre la soglia della massa critica… e tutto sta per crollare. E’ proprio sotto l’ egida del « catastrofismo illuminato » del filosofo Jean-Pierre Dupuy che Bernard Poulet piazza il suo percorso e avvia la sua inchiesta.
– La stampa muore per « asfissia »
Per la stampa scritta è veramente « tempo di angoscia » : « tutto si somma per dimostrare che il modello economico della gran parte dei giornali è ormai frantumato. »
In Francia, in particolare, è ancora la cecità a dominare. E quindi forse la situazione è peggiore che altrove, perché la stampa scritta francese era già « un organismo malato » : i grandi quotidiani « sono entrati nella crisi già molto malati, perdendo già soldi, senza fondi propri e avendo accumulato pesanti perdite. » E, in più, la sfiducia del pubblico nei confronti dei giornalisti è più pronunciata che altrove: « da una ventina d’ anni [i giornali ] hanno conosciuto un calo spettacolare della propria credibilità. »
Una crisi di fiducia…
La causa di questo fenomeno è da ricercare, secondo Bernard Poulet, nell’ evoluzione del giornalismo francese che si è ispirato al modello americano del « giornalismo oggettivo », cosa che lo ha condotto a mettersi un po’ alla volta e sempre di più « a distanza dai suoi lettori » :
Questa ambizione di esercitare un magistero morale, e a volte di giocare un ruolo politico autonomo, è mal accettato dai lettori, che si infastidiscono per la pretesa dei giornalisti di detenere la verità e di far loro la lezione. (…) L’ atteggiamento di aplomb, professorale, di questo giornalismo così ha finito per apparire come una collusione della stampa con le « elite dirigenti ». (…) Pretendendo di sollevarsi al di sopra di tutti gli altri poteri, il giornalismo è stato una delle principali vittime della perdita di fiducia dei cittadini nei confronti dell’ insieme dei poteri.
Una crisi economica…
Questa crisi di fiducia era già sfavorevole al contenimento del livello di audience dei giornali, che non cessa di calare, ma la causa principale della crisi è altrove, il punto veramente dolente è che la pubblicità se ne va.
Il fenomeno fondamentale, di fondo, è « la separazione fra le notizie e la pubblicità », che provoca « una destabilizzazione radicale a partire dall’ inizio degli anni 2000 ». Gli inserzionisti abbandonano la carta perché la moltiplicazione dei supporti li spinge a diversificare i loro investimenti pubblicitari, ma, anche, ed è « cruciale », perché essi, sempre di più, « dubitano dell’ efficacia della pubblicità nei grandi media (giornali, radio e tv generaliste) ».
La publicità se ne va su internet e si installa su dei nuovi supporti che non sono l’ informazione: « solo una infima parte di questi budget verrà recuperata dai siti web dei giornali ». Basterà che siti come Google, Yahoo ! YouTube, ecc., « intercettino dal 10 al 15% dei budget pubblicitari della stampa tradizionale per farla precipitare in una crisi senza precedenti » .
Una crisi di società…
« La pubblicità migra su internet », e i media si lanciano in una rincorsa che, per ora, è un fallimento (dal momento che questi siti di informazione online non sono redditizi). Ma il progetto stesso forse è vano, perché se la pubblicità va online, è lei che segue il pubblico, e online il pubblico non va sui siti di informazione !
La rivoluzione digitale maschera un altro capovolgimento, più lento e scattato molto prima della comparsa di internet, ma altrettanto disastroso e i cui effetti ormai si intrecciano: l’ interesse delle nostre società per l’ informazione si erode sempre di più ogni anno.
Bernard Poulet si basa sui lavori del ricercatore americano Robert G. Picard (« C’ è un declino molto consistente del consumo di notizie: i consumatori di media investono meno soldi e sempre meno tempo per informarsi »), che vengono confermati da numerosi studi secondo i quali il fenomeno è ancora più pronunciato per le giovani generazioni, particolarmente per « i giovani sotto i 30 anni ». Ma non solo : « l’ età media degli utenti dei siti dei giornali online è passata dai 37 ai 42 anni tra il 2000 e il 2005 : anche su internet, i lettori dei giornali invecchiano ».
Se c’ è una fase di transizione per il mondo dell’ informazione (cosa che comunque non vale per tutti perché solo « alcune forme di stampa scompariranno »), è comunque « una transizione ad alto rischio » che al momento attuale si trova in « una fase di caos »…
– Fine del giornalismo, minaccia per la democrazia?
Queste valutazioni portano Benard Poulet a una profonda riflessione sulla natura dell’ informazione e il ruolo politico del giornalismo in una democrazia, perché « al di là della crisi della stampa, è l’ informazione stessa che è in gioco » :
La legittimità [del giornalismo] è stata messa in dubbio, spesso a giusto titolo, ma è ormai la sua stessa esistenza un problema. In gioco infatti c’ è la stessa possibilità di continuare a produrre e a diffondere una informazione di qualità, più ancora del futuro dei giornali stampati.
L’ autore riprende l’ analisi di Jacques Rigaud, il quale sottolinea che « dopo la Rivoluzione, la stampa sarebbe stata l’ indispensabile ausiliare della democrazia ». Ma il ruolo, la funzione del giornalista sono rimasti, per Bernard Poulet, « mal definiti, relegati al campo dell’ artigiano e dell’ empirismo », e la nozione stessa di informazione può coprire confusione.
In queste condizioni, la pratica del giornalismo si è « comunque codificata » a poco a poco secondo delle regole « forgiate più nella pratica che nella teoria » : « questo lavoro di modellamento in forme ragionate, di selezione, di gerarchizzazione dà un senso alla congerie di informazioni che arrivano ogni giorno, ogni ora, ogni minuto ». E non è certo proibito cercare di farlo « con un po’ di talento »…
Ma questa pratica, che era già « mal definita », dopo un po’ tende a « confondersi » ancora di più e la televisione porta in questo campo una pesantissima responsabilità (…) con intrattenitori e giornalisti che si scambiano i ruoli, mentre il tutto viene ancora di più accentuato dal « trionfo del marketing »che fa « irruzione nella scelta e nella produzione dell’ informazione ». Il fenomeno non è certo nuovo (i settimanali ne sono un esempio da molti anni) ma « il passaggio dalla forma giornale alla diffusione online induce degli effetti perversi nuovi ».
Il « pacchetto » che prima formava un giornale, online si disaggrega: gli articoli vengono letti uno staccato dall’ altro, si parla di “delinearizzazione” » :
Non è più di un giornale preso nella sua globalità che l’ editore si preoccupa, ma di ciascuno dei suoi pezzi, concepiti come degli oggetti autonomi. Egli non vende più ‘’un’’ supporto agli inserzionisti, ma ciascuno degli articoli presi separatamente, che vivono ciascuno i suoi propri meriti e il cui valore risiede nella capacità di attirare il pubblico, e quindi gli inserzionisti.
Bernard Poulet si basa sulle analisi di giornalisti americani come Nicholas Carr, Martin Nisenholtz o David Simon, per mostrare la perversione di questo funzionamento che dissolve totalmente « il valore dell’ informazione », lasciando galleggiare solo quello è « cliccabile ». Come dice Nicholas Carr :
Dal punto di vista dell’ economia di un sito di informazione, i migliori articoli non sono quelli che attirano molti lettori, ma quelli dedicati agli argomenti che attireranno le pubblicità più costose. I migliori sono quelli che attirano i lettori che cliccano sulle inserzioni più care.
In questa nuova « economia dell’ attenzione » ci si chiede: « cosa resta dell’ informazione » e soprattutto, come finanziarla? Per Bernard Poulet « l’ inchiesta è archiviata ». Nei blog è capitalizzando sui commenti e sulle opinioni (che d’ altronde vengono forniti gratis) che alcuni, come l’ Huffington Post, finiscono per diventare redditizi, ma non certo producendo informazione.
Questa tendenza parte alla fine del trentennio ruggente dei media (nel dopoguerra), in cui essi si erano eretti come un vero potere (e Bernard Poulet non è tenero con le derive che ciò ha prodotto, specialmente con l’ emergere improbabile di questa strana figura dell’ «intellettuale mediatico », oggi largamente « svalorizzato »). E ora questa evoluzione, che ha creato « dei media mutilati dal ‘popolo’ », continua online nella « delinearizzazione », per produrre alla fine «l’ esplosione della scena pubblica comune ».
2. Internet, esplorazione di un nuovo mondo
In questo mondo di Internet che si va consolidando, Bernard Poulet s’ impegna a scoprire quelle novità che fanno di esso un ecosistema particolare in cui l’ informazione e il giornalismo hanno tante difficoltà a impiantarsi.
Il net, ovvero« il mondo di Peter Pan »…
Seguendo ancora Nicolas Carr, che si chiede se Google non stia per « farci diventare tutti stupidi », Bernard Poulet osserva che online ci sono « un altro modo di leggere », « un altro modo di stare in soscietà », che portano forse a « un altro modo di pensare »… E cita il regista americano Richard Foreman (nato en 1937) :
Provengo da una tradizione della cultura occidentale in cui l’ ideale era nella complessità, la densità, e in cui la personalità veniva forgiata da un’ alta cultura, costruita come una cattedrale. Un uomo o una donna portavano dentro di loro una interpretazione personale e originale dell’ eredità della cultura occidentale. Ormai, invece, io vedo in tutti quanti – me compreso – la sostituzione di questa densità interiore complessa con una nuova personalità che evolve sotto la pressione della sovrabbondanza di informazione e della tecnologia dell’ accesso immediato.
In questo « trionfo della cultura giovanile », sottolineato da Francis Pisani e Domnique Piotet, Bernard Poulet vede arrivare « il tempo dell’ uomo senza qualità ». « E’ il mondo di Peter Pan », in cui anche il libro rischia di perdersi e non sarà certo il Kindle di Amazon a salvarlo.
« Il costo amaro della gratuità »…
Osservando la generalizzazione della gratuità online, Bernard Poulet sottolinea che niente è mai gratuito e che tutto si paga in un modo o nell’ altro. Ma, poiché il modello si sta imponendo in tutti i campi, non resta altro da fare che cercare, in maniera indiretta, i mezzi per finanziare i servizi e la produzione.
Nel campo dell’ informazione, egli osserva che il trionfo della gratuità è quello dell’ informazione low cost, e questo sia online che nella stampa scritta. Lo sviluppo di queste offerte gratuite contribuisce a deprimere sempre di più le offerte a pagamento, dirottando una parte dei ricavi pubblicitari.
Questa gratuità ha anche « un costo amaro » : « una buona parte dell’ informazione prodotta dai siti internet viene da giornalisti pagati col salario a livello di sussistenza o, più spesso ancora, da stagisti a cui a stento si pagano le spese. Il servizio non ha evidentemente la stessa qualità. »
« L’ ideologia di internet » in questione…
Sollevando un punto che mi è caro, Bernard Poulet insiste sul fatto che « Internet non è solo una tecnologia o un media, ma è anche una ideologia ». E si sofferma su « alcuni dei valori veicolati da internet », per discuterne le fondamenta:
• « Il trionfo della democrazia? » Questa « utopia politica », piuttosto che essere la scomparsa di « tutte le istanze di intermediazione » in un « universo orizzontale », non è il trionfo di « comunità ad hoc », « poco responsabili » (che «non impegnano mai l’ individuo nel suo insieme né per molto tempo ») ?
• « Un mondo senza esperti ? » Di cui Wikipedia sarebbe l’ emblema… Piuttosto che essere il mondo dell’ errore e della manipolazione, « il suo principale difetto è piuttosto quello di essere il mondo del consenso molle ».
• « Tutti giornalisti ? » E’ « il trionfo del relativismo giornalistico ». « Questa ideologia egualitaria si basa su un sospetto: il giornalismo tradizionale nasconderebbe la verità. Per interesse, costrizione o arroganza, non direbbe tutto quello che sa, complice delle elite invece di essere al servizio dei cittadini. »
Se « è vero che alcune derive, dei compromessi e una mancanza di serietà professionale di una parte dei giornalisti hanno nutrito questo sospetto », « nondimeno l’ apporto degli appassionati non può sostituire la specificità del lavoro dei giornalisti professionisti quando rispettano le regole deontologiche, verificano prima di pubblicare e, infine, fanno seriamente quello che prima di tutto è un mestiere » [Cosa che non succede sempre, siamo d’ accordo]
• « La fatica dei blogger » (Versac, Dan Gillmor, Loïc Le Meur, Jason Calacanis…) « L’ idea che un’ ‘’altra informazione è possibile’’ in realtà si è molto indebolita. I blog d’ informazione hanno mostrato una tendenza a professionalizzarsi. » Sembra, ci assicura Bernard Poulet, che lo dica anche Narvic… E Versac starebbe ipotizzando, « con una grande lucidità », un futuro della blogosfera… ad immagine delle radio libere che avevano aperto la strada… a NRJ (una delle più popolari stazioni radio francesi, ndr)…
3. La salvezza da parte della rete è una illusione?
Con le difficoltà che abbiamo visto nel mondo « tradizionale », e col modo con cui funziona internet, « come potrebbe la stampa trasformarsi per aver una possibilità di sopravvivenza ? »
Bernard Poulet osserva da vicino le diverse strategie e sperimentazioni messe in campo dai media per inventarsi un nuovo « business model »… Esse girano tutte intorno a quattro « parole magiche » (« media globali », « e-commerce », « hyperlocal » e « comunità »), e nessuna di esse, per ora, ha dimostrato la sua ipotetica forza…
« Media globale », strategia « multimediale » e « News factory »…
Si tratta di un « gigantesco cantiere » che consiste nel « lavorare alle fondamenta delle aziende giornalistiche », per trasformare quelle che erano « soltanto » stampa scritta, « soltanto » radio o televisione e per costituire « un media globale », diffondendo in « maniera multimediale » simultaneamente su tutti i supporti disponibili.
Ciò impone di riorganizzare completamente le redazioni e il lavoro dei giornalisti:
L’ ambizione è di reinventare la « fabbrica » dell’ informazione, far posto ai nuovi mestieri e quindi rovesciare senza alcun timore le vecchie strutture, le burocrazie aziendali e gli addetti tradizionali.
Questa strada conduce alla formazione delle « news factory », delle officine dell’ informazione. E’ quella in cui si sono impegnati « alcuni pionieri » con più o meno grandi difficoltà e successo per il momento:
Il New York Times ha realizzato una delle esperienze più sfortunate di redazione integrata. (…) In Europa, è il Daily Telegraph ce ha aperto la strada. (…) In Francia (ma in Italia si può dire lo stesso, vedi la concezione di mobilità/multimedialità espressa nel corso delle trattative per il nuovo contratto di lavoro, ndr), la maggior parte degli editori carezzano lo stesso sogno, quasi sempre a voce bassa, per paura di impaurire i loro giornalisti e, soprattutto, i loro sindacati.
Alain Weil, il presidente di Nextradio TV, è quello che è andato più lontano in Francia, con la sua « news factory » dedicata all’ informazione sportiva, non senza far storcere il naso (vedi Lsdi, Se il low cost sbarca in redazione).
La logica è quella dello scambio dei mezzi, e delle produzioni, fra più supporti, con l’ obbiettivo di realizzare importanti economie di scala nella produzione dei contenuti.
All’ assalto del web…
Tutti i grandi media sviluppano delle strategie aggressive di radicamento online, con una stessa finalità: « costruire una ‘force de frappe’ editoriale capace di ritagliarsi prima possibile un posto nell’ universo di internet. I giornali si gettano in una corsa disperata verso l’ audience. »
Per arrivarci, la gratuità dei contenuti si è imposta nei siti maggiori: « non c’ è possibilità di scelta: bisogna essere gratuiti, tanto questo modello portato da Google si è imposto »sottolinea Bernard Poulet.
Ma « la gratuità non basta ». Da una parte « vari gruppi si sono decisi a stringere accordi di partneriato con i motori di ricerca », e, dall’ altra, sviluppano tutti delle strategie di diversificazione che li fanno uscire fuori dal loro mestiere di produzione dell’ informazione.
• L’e-commerce. Si tratta di vendere « pizze, fiori e prodotti finanziari », per riuscire a vendere informazione:
Sono ormai le attività dispiegate attorno a una testata giornalistica a creare valore. Un editore belga non se ne vergogna e ha dichiarato: « bisogna roprattutto evitare che i giornalisti si impadroniscano dei nostri siti, perché la rete è una cosa ben diversa dall’ editoria ». E questa tedenza si intensifica.
In Francia, il gruppo Le Figaro è fortemente impegnato in questa strada: « bisogna spostare i nostri marchi in territori diversi da quelli dell’ informazione » rileva ad esempio il suo direttore generale, Francis Morel. « La pubblicità non basterà per equilibrare i conti di un gruppo editoriale come Le Figaro. Bisognerà trovare delle nuove ricette sul web. Ecco perché ci siamo gettati nei servizi e nel commercio online » aggiunge il suo vice, Pierre Conte.
« Gilles Fontaine, un ricercatore dell’ IDATE (un centro studi francese nei settori telecom, internet e media, ndr) ha addirittura evocato lo scenario di una sorta di “disintegrazione delle aziende editoriali”. »
• L’ hyperlocal. E’ un terreno su cui i giornali regionali (francesi, ndr) si sentono più a loro agio di quelli nazionali. Ouest-France ad esempio si sviluppa online su questa base dal 1999, con la rete di siti ‘maville.com’ (nomedicittà.com, ndr), che continua ad allargarsi associandosi ad altre testate regionali. E ci sono anche delle versioni localizzate del sito di Libération o di Rue89...
• Le comunità. « Nella corsa alla creazione di valore, questo giacimento ha tutta l’ apparenza di una miniera d’ oro ». Secondo i termini del proprietario di un gruppo editoriale danese, « non bisogna più accontentarsi di produrre dei contenuti, ma saper essere dei mediatori, dei federatori e degli animatori di comunità sul web ». « Una nuova utopia ? » si chiede Bernard Poulet…
• La strategia del portamonete: resta, per quelli che vogliono bruciare le tappe del radicamento online, e per chi ha pochi mezzi, la via di rilevare dei « pure players » ben messi. E’ il caso di Lagardère, ad esempio, che ha rilevato doctissimo : « ‘Doctissimo’ non porta solo una redditività eccezionale, col 40% di margine e una crescita annuale del 50%, ma anche dei saperi in materia di validazione e di sviluppo delle comunità che dovrebbero riverberarsi sull’ insieme dei marchi del gruppo ».
Secondo i termini di un dirigente di un grande gruppo editoriale francese, « su internet, è il marketing che ha preso il potere », riporta Bernard Poulet, ricordando ugualmente che «i media di informazione non hanno trovato una soluzione ai loro problemi. Ma la stanno cercando a 360 gradi. »
– ‘Pure players’ e nuovo giornalismo
Bernard Poulet si chiede alla fine se non finisca per presentare « una visione troppo pessimistica ». Media condannati a morire, oppure a sopravvivere facendo cose diverse dall’ informazione?
L’ altra strada è quella dei pure players dell’ informazione, pubblicazioni che esistono solo su internet, anche se non hanno trovato ancora bene i mezzi per il loro equilibrio economico: Rue89, Bakchich Info o Agoravox in Francia ; Ohmynews in Corea ; Huffington Post, Drudge Report, Politico, Slate, Salon, e molti altri negli Stati Uniti. Tutti tentano di inventare un altro modo di fare informazione, ma si assuefano più al commento che alla produzione di notizie.
Oppure una strategia di nicchia, di alto livello, come la rivista trimestrale XXI, venduta in libreria e in attivo sin dal suo primo anno di vita, oppure il Monocle, in UK… « Tante nicchie da qualche decina di migliaia di lettori, che, ovviamente, non sostituiscono i media di massa. »
La sola via d’ uscita è, secondo Poulet, fare « esperimenti in tutte le direzioni ».
L’ abbonamento su internet, i giornali gratuiti, l’ e-paper, il solo-internet, anche la delocalizzazione in India, la diversificazione, nuove forme di pubblicità…… gli esperimenti non mancano, ricorda Poulet, elencando i vari progetti in corso.
E vede che in molti casi essi conducono alla comparsa di un « nuovo giornalismo » su internet : « più che informare esso deve captare l’ attenzione dell’ internauta consumatore ». « Su internet, il mestiere di giornalista si definisce ancora di più come un insieme di tecniche ».Si viene disegnando una nuova sociologia del mestiere: da un lato, una minoranza di vedettes capaci di vendere molto cara la loro firma o il loro talento di animatori come un marchio; dall’ altra una massa di ‘’operai specializzati’’ anonimi e sottopagati. I giornalisti « medi », che costituiscono il grosso delle truppe delle grandi redazioni stanno per scomparire.
Ma anche a questo prezzo, non è detto che l’ informazione di domani riesca a trovare realmente un « business model », perché, alla fine, forse esso non esiste.
Non resterebbe allora che un’ ultima soluzione: « il servizio pubblico » …