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di Alan D. Mutter
(Reflections of a Newsosaur)
Se i grandi manager pigliano tanti soldi per la loro abilità nel fare la bella faccia di fronte alle situazioni peggiori, i boss dei giornali si sono ben guadagnati la loro paga questa settimana all’ annuale UBS media conference a New York.
Con la massima serietà i capi di McClatchy Co., New York Times Co. e le altre principali case editrici di giornali hanno spiegato agli investitori che le cose stanno andando meglio per l’ industria dei quotidiani perché le loro vendite sarebbero in calo ‘’solo’’ del 20-25% nel quarto trimestre dell’ anno, dopo essere precipitate del 30% nei trimestri precedenti.
Ma siccome le cose per i giornali stanno andando male da almeno 42 mesi, forse è il momento di fare un’ analisi seria della realtà . Eccola.
I giornali stanno registrando quest’ anno il peggiore risultato nel campo dei ricavi pubblicitari a partire dal 1986, con un calo del 43% rispetto al risultato migliore – 49,4 miliardi di dollari -¬ registrato nel 2005.
Basandosi sui risultati dei primi nove mesi di quest’ anno, i giornali dovrebbero presumibilmente registrare nel 2009 ricavi da pubblicità per non più di 28 miliardi di dollari, e cioè 21 miliardi in meno rispetto al 2005.
In altre parole, a quanto pare i giornali dovrebbero registrare una operdita pari a quasi la metà delle loro entrate di base in soli quattro anni – un declino cominciato molto prima dell’ inizio di questa crisi economica.
Le vendite di pubblicità sono un elemento chiave dal momento che tradizionalmente costituiscono l’ 80% delle entrate nella maggior parte dei quotidiani, con gli abbonamenti che provvedono al resto dell’ equilibrio economico. La profonda contrazione del mercato pubblicitario ha spinto alcuni editori ad aumentare il costo degli abbonamenti e il prezzo all’ edicola, ma il settore potrà continuare a vivere, oppure no, solo sulla base della pubblicità .
Una parte della domanda di pubblicità , senza dubbio, tornerà con la ripresa dell’ economia, per una gran parte di essa questo non avverrà , perché molti dei tradizionali inserzionisti se ne sono andati.
Un numero allarmante di fedelissimi inserzionisti – compresi migliaia di commercianti e rivenditori di auto – sono crollati durante questa crisi, la peggiore dopo quella degli anni trenta, e quindi letteralmente non c’ è speranza di poter riguadagnare i loro investimenti.
Molti degli inserzionisti sopravissuti – fra cui commercianti, agenzie di ricerca di personale, immobiliari e rivenditori di auto – stanno spostando una sempre più ampia percentuale del loro budget pubblicitario verso il web, dove i costi sono minori, i target sono molto più definibili e la risposta alle inserzioni può essere meticolosamente misurata.
Come dimostra molto bene il grafico sopra, la velocità e la severità del calo dei ricavi pubblicitari a partire dal 2005 è senza precedenti nela fino ad ora notevole storia dell’ industria dei quotidiani nel secondo dopoguerra.
Il collasso del settore, certamente, è stato aggravato dalla crisi economica generale. Ma è importante notare che il declino dei ricavi era già ben visibile prima che l’ economia crollasse. Ed è un grave errore pensare, come alcuni leader editoriali fanno, che i problemi dei quotidiani si risolveranno appena l’ economia riprenderà .
Ma ecco alcuni dati sulla rischiosa posizione in cui sono i giornali e come ci sono arrivati:
Dalla fine della 2^ guerra mondiale fino al 2005 le vendite di pubblicità sono salite in maniera vigorosa e pressoché costante, se si esclude qualche battuta d’ arresto occasionale durante alcune fasi recessive. Per esempio c’ era stata una diminuzione del 9% delle vendite nel 2001 a causa dell’ esplosione della bolla tecnologica e degli attacchi terroristici dell’ 11 settembre, ma il settore era tornato in buone condizioni appena l’ economia si era ripresa, in meno di due anni.
Grazie al boom immobiliare e alla bolla finanziaria a metà del decennio, i giornali avevano raggiunto la cifra record di ricavi pubblicitari nel 2005 con 49,4 miliardi di dollari. La rapida ripresa per i giornali dopo le paure del 2001 spinsero evidentemente gli editori a credere che avevano schivato le minacce della concorrenza di internet, che avevano cominciato a far capolino a metà degli anni Novanta.
In realtà , come sappiamo, i nuovi media negli ultimi quattro anni hanno fatto più Danni agli editori di quanto essi avessero mai potuto immaginare, in particolare distruggendo il loro settore più ricco, quello dei piccoli annunci.
La tanto sospirata pubblicità , che fino a pochi anni fa produceva il 40% dei redditi degli editori e più del 40% dei loro profitti, è stata risucchiata dai siti web che offrivano a prezzi bassi e con una politica di forte richiamo per gli inserzionisti degli ambienti ideali per la ricerca di personale, inserzioni di auto e offerte immobiliari.
Sulla base delle proiezioni sui dati registrati negli ultimo nove mesi del 2009, i piccoli annunci dovrebbero realizzare non più di 6 miliardi di dollari, e cioè il 65% in meno rispetto ai 17,3 miliardi registrati nel 2005.
La crisi finanziaria e la recessione cominciate l’ anno scorso hanno inciso in profondità sui redditi del commercio interno e internazionale. Molti grossi inserzionisti sui giornali sono andati fuori mercato. Molti degli inserzionisti che sono rimasti stanno tagliando i budget per salvarsi e dirottano molte delle loro spese in pubblicità verso i media elettronici a basso costo e ad alta possibilità di targetizzazione.
Basandosi sull’ andamento del settore nei primi 9 mesi del 2009, la pubblicità di carattere nazionale dovrebbe attestarsi su ricavi complessivi per 4,3 miliardi di dollari, e cioè il 45% in meno di quanto era nel 2005. La pubblicità al dettaglio, che è il carburante fiondamen tale per ogni giornale, dovrebbe calare a 14,8 miliardi, e cioè il 33% in meno che nel 2005.
E’ difficile pensare che ci possa essere un altro settore industriale che dopo aver perso così tanto e così rapidamente, possa riguadagnare vigore. Se conoscete qualche esempio, fatemelo sapere.