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Tra i mille rivoli che oggi danno forma alle varietà di giornalismi possibili, «occorre rivelare ben più che il prodotto finito». Bernardo Parrella parte da questa frase di David Cohn, co-fondatore di Spot.us, per illustrare la convinzione che, nell’ era del giornalismo collaborativo, la trasparenza sia ”la nuova obbiettività”.
In un ampio articolo su Apogeonline che ha proprio questo titolo, Parrella ricorda che Cohn, paragonando il giornalismo agli scacchi, aggiunge, «se il contenuto è re e la collaborazione regina, la trasparenza è la scacchiera stessa». Una pratica resa ancor più inevitabile (imposta?) dall’intreccio continuo tra media tradizionali e digitali a cui pur volendo è impossibile sfuggire.
Dal raffinamento della notizia grezza alla ricerca e verifica delle fonti, dalla stesura del pezzo (o altri supporti) alla sua continua revisione, un tale processo – continua Parrella – si rivela spesso tortuoso e complesso.
Eppure tutto ciò – che nelle redazioni sia online sia tradizionali di una certa portata è solo la punta dell’iceberg di un’attività caotica e frenetica, un giorno dopo l’altro – non viene mai lontanamente rivelato o immaginato dal grande (o piccolo) pubblico, ormai abituato a sorbirsi copertine luccicanti e titoloni spiccioli a scatola chiusa. Si preferisce il prodotto ben finito e impacchettato. Arraffato al volo, come una lattina di fagioli ribolliti al supermercato, senza leggerne gli ingredienti e verificarne l’effettivo valore nutritivo.
E invece la trasparenza diventa un valore chiave del giornalismo contemporaneo, anzi, come recentemente ha affermato David Weinberge, ”la trasparenza è la nuova obiettività; nell’odierna ecologia della conoscenza va rimpiazzando parte del vecchio ruolo svolto dall’obiettività».
Secondo il noto autore e osservatore della Rete, quel che una volta prendevamo a scatola chiusa come obiettività per l’autorevolezza e il curriculum di un autore, oggi viene messa alla prova dalla citazione di fonti e riferimenti, dalle revisioni dell’opera, dai commenti altrui – elementi che tutti noi possiamo, anzi siamo chiamati a, verificare direttamente e in tempo reale. La trasparenza prospera e si moltiplica in un medium (Internet) fatto di correlazioni continue, laddove invece nel cartaceo o in radio-Tv era l’oggettività pre-confezionata a farla da padrone. «All’estremo limite della conoscenza — nell’analisi e nella contestualizzazione che oggi i giornalisti ci dicono essere il loro valore concreto — noi vogliamo, necessitiamo, possiamo avere e pretendiamo trasparenza», conclude David Weinberger.
(…) Il giornalismo – conclude Parrella – è un processo e non un prodotto, un verbo e non un sostantivo. E nell’era della partecipazione diffusa anche il mestiere “sporco” del giornalista non può non farsi sempre più visibile, verificabile, trasparente. Pena l’ulteriore distacco dalla gente, e dal loro portafoglio.