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di Andrea Fama
Si è puntato il dito contro blogger e siti di varia natura, accusati di essere parassiti dell’informazione. Si è puntato il dito contro la pubblicità, ormai in caduta libera quasi dappertutto. E, soprattutto, si è puntato il dito contro Google, accusata di sottrarre una parte esagerata dei guadagni derivanti dal traffico generato dai grandi editori, mentre in realtà Big G è piuttosto una vetrina vitale proprio per i grandi siti editoriali; una vetrina dalla quale, oltretutto, sarebbe fin troppo facile uscire (bastano pochi accorgimenti tecnici), correndo però il rischio di vedere il proprio traffico azzerato, proprio come è successo ad alcuni giornali belga (e questo gli editori lo sanno).
E mentre si puntava il dito, si pensava alle possibili soluzioni. Sarà il caso di cambiare veste grafica? È possibili rianimare il cadavere della pubblicità? Quali sono i business model possibili (Freemium? Micropagamenti?)? O addirittura, paradossalmente, si può paralizzare il Web?
Quest’ultima sarebbe solo il risultato di una scempiaggine da rasentare il grottesco. In Italia d’altronde dovremmo saperne qualcosa visto che il legislatore rema a tutta forza proprio in questa direzione. E adesso ne sanno qualcosa anche negli USA , dove un giudice di nome Posner vuole vietare per legge l’uso di link verso qualsiasi articolo di giornale o materiale protetto da copyright, senza prima aver ottenuto i dovuti consensi.
Ecco: è alla luce di questa nuova ‘’illuminante’’ proposta che la scempiaggine prende corpo dallo sfondo della assoluta incapacità di tener conto della natura innovativa, libera e spontanea del Web, che si fonda esattamente sulla capacità di fare rete: e quale altro modo esiste di fare network online se non attraverso il link?
Il giudice Posner, inoltre, tralascia una serie di fattori impossibili da trascurare quando si pensa alla dicotomia Web/Editoria, evidenziati però nell’articolo precedentemente linkato.
Innanzitutto, come abbiamo già visto, i giornali non sono obbligati a stare sul Web laddove non gradiscano le sue regole (o la presunta mancanza di esse). Secondariamente, non è accettabile che si arrivi a sopprimere la libertà di parola degli utenti (siano essi blogger smaliziati o neofiti della Rete) cavalcando l’idea che siano vampiri che succhiano avidamente contenuti senza dare nulla in cambio: il link costituisce sicuramente un valore di per sé. In terzo luogo, i siti dei grandi gruppi editoriali ricevono la maggior parte del traffico proprio attraverso i link, senza i quali molti lettori non approderebbero tra le loro pagine. Quarta ed ultima considerazione (last but not least, per restare in tema a stelle e strisce): vietare i link attraverso l’inasprimento della legge sul copyright significherebbe ignorare e stroncare quei milioni di siti che non hanno nulla a che fare con l’informazione, innescando così una reazione a catena dalle conseguenze molto ampie e, per certi versi, imprevedibili.
Oltretutto, una tale proposta sarebbe come tornare all’alba dei morti viventi propri mentre si aprono nuove, più salubri strade che portano al cosiddetto link journalism, magari passando attraverso l’API, tanto per dirne una.
Far emergere tutti i nuovi giornalismi possibili, dunque, è una necessità impellente (come dimostrato anche dall’ultima iniziativa promossa da LSDI a Roma). Per fortuna, per molti versi, visto che il giornalismo come lo conosciamo sta attraversando una crisi strutturale i cui scricchiolii ormai sovrastano il rumore delle rotative in azione e, plausibilmente, a breve copriranno anche il ronzio del giornalismo catodico, aprendo crepe forse insanabili nella pachidermica architettura dell’ informazione cartacea e televisiva. Per molti versi per fortuna, si diceva.
E’ una fortuna perchè ogni crisi è innanzitutto un’ irrinunciabile opportunità per ricominciare e reinventarsi, in un modo diverso, magari migliore. In questo caso, cominciando dalla carta stampata. Nessuna persona di buon senso, in nome del pluralismo e della buona informazione, potrebbe auspicare la chiusura di numerose testate, anche storiche, in giro per il mondo come purtroppo sta accadendo da qualche tempo a questa parte. Ma tant’ è, e bisognerebbe piuttosto trasformare la marcia funebre intonata da numerose redazioni in un coro di rinascita, capace di cogliere il segnale per un cambiamento improcrastinabile. Con le dovute eccezioni, francamente, nessuno ha più molto bisogno dei giornali così come sono oggi: molte ‘’marchette’’, lanci d’agenzia e comunicati stampa copiati e incollati da redazioni in cui la velocità delle mani sulla tastiera conta molto più di quella del pensiero nella mente. Chi ha bisogno di un giornalismo così?
Ebbene, questa crisi potrebbe riportare il giornalismo tradizionale alle sue funzioni primarie: informazione, obbiettività, approfondimento, le uniche caratteristiche per cui varrebbe la pena sborsare l’euro che canonicamente versiamo all’obolo dell’edicolante in cambio della nostra "preghiera mattutina". Ma soprattutto questa crisi, oltre a rianimare il cadavere del giornalismo tradizionale, tenuto in vita artificialmente da forze politiche e finanziarie, ci dà l’opportunità di far emergere finalmente tutti i giornalismi possibili.
Pertanto, che i giudici facciano i giudici, e che gli editori facciano gli editori, magari aggiungendo alla spiccata capacità di conteggiare gli introiti anche un pizzico di lungimiranza socio-tecnologica, perchè se esiste una crisi per i grandi giornali la colpa è probabilmente da rintracciare nella miopia che ha colpito gli editori nel momento in cui Internet ha fatto capolino nella vita di ognuno di noi.