Perché Internet indebolisce l’ autorità della stampa

rosen.jpg Jay Rosen ci spiega in un articolo per Mediachannel l’ ambito in cui si sviluppa l’ informazione politica negli USA – La sfera del legittimo dibattito, la sfera del consenso e la sfera della devianza – E’ la politica a decidere i temi che appartengono e si spostano da una sfera all’ altra, mentre i giornalisti ne sono gli esecutori inconsapevoli – Solo la rete può minare questa univoca catalogazione dell’ informazione

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di Jay Rosen
(da Mediachannel)

Nell’ epoca dei mass media, la stampa è riuscita con relativa facilità a definire le sfere del legittimo dibattito poiché le persone che ricevevano le informazioni erano automaticamente connesse al Grande Media, ma non lo erano tra di loro. Oggi, però, questa autorità si sta erodendo, e cercherò di spiegare perché.

Si tratta del diagramma più utile che ho trovato per comprendere la pratica del giornalismo negli Stati Uniti, e la politica che vi si cela dietro. Ognuno può disegnarlo manualmente proprio adesso. Basta prendere un foglio di carta e disegnarvici un grande cerchio nel mezzo. Nel centro di quel cerchio bisogna disegnarne uno più piccolo, a forma di ciambella, e denominare il buco della ciambella “sfera del consenso”. L’area di mezzo sarà chiamata “sfera del legittimo dibattito”, e quella più esterna “sfera della devianza”.
rosen2.jpg Ecco qui accanto il modello, che costituisce un modo per comprendere perché sia così improduttivo discutere con i giornalisti circa le radici politiche del loro lavoro. Loro non sono a conoscenza di questo diagramma, qui disponibie nella forma originale estratta dal libro del 1986 “The Uncensored War”, scritto dallo studioso Daniel C. Hallin. Hallin sentiva il bisogno di qualcosa di più flessibile – e veritiero – rispetto a nozioni calcificate quali l’ obiettività, mentre “le opinioni vengono confinate nelle pagine editoriali”. Per questo ha creato questo diagramma.

Analizziamo le tre aree elaborate da Hallin

1) La sfera del legittimo dibattito è il terreno della quotidianità che i giornalisti riconoscono come reale e normale. Essi ritengono che il proprio lavoro abbia luogo esclusivamente all’interno di questo spazio (non è così, ma loro ne sono convinti). Scrive Hallin: “Questa è l’area delle sfide elettorali, dei dibattiti legislativi e di quegli argomenti riconosciuti come tali dai principali attori del processo politico americano”.

Qui regna il sistema bipartitico, e l’agenda dei media è plausibilmente composta da ciò che gli uomini al potere hanno nella propria agenda. Probabilmente la più pura espressione di questa area è Washington Week (programma in onda sulla PBS), dove i giornalisti discutono su ciò che il sistema bipartitico definisce “gli argomenti”. Obiettività ed equilibrio sono “le virtù giornalistiche supreme” per chi partecipa a Washington Week, poichè in presenza di un legittimo dibattito è difficile stabilire dove si trovi la verità. È rischioso sostenere che la verità sia di una fazione del dibattito, o contro un’altra – anche quando lo è. Il giornalismo “da riporto” è il seme malato di quest’area, ma ne è anche la logica conseguenza.

2) La sfera del consenso è “la maternità e la torta della nonna” della politica, ovvero gli argomenti su cui ognuno si pensa sia d’accordo. Affermazioni così piatte da risultare noiose, vere fino all’ovvietà, o così ampiamente accettate da risultare menzogne universali all’interno di quest’area. Il commento di Hallin in proposito è che “i giornalisti non avvertono l’obbligo di esporre punti di vista divergenti né di rimanere osservatori disinteressati” (e ciò significa che, per chiunque abbia punti di vista che non rientrino nell’aerea del consenso, la stampa risulta selvaggiamente intrisa di pregiudizi).

Il consenso nella politica statunitense inizia, naturalmente, con la Costituzione, ma include anche altre affermazioni quali “Lincoln fu un grande presidente” piuttosto che “Non importa da dove vieni, in America puoi farcela”. Laddove i giornalisti, nell’area del dibattito, equiparano l’ideologia con lo scontro dei programmi e dei partiti, gli accademici sanno che il consenso (o area d’ombra) è pura ideologia: il credo americano.

3) Nella sfera della devianza rientrano “i punti di vista e gli attori politici rifiutati dai giornalisti e dalla società comune in quanto inutili da tenere in considerazione”. Come nell’area del consenso, anche qui la parola d’ordine non è neutralità; i giornalisti mantengono l’ordine tenendo fuori la devianza dall’informazione o, in alternativa, bollandola come inaccettabile, radicale o semplicemente impossibile. La stampa “riveste il ruolo di esporre, condannare o escludere dall’agenda pubblica” i punti di vista devianti, afferma Hallin, “tracciando e difendendo i confini di una condotta politica accettabile”.

Chiunque abbia punti di vista che rientrano nell’area della devianza – così come viene definita dai giornalisti – avvertirà la stampa come un ostacolo al tentativo di riconoscimento. Se non consideri positiva la separazione tra chiesa e stato; se credi nell’opportunità di un fondo unico per il pagamento dei costi della sanità; se dissenti dal “comportamento univoco di entrambi i principali partiti politici americani in merito a Israele” (Glenn Greenwald), allora è probabile che  l’informazione non rifletterà mai i tuoi punti di vista. E non perché vi sia un dibattito a senso unico, ma perché non c’è alcun dibattito.

Complicazioni da tenere a mente

Le tre sfere non sono separate; si generano a vicenda, come il pubblico e il privato. I confini tra le aree sono porosi e instabili. Le cose possono spostarsi da un’area all’altra – e ciò non è altro che il cambiamento politico e culturale, a pensarci bene – ma quando avviene il passaggio, questo spesso non è annunciato. Un bel giorno David Brody di Christian Broadcasting Network si presenta a Meet the Press, ma lo stesso non avverrà mai per Amy Goodman di Democracy Now.

Tutto ciò può generare confusione. Naturalmente, i produttori di Meet the Press possono sostenere in un comunicato stampa di aver “deciso che il Christian Broadcasting Network di Pat Robertson rientri nella sfera del legittimo dibattito perché …”, ma a quel punto dovrebbero spiegare il “perché” in modo plausibile, e spesso non possono. (“Abbiamo deciso che Amy Goodman non è adatta a questo programma perché …”). Il gap tra ciò che i giornalisti effettivamente fanno nell’allestire la scena politica, e la parte che possono spiegare o difendere pubblicamente – ovvero la differenza tra fare notizia e dare un senso alle cose – è ciò che provoca molta della rabbia e del malessere nei confronti della stampa politica da parte dei collegi elettorali che notano questi passaggi e gliene chiedono conto.

Vi sono delle differenze all’interno della sfera del legittimo dibattito. I giornalisti si comportano diversamente se l’argomento è più vicino al buco della ciambella piuttosto che al suo bordo. Più si avvicinano all’indiscusso cuore del consenso, più è plausibile che prospettino un singolo punto di vista come l’unico punto di vista, che è una variante di una vecchia visione circa la politica estera americana: “La politica si ferma al limitare delle acque”. (Atrios: “Ho notato da tempo la tendenza della stampa americana a prendere le parti della politica ufficiale statunitense al momento di affrontare le questioni estere”).

Un’ altra complicazione: i giornalisti non sono gli unici attori della scena. Le elezioni hanno molto a che fare con ciò che entra a far parte del legittimo dibattito. I candidati – specie quelli alla presidenza – possono legittimare un argomento semplicemente parlandone. I partiti politici possono ampliare la propria agenda, e i giornalisti ne garantiranno la copertura. Persone potenti e con molta visibilità possono iniziare a mettere in dubbio un convincimento accettato e rimuoverlo dalla categoria dei “siamo tutti d’accordo”. E certamente sia l’opinione sia il comportamento pubblico vi si adatteranno nel tempo.

Alcune implicazioni del modello Daniel Hallin

Il fatto che i giornalisti affermino e difendano la sfera del consenso, consegnino idee e attori alla sfera della devianza e decidano il passaggio da un sfera all’altra, non rientra affatto nella descrizione delle proprie mansioni. Né lo si insegna nelle scuole di giornalismo. È una parte intrinseca di ciò che fanno, ma non è una parte naturale al momento di pensare o parlare del proprio lavoro. Il ché significa che spesso lo svolgono male. Le decisioni che riguardano il “posizionamento delle sfere” possono essere arbitrarie, automatiche, dettate dalla paura o eccessivamente chiuse mentalmente. Ciò che è peggio è che spesso queste decisioni sono invisibili agli occhi di chi le prende, e di conseguenza discutere con queste persone è impossibile. È come provare a lamentarsi con l’insegnante di proprio figlio circa i valori che gli vengono impartiti a scuola, mentre l’insegnate insiste che a scuola non si impartiscono valori.

Quando (con alcune eccezioni) i giornalisti politici hanno sbagliato nell’esaminare l’operato di Gorge Bush nella guerra in Iraq, stavano compiendo un errore di categoria. Hanno considerato il piano Bush come parte della sfera del consenso. Ma anche con l’appoggio del Congresso, un caso di guerra non può essere rimosso dalla sfera del legittimo dibattito. È davvero una cattiva idea, come quella di posizionare idealmente gli oppositori della guerra all’interno della sfera della devianza. In politica, quando qualcuno sbaglia in questo modo, possiamo sempre dirgli di togliersi dai piedi. Ma il Primo Emendamento implica che non possiamo fare lo stesso con i giornalisti. Fuori dai piedi non ci vanno. E in seguito sono liberi di affermare di non aver sbagliato affatto, così come David Gregory, attuale conduttore di Meet The Press, sostenne a sua perpetua vergogna.

“Non possiamo permetterci di pensare politicamente”

Non vi è dubbio che decidere cosa è legittimamente dentro e cosa fuori dal dibattito nazionale sia un atto politico. Tuttavia, è opinione diffusa nella stampa che i giornalisti non intraprendono simili azioni, in quanto farlo sarebbe contro i loro principi. Sul perché le cose vanno in prima pagina, Len Downie, ex editore del Washington Post, una volta ebbe a dire: “Pensiamo sia importante dal punto di vista dell’informazione. Non possiamo permetterci di pensare politicamente”. Penso che abbia ragione. La stampa non consente a sé stessa di pensare politicamente. Ma intraprende azioni politiche. E quindi si tratta di un attore inconsapevole, il ché è sbagliato. E al momento di ricevere delle critiche in proposito, le rifiuterà nettamente, altra cosa sbagliata.

Atrios, economista e blogger liberale dal gran seguito, usa un’espressione più colorita per “mantenere i confini attorno ala sfera del legittimo dibattito”. Spesso scrive degli “sporchi hippy bastardi”- intendendo la sinistra on-line e fuori dal potere – e del modo in cui questo gruppo è marginalizzato dai giornalisti di Washington, che a volte sembrano definirsi contro di loro. “Alla fine degli anni novanta, gli sporchi hippy bastardi erano persone fuori di testa che pensavano che Bill Clinton non dovesse dimettersi né essere accusato”, scrive Atrios. “Nella vasta landa desolata dei nostri mainstream media non vi era quasi posto in cui si esprimesse il punto di vista della maggioranza degli americani, ovvero che tutta quella vicenda fosse pazzesca”. A volte, le persone che la stampa considera soggetti devianti sono più vicini alla sfera del consenso di quanto non lo siano i giornalisti che classificano quelle stesse persone come “marginali”.

Come può accadere ciò? Uno dei problemi della nostra stampa politica è che il gruppo di riferimento a cui ricorre per determinare il “terreno” del consenso è costituito dagli insider, o dalla classe politica di Washington. La stampa, poi, offre questo consenso al Paese come se appartenesse al Paese stesso, mentre non è necessariamente così. Ciò erode sicurezza in un modo che può essere invisibile ai giornalisti che si comportano da insider. E dà l’opportunità a persone come Jon Stewart di sfruttare il gap tra il fare notizia e il dare un senso alle cose.

“Stanza dell’eco” o contro-sfera?

Ora è chiaro il perché i blog e la Rete siano così importanti nel giornalismo politico. Nell’ epoca dei mass media, la stampa è riuscita con relativa facilità a definire le sfere del legittimo dibattito poiché le persone che ricevevano le informazioni erano automaticamente connesse al Grande Media, ma non lo erano tra di loro. Oggi, però, uno dei principali fattori che sta cambiando il nostro mondo è il costo sempre minore per le persone con interessi affini di rintracciarsi a vicenda, condividere informazioni, scambiarsi impressioni e tirarne le somme.

Stabilire che la “sfera del legittimo dibattito” così come definita dai giornalisti non corrisponde alla loro definizione è tra le prime cose che queste persone possono fare.

In passato non c’era spazio per questo genere di opinione. Ora, invece, si raccoglie, si solidifica e si esprime on-line. I blogger attingono ad essa per guadagnare consensi e soddisfare una richiesta. I giornalisti la chiamano la “stanza dell’ eco”, che è il loro modo per declassarne l’ affidabilità come fonte. Ma ciò che sta realmente accadendo è che l’autorità della stampa nel guadagnare consensi, definire la devianza e stabilire i termini del legittimo dibattito risulta indebolita nel momento in cui le persone possono connettersi orizzontalmente attorno ad una notizia. Tutto ciò spiega come sono arrivato alla mia breve formula per comprendere gli effetti di Internet sulla politica e sui media: “vittoria dell’ atomizzazione dell’ utenza”.

(traduzione di Andrea Fama)