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di Matteo Bosco Bortolaso
In Italia come in Usa, il 2009 potrebbe essere l’anno nero della pubblicità. Il fiume di soldi dagli inserzionisti è ormai diventato un rigagnolo prosciugato dalla crisi economica.
Secondo i dati di Publishers Information Bureau (un centro studi della Magazine Publishers of America), nei primi tre mesi di quest’anno le riviste americane hanno perso il 26% delle pagine pubblicitarie rispetto allo stesso periodo del 2008.
Il peggiore di tutti è stato il magazine generalista U.S. News & World Report (-69%) seguito da Condé Nast Portfolio, rivista aperta due anni fa che si occupa di affari e finanza (-60,9%). Bisogna dire che entrambe le testate hanno deciso di pubblicare meno frequentemente, perciò il paragone tra 2008 e 2009 è sfalsato. La minore pubblicazione, d’altro canto, è l’ennesimo sintomo della crisi. Vanno male anche il magazine di lingua spagnola Ser Padres (-60,2%), il Techology Review (58,2%) e il celebre Wired (57,2%).
Meno pubblicità anche sulle riviste sportive Boating, Sporting News, Boating Life, Sport Fishing, Power & Motoryacht e Power Cruising. Tutti si attestano sul -50%.
Solo 15 delle riviste monitorate dal Bureau sono andate bene e possono vantare un maggior numero di pagine acquistate dagli inserzionisti. Ma di queste, la Hallmark Magazine – che aveva registrato un + 30,5% – ha dovuto chiudere i battenti per la crisi.
Le grandi case editrici non sono andate bene: la Hachette Filipacchi Media e la Hearst Magazines non sono riuscite a vendere più pagine di pubblicità. Alla Time Inc. va bene solo una rivista, la Sports Illustrated Kids (+30%). La Condé Nast ha contenuto le perdite soltanto al magazine Golf World (con un misero +0,2%).
Il crollo della pubblicità non è una sorpresa. Già l’anno scorso c’erano tutti i presagi: nei quattro trimestri si erano registrate perdite, nell’ordine, del 6,4%, 8,2%, 12,9% e 17%.
L’ agenzia di consulenza Zenith Optimedia azzarda una previsione tutto sommato non troppo drammatica: nel 2009 verrà perso complessivamente l’11% di pubblicità. "Siamo nel mezzo di un periodo di netto deterioramento – scrive Optimedia – molti considerano la pubblicità come una spesa discrezionale e per questo considerano conveniente tagliare".
Il fiume della pubblicità si è rinsecchito anche per le tv (Optimedia prevede -8,7% annuale) e soprattutto per i quotidiani. Gli esperti del settore "si aspettano perdite nette tanto da spazzar via i margini di profitto in diversi giornali (…) spingendo gli editori, già deboli, alla bancarotta o addirittura alla chiusura", ha scritto Richard Perez Pena, che segue per il New York Times il mondo dei media.
Effettivamente John Morton, esperto del mercato dei quotidiani, dichiara che "il 30% (in meno) non sarà una cifra lontata dalla realtà per i giornali più grandi". Quelli più piccoli, pur sempre in perdita, potrebbero andar meglio.
Tutti i media hanno assistito ad drammatico sgonfiamento della pubblicità – solitamente massiccia – nel periodo precedente alla Pasqua. "Visto lo stato dell’economia – commenta Lauren Rich Fine, ricercatrice per Content Next Media – le aziende hanno davvero inziato a ritirarsi notevolmente", in particolar quelle del settore automobilistico.
Vittima sacrificale di questo primo trimestre nero è stato il giornale più diffuso degli Stati Uniti, Usa Today. L’ editrice Gannett, che pubblica complessivamente più di 80 quotidiani, ha registrato un terribile -60% nelle entrate. Usa Today, la pubblicazione più importante, ha venduto 527 pagine pubblicitarie contro le 826 del primo trimestre 2008: il 28% in meno, in linea con le previsioni di settore.
Finora il giornale era stato meno colpito rispetto ai cugini locali, che dipendevano molto dai piccoli annunci, i quali stanno ormai migrando verso il web. Ora però la crisi ha ridotto pure le pubblicità dei grandi nomi dell’ industria dei viaggi, dell’ intrattenimento, della finanza, che solitamente campeggiavano dalle pagine di USA Today. Il giornale era forte di una tiratura di 2,3 milioni di copie, ma ora sono previsti numeri più bassi.
La cosa preoccupante, registrata anche in altri casi, è che ci sono state perdite per il 20% anche nel settore online, il quale era solitamente immune ai mali che affliggono i quotidiani cartacei.
Già l’anno scorso la Gannett aveva tagliato 4 mila posti di lavoro (il 10% in meno), obbligando poi alcuni addetti a prendersi giorni di ferie forzate e non pagate.