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di Andrea Fama
Tutto è iniziato con una lettera aperta di un noto blogger politico, il repubblicano Andrew Sullivan, indirizzata a George W. Bush, in cui il giornalista chiedeva all’ex presidente di assumersi le proprie responsabilità per aver autorizzato le torture nei confronti dei detenuti afgani e irakeni, in modo da chiudere un “capitolo tragico nella storia del paese” e lasciarsi alle spalle questo doloroso dibattito.
La rivista statunitense The Atlantic ha deciso di mettere in copertina la lettera di Sullivan, sfidando ogni regola commerciale e dando risalto ad un argomento ostico affrontato con un linguaggio diretto e senza compromessi (in copertina, infatti, campeggia in rosso la parola tortura).
“The Atlantic … è una delle poche riviste le cui principali decisioni editoriali non sono dettate dalla logica commerciale. Con l’attuale clima economico, e specialmente alla luce della crisi dei media tradizionali, una tale scelta fa di una rivista generalista una specie in estinzione”. È lo stesso Sullivan a parlare, e lo fa attraverso un post sul proprio blog in cui, oltre a pubblicare il link per leggere gratuitamente la propria lettera aperta, lancia un singolare invito ai lettori: se avete apprezzato la scelta editoriale della rivista, un buon modo per ripagare l’impegno giornalistico che la redazione ha sposato a scapito di un maggiore appeal commerciale è quello di acquistare il magazine o sottoscrivere un abbonamento; ciò dimostrerebbe agli editori che una decisione coraggiosa presa nell’interesse dei lettori non è necessariamente una decisione commercialmente disastrosa.
Ebbene, l’invito di Sullivan è stato generosamente accolto dai lettori che, nei due giorni successivi al post, hanno sottoscritto il 75% degli abbonamenti che il sito Web della rivista fa generalmente registrare in un mese, spingendo le previsioni verso un raddoppiamento degli abbonamenti per il mese corrente.
L’appello di Sullivan ha smosso le coscienze degli utenti-lettori che hanno premiato l’integrità editoriale della rivista, dimostrando di “voler sostenere un media che affronta temi spinosi e compie scelte non commerciali”.
Soprattutto, però, questo episodio fa breccia in un odioso convincimento/preconcetto e ribalta il paradigma che finora ha additato i nuovi media come causa di ogni male del sistema giornalistico tradizionale, affermando la necessaria coesistenza di new e old media nel processo di evoluzione di un nuovo giornalismo (crossmediale) che va delineandosi e che presto o tardi emergerà nella sua nuova forma temporaneamente definitiva. “È fantastico”, commenta Sullivan, “che i new media possano supportare quelli tradizionali in tale modo”.