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di Andrea Fama
Internet è un tema ormai sempre più dibattuto. Dalla new economy ai social network, tutti in questi anni hanno avuto modo di entrare in qualche modo nel dibattito della rivoluzione internettiana e di tutte le sue potenziali implicazioni, tanto affascinanti quanto, a volte, perniciose. E il 2009 non ha fatto eccezione, aprendosi sotto l’egida di due avvenimenti internazionali che hanno posto al centro dell’attenzione proprio le implicazioni della Rete in due ambiti molto delicati come quello dell’infanzia e del diritto. Allo stesso tempo, però, questo inizio d’anno ha svelato, ancora una volta, la conflittualità tutta nostrana nei confronti del mezzo.
Catturati dalla Rete: sicurezza on-line per i più giovani
Il 10 febbraio si è tenuto a Bruxelles l’edizione annuale del Safer Internet Day (SID), che quest’anno si è concentrato molto sulle campagne contro il cyber-bullismo e, sempre nel tentativo di consentire ai più giovani di fruire in sicurezza delle incredibili opportunità offerte dalla Rete, ha riconosciuto sette principi fondamentali: necessità di una comunicazione sicura; adeguatezza dei servizi all’età del pubblico; maggiore tutela della privacy degli utenti; utilizzo più semplice ed immediato delle piattaforme on-line; previsione di un sistema che recepisca immediatamente segnalazioni di contenuto o condotta illegale; previsione di una specifica abilitazione degli utenti; necessità di controlli per accertare eventuali violazioni.
Diritto e castigo: tutelare la libertà degli utenti contro gli abusi dei governi
Al SID, il cui obiettivo è garantire ai più giovani il diritto a navigare sicuri su Internet, si affianca l’Internet Governance Forum (IGF) tenutosi in India a fine 2008, i cui obiettivi sono quelli di garantire a tutti il diritto di veder tutelata la propria libertà d’espressione, ultimamente spesso minata da leggi e provvedimenti emanati da più Stati che hanno abusato della nozione di sicurezza nazionale scaturita dall’undici settembre.
Come si vede, sicurezza e diritti vanno di pari passo. Ma se da un lato si parla della sicurezza morale e fisica di giovani e bambini, dall’altro si parla della sicurezza politica di forze che stritolano la libertà d’espressione delle persone soffocando un mezzo dalle caratteristiche ‘sovversive’ quale Internet.
Di fatto, proprio Internet ha modificato profondamente il rapporto tra tecnologia e democrazia, libertà e prepotenza, riportando in auge la questione del diritto. Come fa notare Stefano Rodotà dalle colonne di Repubblica.it, “pesantissimo è stato l’intervento degli Stati con norme repressive delle libertà individuali e collettive, giustificate con l’argomento, o il pretesto, della lotta al terrorismo e alla criminalità. Identico, però, il risultato. Sacrificio dei diritti, poteri fuori controllo, uso spregiudicato della dimensione globale”. Rodotà riporta anche lo stralcio di un recente rapporto del Consiglio d’Europa che si conclude con l’asserzione, disarmante per chiarezza, secondo cui "in troppi casi le leggi e le azioni politiche adottate sono sproporzionate e sono state usate in maniera abusiva, non per tutelare la sicurezza pubblica, ma piuttosto gli interessi politici dei governi. Gli organismi internazionali hanno messo a punto strumenti non equilibrati e che non garantiscono adeguatamente i diritti fondamentali. E ciò è dovuto, almeno in parte, al fatto che i peggiori governi sono stati i più convinti sostenitori di una espansione di questi strumenti internazionali per giustificare i loro abusi interni".
La pirateria, la Siae, il Premier, YouTube. E gli utenti?
Tutto questo ci riporta ad una dimensione familiarmente nostrana, dove la partita non è solo politica, ma anche economica. A fine gennaio, infatti, circa un mese dopo l’IGF, trapela la notizia che il Governo italiano, attraverso il Comitato Tecnico contro la pirateria digitale e multimediale, stia preparando una legge a tutela dei diritti d’autore e contro gli utenti che lo violano scaricando o condividendo file soggetti a copyright, legge che in realtà andrebbe a imbavagliare la Rete colpendola nella sua accezione più partecipativa: il 2.0 e il social networking. In totale controtendenza rispetto alle posizioni auspicate dal Forum internazionale, in Italia, ancora nelle parole di Rodotà, si ricorre al tema della sicurezza e dei diritti d’autore come “pretesto per rafforzare pure logiche di mercato e derive di tipo autoritario”. Secondo l’ex Garante della Privacy, infatti, “l’attacco a YouTube avviene in un paese, unico al mondo, dove una società privata (Mediaset) ha chiesto 500 milioni di risarcimento. Quindi il governo interviene in una materia che vede un’impresa del presidente del Consiglio in conflitto giudiziario con YouTube”.
Ma i risvolti che legano politica, economia e diritti individuali non finiscono qui. Secondo Marco Pieani, infatti, responsabile dei rapporti istituzionali di Altroconsumo, “Il Comitato Tecnico contro la pirateria digitale e multimediale nasce "blindato", avendo tra i suoi membri principalmente funzionari governativi ed esponenti della Siae. Altri importanti soggetti sono esclusi dal tavolo, quali utenti, provider, piattaforme multimediali, operatori delle telecomunicazioni. E’ importante garantire agli autori i diritti sulla proprietà intellettuale – continua Pierani – ma non si può condannare chi scarica file in modo illecito senza guardare anche al mercato, senza cogliere cioè l’apporto ‘sbloccante’ che possono avere le nuove tecnologie di fronte al perpetuarsi di un monopolio nazionale dell’intermediazione dei diritti d’autore, che danneggia i consumatori.Inoltre, a nostro avviso non è corretto che il Comitato scavalchi il Parlamento divenendo l’unico organismo deputato a elaborare una eventuale proposta di legge”.
Comprensibilmente, si tratta di una questione molto intricata, in cui si intrecciano i fili della stabilità politica, della salvaguardia dei mercati tradizionali (specie quelli dei media) e delle libertà individuali, sacrificate in nome di logiche di sicurezza e di mercato unilaterali. Ma la questione naturalmente va più a fondo, perché le libertà individuali degli utenti incontrano un ostacolo a tratti insormontabile prima ancora che nelle leggi che disciplinano la loro applicazione in Rete, già in quelle che ne consentono l’accesso.
Non aprite quella porta: la legge Pisanu e l’accesso alla Rete
È il caso della legge Pisanu, che circa un mese fa è stata prorogata fino al 31 dicembre 2009. In un paese già cronicamente penalizzato dal digital divide (che ne inibisce la produttività dei mercati così come l’imprescindibile emancipazione tecnologica dei cittadini), la legge Pisanu limita fortemente anche l’accesso pubblico a Internet e alle reti wi-fi.
Infatti, la legge (nata ovviamente per motivi di sicurezza, ma con pesanti ripercussioni anche sul libero mercato) impone che “chi offre accesso a internet in un pubblico esercizio o in un circolo privato è tenuto a registrarsi presso la Questura. Deve inoltre tenere un registro dei dati dei propri clienti o soci che si connettono a Internet. C’è l’obbligo a un’identificazione certa degli utenti della propria rete (tramite carta d’identità o numero di cellulare) e a custodire i dati sul traffico che hanno fatto su Internet (il cosiddetto "log"), perché le forze dell’ordine, all’occorrenza, possano consultarlo. Il tutto vale non solo per gli Internet point ma anche per qualsiasi privato che, da un esercizio pubblico o da casa propria, voglia dare accesso a internet a terzi”. È evidente che restrizioni del genere rendono quasi impossibile la vita a chiunque volesse offrire o accedere a reti wi-fi pubbliche o a pagamento. E se da un lato una misura del genere reprime lo sviluppo di un libero mercato della concorrenza (problema ormai ambientale in Italia, specie per quanto riguarda telecomunicazioni e IT) scoraggiando la diffusione di una Rete accessibile ed economica, dall’altro va a castrare ancora una volta le libertà individuali dei cosiddetti netizen, costretti a sottostare a processi di schedatura degni della migliore tradizione cinese sul controllo del traffico Internet e delle opinioni in generale, processi di identificazione forte che neanche il Patriot Act promulgato negli U.S.A. dopo l’undici settembre contempla in maniera così esasperata.
A volte ritornano: il DDL Levi-Prodi-D’Alia
È finita qui? Neanche per idea. Qualcuno disse che una volta toccato il fondo non si può che risalire. In Italia, purtroppo, sovente capita di cominciare a scavare. Ancora risolutamente in nome della sicurezza, infatti, il Senatore D’Alia rispolvera l’ormai notorio disegno di legge Levi-Prodi, (che pretendeva di affibbiare alla Rete gli oneri economico-legali della stampa), riadattandolo come emendamento all’attuale pacchetto sicurezza (DDL 733). Un contributo pubblicato recentemente su Agoravox riporta l’articolo 50 del disegno di legge 733, che recita: “Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell’Interno, in seguito a comunicazione dell’autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l’interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine”. In linea di principio il DDL è pressoché incontestabile, ma come sempre i contorni fumosi ne consentono un’interpretazione così ampia che potrebbe includere facilmente anche forme legittime di dissenso, spingendo quindi il dibattito verso la terra di confine in cui il reato d’opinione e la libertà d’espressione si danno da sempre battaglia.
L’Anonima Capestri: il DDL Carlucci
In Italia, si sa, non vogliamo farci mancare mai niente e si farebbe di tutto per garantire la sicurezza, soprattutto in Rete. Detto, fatto. Cogliendo fior da fiore tra le proposte di legge avanzate in Parlamento, non si può ignorare il post sbocciato il 17 febbraio sul blog dell’esperto Stefano Quintarelli, secondo cui l’On. Gabriella Carlucci avrebbe avanzato un disegno di legge volto proprio ad “assicurare la tutela della legalità nella rete Internet”.
Da quanto trapelato (e fondamentalmente confermato dall’ufficio stampa della ex conduttrice Tv), il DDL comprenderebbe i quattro seguenti punti:
– 1. E’ fatto divieto di effettuare o agevolare l’immissione nella rete di contenuti in qualsiasi forma (testuale, sonora, audiovisiva e informatica, ivi comprese le banche dati) in maniera anonima
– 2. I soggetti che, anche in concorso con altri operatori non presenti sul territorio italiano, ovvero non identificati o indentificabilì, rendano possibili i comportamenti di cui al comma 1. sono da ritenersi responsabili – in solido con coloro che hanno effettuato le pubblicazioni anonime
– 3. Per quanto riguardai reati dì diffamazione si applicano, senza alcuna eccezione, tutte le norme relative alla Stampa
– 4. In relazione alle violazioni concernenti norme a tutela del Diritto d’Autore, dei Diritti Connessi e dei Sistemi ad Accesso Condizionato si applicano, senza alcuna eccezione le norme previste dalla Legge 633/41 e successive modificazioni
Il DDL Carlucci, in pratica, oltre a ricalcare le recenti proposte relative al diritto d’autore (comma 4) e a rinverdire i fasti della Levi-Prodi-D’Alia (comma 3), introduce in maniera incatalogabile il concetto di anonimato (comma 3). Non si capisce, infatti, se per anonimato si intende la mancata registrazione delle generalità o di un nickname, piuttosto che la rintracciabilità tramite indirizzo IP.
Stando così le cose, come osserva l’Avvocato Minotti su Punto Informatico, le responsabilità (comma 2) potrebbero ricadere praticamente su chiunque: sull’utente che opera in maniera anonima, sui fornitori di servizi che permettono la pubblicazione di contenuti senza richiedere alcuna identificazione (vedi Wikileaks) e sui fornitori di connettività che consentono di operare in modo anonimo (vedi TOR). In definitiva, tra forum, convegni e disegni di legge emerge come il resto del mondo valorizzi la Rete e cerchi di tutelarla insieme ai suoi utenti, mentre in Italia è costante la tentazione di sterilizzare le possibilità di accesso e di utilizzo di Internet. Per il momento si tratta “solo” di disegni di legge, che però vanno ad affiancarsi a leggi limitanti già esistenti e, soprattutto, ad una tendenza castrante e autoritaria che ha ben poco di rassicurante.