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di Andrea Fama
“I nuovi mezzi di comunicazione e manifestazione del pensiero non possono rientrare nel concetto di stampa” in quanto “sono una semplice area di discussione dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa (come indicare un direttore responsabile per registrare la testata) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che la Costituzione riserva solo alla stampa”.
È la Cassazione a parlare (terza sezione penale, sentenza 10535), che proprio ieri ha respinto il ricorso della Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) in merito al sequestro prima dell’intero forum “Dì la tua” – su cui erano comparsi commenti di vilipendio verso alcuni organi e figure religiose in violazione dell’Art. 403 del Codice Penale – e poi delle sole pagine in cui erano rintracciabili i commenti, in attesa che gli autori (tre, nella fattispecie) potessero essere individuati e sanzionati.
La sentenza della Cassazione non convince l’Aduc, che sottolinea due importanti aspetti, uno di carattere strettamente giuridico e l’altro di natura etica.
Innanzitutto, ribattono dall’Associazione degli utenti e dei consumatori, “l’articolo 21 della Costituzione oltre a ribadire che La stampa non puo’ essere soggetta ad autorizzazioni o censure, recita anche che Si puo’ procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorita’ giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”. In pratica, il sequestro può avvenire solo in presenza di un reato già previsto dalla legge sulla stampa, e l’articolo 403 non è uno di questi, rendendo pertanto la decisione del PM Luigi Lombardo un atto incostituzionale.
E fin qui il diritto, che di norma non dovrebbe lasciare troppo spazio alle interpretazioni. Ma dall’Aduc sottolineano un secondo aspetto etico, legato al fatto che, “rispetto alle leggi che disciplinano le liberta’ di espressione dei cittadini, la stampa gode di una sorta di immunità o ‘via preferenziale’. Un esempio: se il giornalista Tizio scrivesse un pensiero contrario al buon costume su un quotidiano non potrebbe essere censurato, contrariamente al comune cittadino Caio che manifestasse lo stesso identico pensiero su un forum in Internet. In altre parole, per la Cassazione esistono le liberta’ di serie A e quelle di serie B. E quelle legate alla libera manifestazione del pensiero individuale di chi non e’ giornalista sono di serie B”.
Ebbene, da un lato la sentenza della Cassazione suscita accesi dibattiti etico-giuridici circa i tentativi – o presunti tali – di limitare la libertà d’espressione degli utenti-cittadini contrastandola attraverso gli strumenti del reato d’opinione (i cui confini sono estremamente labili); dall’altro, però, sancendo inequivocabilmente che la rete non è la stampa, dovrebbe (il condizionale è rigorosamente d’obbligo) cancellare le velleità di quanti, attraverso vie più o meno subdole, tentano da più parti di affibbiare proprio al Web gli oneri della carta stampata (come la necessità di indicare un direttore responsabile, l’obbligo ad registrarsi presso il tribunale e il rischio di incappare in sanzioni varie, tra cui quella del reato di stampa clandestina, cosa per altro già accaduta).
È il caso dei già commentati DDL Carlucci e dell’emendamento D’Alia al DDL sicurezza (per saperne di più clicca qui e qui), due iniziative che, partendo dalla difesa di cause ben precise come la pedopornografia e l’istigazione a delinquere, migrano serenamente verso altri lidi illuminati dal sole implacabile della difesa del diritto d’autore dei materiali audiovisivi e delle stringenti limitazioni alla libera contribuzione degli utenti al processo partecipativo e informativo cui da luogo la Rete.
Relativamente al DDL Carlucci, la sentenza, per quanto possa far discutere, ha perlomeno il merito di arrestarne il cuore pulsante che, oltre all’attacco contro l’anonimato e ad una strenue difesa dei diritti d’autore, si proponeva di applicare alla Rete le leggi sulla stampa tout court (Articolo 2, comma 3) mentre caricava gestori, fornitori e operatori delle responsabilità in solido dei reati di cui eventualmente si sarebbero macchiati gli utenti (Articolo 2, comma 2). Ebbene, tutto ciò dovrebbe essere scongiurato, almeno secondo Fulvio Sarzana di S. Ippolito, avvocato esperto di internet che su Repubblica.it ha così commentato la vicenda: “Viene finalmente chiarito che non c’è l’obbligo di controllo su quanto pubblicato dai commentatori sul proprio blog. La responsabilità di eventuali diffamazioni è solo dei commentatori. Lo sarebbe anche del gestore del blog, se si applicassero le leggi sulla stampa”. In realtà, stando a quanto riportato da un altro esperto, Guido Scorza, Presidente dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione, l’obbligo dei gestori di sorvegliare sui contenuti era scongiurato –fino ad un certo limite – già prima di questa sentenza in base alla Direttiva UE 31/2000 e al D.Lgs. 70/2003.
Ma se il DDL Carlucci è ancora tale, cioè una proposta, tutta un’altra storia, invece, per l’emendamento D’Alia, il famoso – o famigerato, dipende dai punti di vista – articolo 50 Bis, approvato sempre ieri al Senato, in barba alla legge “Salvablog” proposta dall’On. Cassinelli. L’articolo, volto alla “repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo Internet”, non fa distinzione tra stampa e Internet laddove si verifichino reati come quelli che intende perseguire, rendendo ostica la coesistenza con una sentenza fresca di Cassazione. Infatti, se si volesse chiudere Facebook perché, in seguito alla diffida del Ministero degli Interni (e non della magistratura, che interverrebbe solo in caso di ricorso del soggetto colpito), non cancella ad esempio i contenuti inneggianti a Cutolo o Riina, di fatto non si potrebbe farlo perché il gestore non è da ritenersi responsabile. Ma il polverone suscitato da Facebook per i gruppi in sostegno della mafia, piuttosto che i video di bullismo caricati su Youtube, sono solo la punta dell’Iceberg, in quanto ogni cittadino di buon senso condanna simili manifestazioni ottuse e pericolose, a prescindere dalla libertà d’espressione di ognuno di noi. Il problema reale, e più insidioso, si pone con i blog e i forum, dove generalmente non ci si sofferma su idiozie apologetiche sulla mafia, ma si cerca di capire e condividere con spirito critico la realtà che ci circonda, costituita da fatti, leggi o persone che potrebbero non incontrare il favore di tutti.
A questo punto, per quanto si possa condividere una legge che miri ad impedire che la Rete diventi ricettacolo di propaganda criminale, resta da stabilire (e sarebbe tutto in mano alla politica) il confine, quanto mai polveroso, tra apologia di reato, istigazione alla disobbedienza alle leggi e semplice disaccordo, seppur espresso con toni magari virulenti, che sono poi quegli stessi toni a cui proprio la politica ci sta gradualmente abituando.