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di Philip Stone
(Follow the Media, 18 febbraio 2009)
E le nuvole sembrano addensarsi ancor più minacciose sulla free press da quando Schibsted, la vulcanica media company norvegese, a gennaio ha annunciato che la versione spagnola di 20 Minutes versa in cattive acque – con entrate che si sono abbassate del 34% nell’ultimo trimestre rispetto all’anno precedente.
Di fatto, la Spagna, che solo qualche anno fa era il fulgido esempio di come il business model della free press potesse davvero funzionare, ora si è davvero arenata. Metro International, il principale gruppo di free press al mondo, ha chiuso la divisione spagnola che edita Metro edita in sette città della nazione. (Vedi Lsdi, Free press, chiude una testata a Praga).
La decisione di chiudere Metro in Spagna è giunta molto repentinamente, afferma Piet Bakker, considerato il maggior esperto mondiale in tema di free press. Bakker, che presso la Amsterdam University gestisce il sito web Newspaper Innovation incentrato sul mondo della free press, ha rilevato che Metro stava “effettuando tagli all’organico e alle edizioni già a novembre/dicembre, staccando poi la spina nel giro di una settimana”. Metro ha affermato di aver vagliato la possibilità di una fusione in Spagna, risoltasi però con un nulla di fatto.
“L’ammontare delle perdite combinate del mercato free press spagnolo era tale da rendere estremamente difficile l’individuazione di un’alternativa che avrebbe migliorato le performance finanziarie di Metro Spain”, sostiene l’azienda in un comunicato.Pertanto, se la Spagna è andata, quanto mancherà per le tre proprietà Metro negli Stati Uniti? “In termini di raccolta pubblicitaria e numero di pagine le edizioni statunitensi non sono messe così male”, dichiara sorprendentemente Bakker a Follow The Media attraverso uno scambio di mail.
“In qualche modo Boston sembra essere indietro, ma il New York Times (49% della proprietà) è in fase decisionale (recentemente il NYT ha dismesso il proprio investimento su Boston Metro). Per più di un anno Metro è stato alla ricerca di acquirenti (New York e Philadelphia). La mia opinione è che se la pubblicità continua a crescere così, allora andranno avanti, altrimenti, se la recessione peggiora, finiranno per chiudere”.“Dal momento che la strategia di Metro”, continua Bakker, “è evidentemente quella di disinvestire le operazioni non redditizie e/o cercare partner sui mercati più ostici, e visto che entrambe le strategie non hanno funzionato negli Stai Uniti, ci si domanda quali siano i loro piani. La differenza con la Spagna è che la competizione lì era molto più intensa (quattro altri titoli), mentre negli U.S.A.hanno un solo competitor, a New York”.
È stato Bakker il primo a notare, nel settembre 2008, che la tiratura della free press europea fosse diventata un punto di riferimento – la tiratura è crollata, ma ciò non sorprende se si considera che nel 2007 sono state 23 le testate ad interrompere le pubblicazioni, e da allora altre 12 le hanno seguite nel 2008. All’epoca, Bakker avvertì che a soffrire maggiormente sarebbero stati i gratuiti basati unicamente sulla pubblicità e privi dell’ apporto di un grande gruppo editoriale capace di assorbire le perdite e di offrire proposte pubblicitarie congiunte. Metro ribatte sostenendo che nonstante la tiratura sia in calo, il numero di lettori è in crescita. Come esempio del crollo della tiratura, Bakker porta il caso della Spagna, dove nel 2008 la tiratura media dei quotidiani nazionali gratuiti era di 3,2 milioni di copie rispetto ai 3,8 milioni del 2007. Quest’anno, però, la Spagna ha iniziato con una tiratuta inferiore ai 2,5 milioni.
Probabilmente, in Europa la più spettacolare chiusura di un gratuito è quella della testata danese Nyhedsavise, chiusa a settembre. Nonostante fosse il quotidiano più letto in Danimarca, Nyhedsavise ha registrato perdite pari a circa 100 milioni di dollari a partire dalla sua nascita nell’ ottobre 2006. Il mese scorso, Morten Lund, suo principale azionista che negli anni ha accumulato diverse fortune investendo in start-up del web come Skype, è stato dichiarato personalmente in bancarotta.
Metro International sostiene di avere più di 20 milioni di lettori al giorno per le 100 edizioni che pubblica in 20 paesi. Sostiene anche che dal lancio avvenuto a Stoccolma nel 1995, la propria raccolta pubblicitaria ha registrato una crescita annuale del 38%, che però non si è rivelata sufficiente per far chiudere i bilanci in pari nel 2008, registrando un ultimo trimestre in perdita. Di conseguenza, l’ azienda dichiara che attualmente ha difficoltà a osservare il proprio impegno a saldare i prestiti di cui ha goduto, ed è per questo che sta per emettere nuove azioni al fine di rastrellare 550 milioni di corone svedesi (circa 50 milioni di euro, o 65 milioni di dollari). Kinnevik Investment, che detiene il 44% della compagnia, dichiara che accetterà l’iniziativa e pertanto Metro International continuerà la propria attività.
La decisione più indecifrabile presa per supportare una testata gratuita viene da Londra, dove Daily Mail & General Trust (DM>) ha deciso di vendere ad un oligarca russo – ex funzionario del KGB presso l’ambasciata sovietica – il quotidiano a pagamento Evening Standard, mantenendo il controllo della free press London Lite, in aperta competizione con thelondonpaper, di proprietà di Murdoch. London Lite ha una tiratura giornaliera di circa 400.000 copie, tehlondonpaper si attesta sulle 500.000, mentre l’Evening Standard tocca le 292.976 copie, ma solo il 53% di queste è venduto al prezzo pieno di 50 centesimi a copia, mentre il resto è venduto all’ ingrosso.
A quanto pare, l’Evening Standard sta vagliando nuove strategie per continuare ad essere un giornale a pagamento nella fascia oraria in cui ci si sposta per recarsi al lavoro, salvo poi, dopo le 19:30, essere distribuito gratuitamente in posti particolarmente affollati come i teatri o le stazioni metropolitane. Secondo DM>, che possiede la testate gratuita e molto redditizia Metro (di cui è legalmente proprietaria del nome e che non ha nulla a che fare con Metro International), vi sarà una grande convergenza pubblicitaria tra quest’ultima e London Lite. Si tratta di un esempio di come un gruppo editoriale possa decidere di cedere una sua testata a pagamento per mantenerne una gratuita. E non è qualcosa che ci è dato vedere ogni giorno.
(traduzione di Andrea Fama)