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L’ Italia si è fermata anche perché non c’ è un’opinione pubblica. La tesi è stata al centro di un dibattito vivace negli ultimi mesi e ha rilanciato un tema di fondo: l’indipendenza dei mezzi di comunicazione nel nostro Paese. Indipendenza dalla politica, indipendenza dagli interessi economici e finanziari che non siano indirizzati alla promozione dell’ informazione.
Il tema ha una valenza politica di fondo, perché non c’è democrazia senza informazione indipendente. Inoltre richiama progetti e proposte che risalgono molto indietro nella storia italiana.
Due sono i nomi che possono essere presi come punti di riferimento: Luigi Albertini e Luigi Einaudi. Il primo scambio di idee tra i due risale addirittura al 1926, quando Albertini era stato appena costretto dal regime fascista a dimettersi dalla direzione del Corriere. Ma Einaudi ripropose la questione fin dal ’45, appena ristabilita la democrazia in Italia.
Alla base dell’ idea di Einaudi la convinzione che "non esiste e non esisterà mai alcun rimedio legale atto a garantire l’ indipendenza della stampa quotidiana": coerentemente con la sua filosofia liberale Einaudi era convinto che fossero i privati a dover trovare gli strumenti per garantire l’ indipendenza e l’ informazione. Per fare questo si richiamava all’ esperienza di un giornale britannico che a questo modello si è ispirato e ad esso deve una fortuna e un prestigio ancora oggi indiscussi: The Economist.
Sulla base di queste idee e nella convinzione che l’indipendenza dell’ informazione sia il problema centrale non solo del sistema dei media italiani ma anche della politica, la scuola di giornalismo di Urbino, diretta da Raffaele Fiengo (nella foto), ha promosso in collaborazione con l’ Università una serie di iniziative intitolate al "Progetto Einaudi-Albertini per l’ indipendenza dei media".
Una prima fase del progetto si svilupperà in due intense giornate di lavoro in programma il 16 e il 17 prossimi. Il programma si articola su quattro tavoli di dibattito. Il clou delle due giornate è previsto per il pomeriggio del 16 marzo. Moderatore Bianca Berlinguer, sono previsti gli interventi dello storico Franco Cardini, del politologo Ilvo Diamanti, del giornalista economico del Corriere Massimo Mucchetti e del Prof. Giovanni Sartori. Il tema è: "L’indipendenza di giornali e tv e il funzionamento della democrazia".
Tema centrale, come si vede, preceduto da un dibattito in mattinata dal titolo: "Come salvare il giornalismo" e seguito il 17 marzo da una serie di analisi specifiche. Si comincerà la mattina con l’esame delle principali soluzioni adottate all’estero ("Le soluzioni inglesi, francesi e americane: alla ricerca di una via italiana"), si continua con "La classe dirigente, l’informazione e i cambiamenti dei media". Si conclude con "Giovani giornalisti per un giornalismo che non c’è, dedicato alla scuole di formazione al giornalismo.
Numerose le personalità che hanno aderito e che parteciperanno all’iniziativa: docenti universitari, giornalisti, studiosi, esperti, direttori di scuole di giornalismo (il programma dettagliato è consultabile qui).
‘’L’ iniziativa – spiegano gli organizzatori – ha riscosso un generale consenso da parte di tutti gli interpellati; il che ha dimostrato la diffusa consapevolezza della necessità di cambiare e di recuperare un valore fondamentale della democrazia come l’ indipendenza dell’ informazione sicuramente in grave crisi’’.
Le due giornate del 16 e 17 marzo non vogliono comunque essere un sasso gettato nello stagno. Gli organizzatori hanno usato la formula "Progetto Einaudi-Albertini" perché c’ è l’intenzione di considerare questo avvio di discussione soltanto come un punto di partenza. Ad esempio una seconda iniziativa è già prevista per il 23 marzo con il titolo "Le trasformazioni nei media e l’impresa giornalistica". E altre ancora ne seguiranno.
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Materiali per il Progetto
L’ editoriale del primo numero de “Il Ducato” 2009, (il periodico di Urbino pubblicato dalla scuola di giornalismo), sotto il titolo “Giornalisti per guardare oltre l’ orizzonte”, poggia su un giudizio che va allargandosi tra analisti e commentatori autorevoli. In Italia manca l’ opinione pubblica. Non si forma (come invece avviene negli Stati Uniti) a causa di una sostanziale non indipendenza di stampa e tv, dei media. La televisione pubblica, per esempio, è ben lontana da un modello come la Bbc, importata ora anche dalla Spagna.
Pubblichiamo qui di seguito alcuni materiali di base.
L’ editoriale de ‘’Il Ducato’’
Il giornalismo o è indipendente, oppure non è. E, senza giornalismo, la società democratica non funziona, si passa nella postdemocrazia.
Tempo fa Nanni Moretti ha lanciato un allarme che è sembrato singolare: in Italia è assente l’opinione pubblica. Il Paese è fermo, anzi va indietro, declina, come ha scritto il "New York Times". Poi anche Eugenio Scalfari e Ilvo Diamanti hanno detto qualcosa del genere.
Non solo manca l’opinione pubblica, anche il senso comune si è abbassato, l’orizzonte è più corto, "domestico". Ogni ambiente porta al massimo la propria logica e procede incurante degli altri. In pubblicità tira la violenza? Allora coloriamo le macchine di rosso col sangue o facciamo aggressivo anche Babbo Natale che fa giustizia a pugni. I comportamenti toccano anche la vita quotidiana. Se in auto ti fermi per far passare un pedone sulle strisce, può capitarti dietro un automobilista che ti suona stizzito.
Gli italiani sono diventati tutti rozzi e cattivi. Crediamo di no. Un paese civile c’è: un po’ punito, un po’ disorientato e dormiente, un po’ escluso, con poca trasmissione dei saperi.
Di fronte a questa deriva, l’informazione non è innocente, non fa il suo mestiere perché non è autonoma. Fa altro. Tutti i media si ritrovano schierati, nelle città e nel Paese, o con il governo o con l’opposizione. Le notizie e il fluire dei fatti vanno a collocarsi, con maggiore o minore equilibrio, in un alveo quasi predefinito, sterile.
La società finisce per mancare di freschezza, non corre linfa vitale, in tutti gli ambiti non emergono i migliori, i più capaci. Il contrario dell’eguaglianza dei punti di partenza. Tutto si richiude sul già esistente.
Ci siamo accorti meglio di questa seria anomalia con l’elezione negli Stati Uniti, di Obama. Ci ha stupito, ci è piaciuta (più o meno a tutti). Un uomo-progetto scelto non dal partito democratico o contro il partito repubblicano, ma da una opinione pubblica preoccupata. Informata, però, e libera (dopo avere smaltito nel tempo la botta dell’11 settembre).
In Italia una cosa del genere potrebbe oggi accadere? Nemmeno per sogno. Qui non sono i cittadini a fare la politica, ma la politica a fare i cittadini. (…)
Un tema centrale per l’Italia, ieri e oggi
Nel luglio del 1945 Luigi Einaudi in “La Nuova Antologia” ha riproposto la sua idea per l’indipendenza dei grandi giornali italiani con una precisazione: l’ha collocata, in modo definitivo, sul terreno liberale, accantonando l’ipotesi di una attuazione con legge.
“Fa d’uopo – scrive infatti – persuadersi che non esiste e non esisterà mai alcun rimedio legale atto a garantire l’indipendenza della stampa quotidiana. Anche il rimedio da me segnalato nella nota del “Foreign Affairs” a nulla varrebbe se fosse imposto dalla legge”
La proposta Einaudi vive oggi nell’”Economist”
Il testo del 1945:
“Il manoscritto attuale offre un’occasione insperata per adottare in Italia un metodo che io credo abbia avuto inizio dapprima in Gran Bretagna, quando le aziende del “Times” e dell’”Economist” passarono dalle famiglie Walter e Wilson nelle mani di società per azioni. Si ritenne necessario garantire che questi istituto di fama mondiale non avessero a diventare proprietà di gruppi, finanziari o di altra specie, gli interessi dei quali potessero imporre direttive contrarie all’interesse pubblico.
“Fu creato un Comitato di fiduciari (Board of trustees) –composto da uomini di sicura stima – con l’obbligo e il diritto di approvare o meno la nomina di nuovi direttori e ogni trasferimento di azioni, assicurando in tal modo, per l’avvenire, l’indipendenza di quei giornali.
“Non ci sarebbe alcuna difficoltà ad adottare in Italia un qualche espediente analogo. Non occorrerebbe, senza dubbio, applicare il sistema ai casi di minimo rilievo. Soltanto quei giornali che avessero raggiunto una tiratura, dicasi, di almeno centomila copie e non fossero gli organi ufficiali di un partito politico o di un sindacato o di un’altra associazione economica, dovrebbero essere sottoposti al controllo del ”Comitato dei fiduciari”. Una volta scelto, il Comitato dovrebbe provvedere alla propria continuazione mercè il metodo della cooptazione”* .
La “teoria del giornale moderno” (Einaudi, 1926!)
“Il giornale ha cessato di essere, salvo che per giornali poco importanti, socialisti o laburisti, organo di partiti;
“esso è una fabbrica di notizie e di avvisi commerciali;
“perciò deve essere organizzato in modo da vendere notizie e avvisi commerciali;
“per conseguenza deve avere una circolazione;
“per creare una circolazione, deve ispirarsi al concetto di seguire e creare una domanda nel pubblico; quindi creare una opinione pubblica ed intuire le correnti di essa;
“perciò deve essere indipendente dal credo dei partiti politici. Il pubblico non vile vedere ripetuto il programma del partito che conosce già; ma l’opinione specifica del giornale su questo o quel problema, inspirata dalla considerazione del problema in sé. È bene o è male fare questo o quest’altro? Non: è bene od è male dal punto di vista del partito? Per questa seconda via perderebbe circolazione.
“Perciò deve essere indipendente dai gruppi finanziari. Perderebbe circolazione.
“Perciò i giornali sono diventati una enorme forza politica, separata e spesso in contrasto con i partiti politici […]”
Il meccanismo che nell’ Economist assicura l’ indipendenza è tuttora in vigore. In sintesi funziona così**:
• Assenza di un soggetto proprietario egemone.
Quote proprietarie bipartite al 50% fra un soggetto prettamente commerciale e uno (anche composito e comprendente membri della redazione stessa) più legato alla tradizione e ispirazione editoriale del giornale.
• Presenza di un organo indipendente dalla proprietà con potere di veto su due momenti fondamentali della vita del giornale: nomina o rimozione del direttore e cessione di quote proprietarie.
• La composizione del consiglio di amministrazione è vincolata a istanze in parte estranee a fattori puramente commerciali, numerici. Le due porzioni proprietarie (al 50%) sono diversamente rappresentate nel consiglio, il soggetto "editoriale" (considerato soggetto debole) ha tre rappresentanti contro i due del soggetto "economico". L’organo indipendente di controllo ha un proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione.
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*“Foreign Affairs”, quaderno dell’aprile 1945, “The future of italian press”, pp 505-509. Questa posizione di Einaudi sulla libertà dei giornali ha origine ed è prefigurata in una lettera sua a Luigi Alberini (il documento, conservato nell’Archivio centrale di Stato, è del 1926) dopo le dimissioni di entrambi dal Corriere fascistizzato. Einaudi era stato a Chicago e tornando ha elaborato la teoria del giornale indipendente.
**La nota è di Diego Dalla Via, autore di “The Economist, il successo dell’indipendenza”, anno accademico 2004-2005, università di Padova.
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Il programma integrale è qui .