Aggregatori di notizie: nuova informazione o pratica illegale?
Una ricerca americana analizza le cause che alcuni grandi editori , a partire da Murdoch, hanno dichiarato contro le maggiori strutture di news aggregation, come Google News o Huffington Post, accusate di fare affari sulla pelle delle media companies tradizionali – La legalità di questo business model e la monetizzazione del contenuto prodotto da terze parti non è una pura questione accademica, ma un rilevante problema economico e lo studio del Citizen Media Law Project offre un importante contributo per delineare lo scontro in atto e le eventuali vie d’ uscita – Lo studio si concetra sulla situazione Usa ma, osserva Pietro Macri (Ejo)può però essere esportabile in qualsiasi altro contesto
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Lo sviluppo tumultuoso degli aggregatori di contenuti giornalistici e le complesse questioni legali che ha provocato sono al centro di una ampia e documentata riflessione compiuta da Kimberly Isbell , del Citizen Media Law Project, dal titolo ‘The rise of the news aggregator: legal implications and best practices’.
Ne dà notizia Pietro Macri, sul sito dell’ Osservatorio europeo di giornalismo ( Ejo), ricordando che attorno alla pratica della content aggregation si è costruita la fortuna di molti fornitori di informazione: si individuano le notizie, gli articoli più interessanti rispetto a un certo argomento e li si presentano in una forma diversa dall’originale coerente con il proprio target di lettori. Sono i criteri che costituiscono le fondamenta delle attività di blogger e social media.
Attorno a questo fenomeno – continua Macri –  è in corso un ampio dibattito fomentato, in particolare, dalle organizzazioni editoriali che producono l’ informazione primaria. La disquisizione verte, naturalmente, sulla legalità o meno di questo approccio. Il libro biancio realizzato da Kimberly Isbell analizza appunto lo stato attuale della legislazione che regola le attività di aggregazione.
Come ricorda il Nieman Lab, che ne riporta  una sintesi, nel corso dell’ultimo decennio, Internet è diventata una tra le fonti di informazione più utilizzata. Secondo uno studio prodotto dal Pew Internet and American Life Project, a gennaio 2010, emerge che circa il 60% degli americani fanno uso quotidiano di servizi online che propongono notizie di carattere giornalistico-informativo. E alla crescente dipendenza da Internet è corrisposto il declino dei profitti dei media tradizionali, la chiusura di redazioni. Per alcuni osservatori la contemporaneità dei due fenomeni non lascia dubbi: Internet mette in pericolo, o quanto meno danneggia, il mercato dell’informazione.
Aggregatori di notizie come Google News e Huffington Post sono accusati di fare affari sulla pelle delle media companies tradizionali: la legalità del business model di questo signori e la monetizzazione del contenuto prodotto da terze parti non è una pura questione accademica, ma economica, sostiene Rupert Murdoch, strenuo difensore del copyright.
L’analisi proposta dal Isbell – conclude Macri -, sebbene focalizzata sul mercato USA e associata alla contraddittoria legislazione americana, presenta una interessante profilazione della tipologia dei soggetti che operano a livello di news aggregator ed è esportabile in qualsia altro contesto geografico: una riflessione documentata per comprendere la dinamica di questi nuovi operatori e i contrasti che esistono nei confronti delle fonti di informazione primaria.