Il messaggio che la giuria ha voluto inviare quest’ anno è molto chiaro: in un periodo di crisi dei vecchi modelli economici, il giornalismo d’ inchiesta non si può basare solo su logiche di profitto e di ricerca dell’ audience a tutti i costi – Un articolo di Nikolas Kayser-Bril su Owni.fr ricorda che non è la prima volta che un Pulitzer va a una testata online (come erroneamente hanno titolato centinaia di articoli, compresi noi) ma che questa volta il premio scandisce la piena cittadinanza di un nuovo modello di editoria giornalistica, fondato sull’ assenza di lucro – A questo punto d’ ora in poi l’ Europa non potrà più continuare ad ignorare questo scivolamento verso il non-profit
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Non è la prima volta che un Premio Pulitzer va al giornalismo online, ma “è la prima volta che una testata esplicitamente ‘non-profit’ sale ai vertici del giornalismo mondialeâ€. E d’ ora in poi l’ Europa non potrà più continuare ad ignorare questo scivolamento verso il non-profit.
Su Owni.fr, Nikolas Kayser-Bril tira le orecchie alle centinaia di articoli e di siti (noi di Lsdi compresi) che hanno titolato male, ricordando come in realtà la giuria, composta per il 95% da grossi esponenti del giornalismo tradizionale (con l’ unica eccezione del redattore capo di Politico), aveva gà premiato testate online  come il Times-Picayunes per la copertura della tragedia dell’ uragano Katrina nel 2005, e che un altro premio era andato l’ anno scorso al Saint-Petersburg Times per PolitiFact, un’ applicazione che determina il grado di verità delle dichiarazioni politiche.
Questa volta però il messaggio che la giuria ha voluto mandare – osserva Kayser-Bril – va oltre, in modo molto chiaro: in un periodo di crisi dei vecchi modelli economici, il giornalismo d’ investigazione non si può basare solo su logiche di profitto e di ricerca dell’ audience a tutti i costi.
Insomma l’ ipocrisia dei vecchi media ha dovuto cedere di fronte alla realtà .
Un riconoscimento per i nuovi modelli dell’ informazione?
I media finanziati da Fondazioni e da mecenati – precisa Owni.fr – fanno ormai parte ufficialmente del gioco allo stesso modo delle aziende editoriali tradizionali. Lo ricordava qualche giorno fa esplicitamente Philippe Couve, spiegando che l’ informazione non è mai stata un prodotto commercialmente redditizio.  Citando Alain Minc, Couve compara il Giornalismo all’ alta moda, “attività non redditizia finanziata dai profumi e dai prodotti derivatiâ€.
Nella loro esperienza di for-profit, i media hanno già fatto alcune sperimentazioni, fra cui ad esempio l’ organizzazione di conferenze e corsi di aggiornamento per la stampa professionale. E’ stato citato anche l’ esempio di  CityzenTV, una tv locale di Caen finanziata con i ricavi del bistrot in cui ha sede. E senza che nessuno storcesse il naso: “Dopo tutto, un bistrot, un sito web locale, una televisione o un giornale locale giocano tutti lo stesso ruolo di legame sociale, no?â€.
 I limiti del non-profit
Eric Scherer, direttore strategic dell’ AFP, torna sui limiti del non-profit. Per lui, la disconnessione fra pubblicità e giornalismo, verificatasi sul web spinge I produttori di contenuti a cercare delle nuove fonti di reddito. Se il non-profit si sviluppa negli Stati Uniti, con Spot.us, Texas Tribune, MinnPost, e altri siti, non è detto che sia la soluzione per tutti. Anche tenendo conto che in Francia (come in Italia,ndr) la cultura del mecenatismo e delle Fondazioni non esiste.
Scherer punta il dito anche su un altro problema del giornalismo non-profit : il giornalismo orientato. Sempre più ONG si lanciano nell’ investigazione per colmare il vuoto lasciato dai media tradizionali (c’ è un interessante dossier dei Nieman Labs sull’ argomento). Ma rtuttavia non è detto che esse non portino più problemi di quanti non ne risolvano. In effetti, ProPublica e soci restano gli eredi di una certa tradizione di oggettività , mentre Greenpeace o Amnesty International puntano a far passare un loro messaggio.
Mentre agli occhi di Scherer sembrano più promettenti i sistemi ibridi, che si finanziano attraverso sovvenzioni o donazioni dirette da parte dei loro lettori.
Non-profit ma non senza soldi!
Sempre negli Usa è la Fondazione Knight all’ avanguardia dei sostegno al Giornalismo innovative, in particolare con i Knight News Challenge, dei premi annuali per un ammontare di 5 milioni di dollari i cui vincitori saranno annunciati a giugno.
Questa evoluzione non lasciava dubbi sul nome del vincitore  dei Pulitzer 2010, indovinato fin da marzo scorso da Editor&Publisher. Di fronte a questo movimento di fondo verso il web e il non-profit – continua Kayser-Bril – il premio della Columbia University non poteva restare ai margini. D’ ora in poi l’ Europa non potrà più continuare ad ignorare questo scivolamento verso il non-profit…
ProPublica è stata creata nel 2007 dal miliardario americano Herbert M. Sandler, che le ha dato in dogte un budget annuale di 10 milioni di dollari, mentre il budget corrente è finanziato da mecenati più modesti: i contributi ammontano in media a 66.000 euro per donatore,  secondo i calcoli di Alan Mutter.
Stando alla documentazione fiscale di ProPublica, i giornalisti vengono pagati un po’ più di 60.000 dollari l’ anno. Un po’ meno di 3.700 euro lordi al mese. Un salario relativamente corretto in tempi di crisi del giornalismo. Nessuna meraviglia che siano in grado di ottenere più Pulitzer dei loro colleghi di Seed, il programma di salvataggio del giornalismo di AOL. Lì , i praticanti vengono pagati 50 dollari e l’ ottica sembra ferma alla vendita di pixel pubblicitari.