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Fotogiornalismo: denunciato da anni il flagello delle agenzie

Il problema delle fotoagenzie che vendono sotto costo sulla pelle dei fotoreporter è stato denunciato inutilmente per anni dai giornalisti dell’informazione visiva impegnati nel Sindacato – In un articolo pubblicato tredici anni fa da “Il Giornalismo”, che Lsdi ripropone, una precisa “radiografia” di quanto viene portato a galla nelle mobilitazioni di questi giorni

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(a.v.) – Dopo l’ immediata e decisa presa di posizione dei giorni scorsi dei vertici della Federazione della stampa italiana, questa volta c’è davvero da credere che la crisi totale che ha travolto il fotogiornalismo italiano venga finalmente affrontata mettendo in campo tutte le forze e le “armi” necessarie a ristabilire almeno quel minimo di regole per sottrarre allo sfruttamento selvaggio il lavoro dei circa tremila fotoreporter che,  oggi in Italia, producono l’informazione visiva che viene proposta ai lettori da giornali e periodici.

Sperando, ovviamente, che interventi e provvedimenti vengano attuati con l’urgenza necessaria ad evitare che medici, ricette e rimedi arrivino a malato ormai morto e sotterrato.

Nel mirino del Sindacato, tra i mille problemi della categoria dei fotogiornalisti che saranno sul tappeto, verrà sicuramente inquadrato come prioritario quello rappresentato dal flagello delle fotoagenzie che vendono sottocosto facendone ricadere il danno solo sulla pelle dei fotogiornalisti. E’ infatti da qui che nelle ultime settimane, partendo dal caso dei fotoreporter  lasciati senza lavoro da “ll Gazzettino di Venezia” sino alla mobilitazione dei fotocronisti milanesi ridotti a lavorare in perdita, si è innescato il movimento di denuncia e di protesta che ora ha fatto scendere in campo anche i vertici nazionali della Fnsi.

Affrontando questo problema, il Sindacato dovrà per prima cosa chiarire la legittimità, o meno,  del ruolo giornalistico delle cosiddette “agenzie fotografiche” e dei rapporti che queste strutture non giornalistiche hanno da una parte con  gli editori  e dall’altra con chi fornisce loro la materia prima indispensabile ai loro affari: le foto da vendere ai giornali. Solo da qui, dalle risposte che questi chiarimenti potranno dare, si potrà poi partire per individuare, sviluppare  e applicare un’adeguata strategia  di interventi per dare uno stop all’attuale deregolazione totale e ridare ai fotocronisti qualche possibilità di vedere ancora un futuro per la propria professione e , soprattutto, per la possibilità di trarre dal proprio lavoro i mezzi economici per vivere.

In tutto questo, non c’è però nulla di nuovo. Problemi e quesiti legati al mondo delle “agenzie fotografiche” non arrivano come fulmini a ciel sereno. E’ davvero da anni e anni che i fotogiornalisti impegnati nel Sindacato lanciano i loro allarme per cercare di attirare l’attenzione su queste realtà molto borderline rispetto a tutte le regole che normano il giornalismo in Italia.

“Queste aziende – aveva scritto a proposito delle fotoagenzie Amedeo Vergani, presidente Gsgiv dell’Alg, in un articolo pubblicato nel febbraio 1997 da “Il Giornalismo” -  non avendo alcun obbligo di attenersi a precise tariffe e non dovendo fare i conti con costi di produzione, in momenti di crisi, hanno sempre trovato una facile soluzione nel ribasso dei prezzi, facendo così ricadere il danno sulla “pelle” degli autori di foto e reportage, col risultato di disincentivarli a produrre, perché “in perdita” anche quando il loro lavoro trova pubblicazioni eccellenti”.

Tredici anni fa, perciò, proprio come oggi. Niente di nuovo sotto il cielo

L’articolo  ( lo riproponiamo qui di seguito ) era stato scritto mentre  l’interesse generale del Sindacato dei giornalisti era concentrato sulla regolamentazione dei “service”, in un momento di pieno “boom” del ricorso degli editori all’utilizzazione di queste  strutture esterne per assicurarsi a minor costo  la copertura di determinati settori del lavoro redazionale e, tra questi, appunto, come Vergani aveva cercato di far capire, pure quello riguardante la produzione dell’informazione visiva da proporre ai lettori.  Agenzie fotografiche perciò da collocare nel ruolo e nelle regole di veri e propri “service” giornalistici come la realtà odierna sta confermando.

“Analisi e riflessioni che avevo fatto in quell’articolo di tredici anni fa – osserva ora Vergani – sono le stesse che potrei proporre, pari pari, anche oggi. La cosa più drammatica è che già allora qualsiasi intervento sarebbe partito in grave ritardo. Adesso è davvero emergenza da disperazione”.

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Da “Il Giornalismo”, n.2 del 1997, pag.6

di Amedeo Vergani

Per il fotogiornalismo, il fenomeno “services” è arrivato in anticipo di anni, insinuandosi, nel modo più selvaggio, nel nostro mondo del lavoro e, dopo aver causato, coi suoi bassi costi, la quasi totale estinzione della figura del fotoreporter assunto, adesso sta minacciando di dare il colpo di grazia anche all’esistenza dei fotogiornalisti liberi professionisti.

Il tutto nella indifferenza assoluta dell’intera categoria professionale che solo da poco sta cominciando a rendersi conto di come, in questo settore specifico, siano stati anticipati buona parte dei problemi che, ora, stanno travagliando anche tutti gli altri comparti della professione.

Il meccanismo si è messo in moto,alla fine degli anni “settanta”, innescato da una sempre più forte richiesta di informazione visiva determinata da un momento di grande euforia del mercato editoriale. In pochi anni, non solo si è moltiplicato il numero dei fotoreporter, ma vi è stata una autentica proliferazione delle agenzie fotogiornalistiche.

Sopattutto di quelle che si limitano a proporre sul mercato foto e reportage finanziati e prodotti da altri, traendo i loro pofitti dalle percentuali trattenute sulle somme riscosse:dal trenta al cinquanta per cento del fatturato.

Si tratta di agenzie che pur operando nel settore della informazione, sono solo aziende di intermediazione commerciale, assolutamente al di fuori di ogni regola della legge sulla stampa, del contratto di lavoro Fnsi e delle altre norme sulla professione.

I loro rapporti con i collaboratori fotogiornalisti sono svincolati da qualsiasi garanzia contrattuale. Inoltre questeaziende, non avendo alcun obbligo di attenersi a precise tariffe e non dovendo fare i conti con costi di produzione, in momenti di crisi, hanno sempre trovato una facile soluzione nel ribasso dei prezzi, facendo così ricadere il danno sulla “pelle” degli autori di foto e reportage, col risultato di disincentivarli a produrre, perchè “in perdita” anche quando il loro lavoro trova pubblicazioni eccellenti.

Molte agenzie fanno poi concorrenza diretta anche ai fotogiornalisti italiani da loro stesse rappresentati, immettendo sul mercato foto e reportage quasi esclusivamente importati dall’estero. In alcuni casi questo avviene addirittura su argomenti che riguardano il nostro Paese, riducendo così per i fotoreporter liberi professionisti, persino la possibilità di contare, nei loro già precari equilibri economici, sulla produzione riguardante soggetti italiani.

Il tutto con il risultato di aver servito agli editori, su un magnifico piatto d’argento, tanti buonissimi motivi per smantellare tutti gli staff di fotogiornalisti assunti e in parallelo, visti i costi bassissimi, di non avere quasi più la necessità di ingaggiare liberi professionisti per realizzare in proprio foto e reportage.

E’ perciò un settore che va regolato al più presto, attraverso le norme contrattuali della “dichiarazione congiunta” sui services e quelle per il lavoro dipendente. Soprattutto ora che queste agenzie, giornalistiche di fatto ma non di configurazione legale, faranno di tutto per sfuggire alle imminenti regole del tariffario Fnsi e dell’Inpgi obbligatorio e, con la possibilità di prezzi ancora più concorrenziali, avranno il potere di mettere in crisi definitiva la professione di fotogiornalista.

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