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Fotogiornalisti in stato di agitazione, chiesta una verifica dei rapporti di lavoro

Lettera aperta a Federazione della stampa e Ordine – Decine di fotografi delle varie regioni d’Italia che si sono trovati senza lavoro o con compensi quasi nulli -  Nel settore imperversano ingaggi di ogni genere ma nessun contratto di lavoro giornalistico – Coinvolti anche i direttori dei principali quotidiani – Si protesta anche rinunciando allo scatto delle foto per distribuire volantini di denuncia

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“Una severa verifica sulla legittimità della natura dei rapporti di lavoro che legano i fotoreporter alle agenzie fotografiche e le stesse agenzie agli editori”: questa è la richiesta al centro di una lettera aperta inviata alla Federazione Nazionale della stampa (il sindacato dei giornalisti italiani) e all’ Ordine dei giornalisti da svariate decine di fotoreporter di un po’ tutta Italia.

L’ iniziativa – spiega una nota del Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell’informazione visiva, che fa capo all’ Associazione lombarda dei giornalisti – parte da un tam tam spontaneo lanciato pochi giorni fa in internet da un gruppo di fotocronisti quasi senza lavoro e stanchi di vedere i propri compensi sempre più in discesa e ormai sottocosto.

“Il livello che hanno raggiunto i prezzi delle fotografie che sono pubblicate sui giornali – denunciano i fotoreporter - è talmente basso e i termini di pagamento talmente dilatati, che possono essere accettati  solamente   da  agenzie fotografiche che non pagano i collaboratori, che usano manodopera subordinata senza inquadrarla secondo le norme di legge, e che usano, pagando in nero, pensionati, studenti e dopolavoristi. Tutti gli altri lavorano in perdita”.

La denuncia è chiara, non lascia spazio a fraintendimenti e riflette in pieno anche quanto da anni e in più occasioni è stato segnalato ai vertici della Fnsi dai rappresentanti dei fotogiornalisti dei vari Gruppi di specializzazione dell’informazione visiva che nelle varie regioni operano all’interno del Sindacato.

Le agenzie fotografiche nel mirino della protesta dei fotocronisti sono tutte strutture che giuridicamente non hanno alcuna veste giornalistica e all’interno delle quali operano fotoreporter quasi sempre privi di contratto di lavoro subordinato e, anche nei rarissimi casi nei quali esiste un’assunzione a tempo pieno, questa non è mai di natura giornalistica.  I rapporti  invece sono quasi sempre di lavoro autonomo e prevalentemente vengono configurati come prestazioni da libera professione.

In altri casi i fotoreporter  vengono remunerati in base agli incassi ottenuti vendendo le loro foto, con trattenute di “intermediazione” che vanno mediamente dal quaranta al cinquanta per cento anche quando, come sta accadendo ora, le foto vengono pubblicate per pochissimi euro.

Queste strutture hanno preso il sopravvento nel mercato del lavoro dei fotogiornalisti italiani soprattutto dopo il totale smantellamento da parte degli editori degli staff di fotoreporter  assunti nelle redazioni di quotidiani e periodici. La loro moltiplicazione, anche molto prima dell’attuale crisi dell’editoria, ha poi innescato fenomeni di concorrenza spietata giocata più che sulla qualità dell’offerta, sull’accettazione incondizionata da parte delle fotoagenzie di tariffe sempre più al ribasso, arrivando, come sta accadendo da un paio d’anni, alla pattuizione di veri e propri “appalti di fornitura”  a costi più che stracciati ottenuti riducendo drasticamente i compensi ai fotoreporter.

” La continua corsa al taglio dei costi da parte degli amministratori delle case editrici – sottolineano ora i fotocronisti dell’attuale protesta - ha innescato un processo in cui la concorrenza sleale e il dumping sono premiati”.

“Chiediamo che l’Odg e la Fnsi – affermano poi –  si facciano carico del problema,  partendo da una severa verifica della legittimità della natura  dei rapporti di lavoro che legano i fotoreporter alle agenzie fotografiche e le stesse agenzie agli editori.  Che affrontino il problema dell’uso abusivo di immagini nelle versioni online dei quotidiani. Che svolgano un’opera di sensibilizzazione degli uffici stampa  e delle istituzioni affinché venga impedito l’accesso agli eventi   degli abusivi e dei non accreditati”.

“Noi tutti conosciamo lo stato di crisi in cui versa il mondo dell’editoria ma questo non può giustificare in alcun modo la violazione delle più elementari norme che regolano i rapporti di lavoro. Stiamo assistendo alla distruzione di una parte fondamentale dell’informazione giornalistica e difendere i professionisti che la producono deve diventare una delle priorità  di chiunque abbia a cuore la libertà di stampa.

Sicuramente noi fotogiornalisti  – concludono – non lasceremo che questo continui ad avvenire in silenzio”.

Gli stessi fotoreporter hanno poi inviato un’altra lettera aperta ai direttori ed ai Comitati di redazione dei principali quotidiani italiani denunciando che “il meccanismo dei prezzi, strutturato come se le fotografie fossero una normale merce e non una parte fondamentale del giornale, penalizza l’informazione di qualità”  ed ha sottratto, a chi sta nelle redazioni,  la possibilità di decidere cosa va in pagina basandosi su un criterio giornalistico.

“In quanto titolari dei diritti di riproduzione delle nostre immagini, qualunque sia l’agenzia che ci rappresenta, - concludono poi  i fotoreporter  – pensiamo che ci debba essere una completa ridefinizione dei criteri che regolano i rapporti economici tra fotogiornalisti e  editori”.

Per sostenere la loro denuncia i fotoreporter che hanno dato vita all’iniziativa, hanno avviato una campagna di sensibilizzazione decisamente singolare e che dovrebbe durare almeno un paio di settimane. In sostanza, partecipano in massa al principale evento della giornata e, anziché scattare foto, distribuiscono i loro volantini di protesta. Il via è stato dato oggi pomeriggio a Milano durante una conferenza stampa di Bersani e Penati.  Pare che tutto sia andato alla perfezione.

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