Giornali: se gli editori avessero capito…
Nell’ ultimo suo articolo per Editor&Publisher, la storica testata sui problemi del giornalismo e dei media costretta alla chiusura, Steve Outing sulla scia di Quentin Tarantino immagina che cosa sarebbe successo se… – In fondo, fa capire Outing, non era mica tanto difficile: bastava avere solo un po’ di coraggio e di fantasia in più
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(p. r.) – “Se Quentin Tarantino può realizzare un film con una sensazionale e fantastica ‘revisione’ storica come ‘Inglourious Basterds’, allora posso immaginare anche io una sceneggiatura sul modo con cui negli ultimi 15 anni l’ industria dei giornali avrebbe potuto chiudere la partita vincendo”.
Nell’ ultimo suo articolo per Editor&Publisher – la storica testata specializzata in questioni dei media e del giornalismo che si avvia a chiudere (vedi Lsdi) e per cui collabora da 15 anni con le column di “Stop The Presses!†– Steve Outing rovescia il tradizionale ragionamento alla base dei tanti bilanci sul decennio passato (di cui in questi giorni la rete è strapiena) immaginando invece che cosa sarebbe successo se…
Se editori e grandi manager dei quotidiani avessero capito la natura della sfida che veniva dalla rivoluzione digitale. E si fossero comportati come avrebbero dovuto fare…
Non un idillio, ma quasi…
Certo, la storia – e quindi anche i bilanci di un decennio di crisi dei vecchi media – non si fa con i se. Ma in questo caso l’ esercizio è utilissimo perché fa capire che, in fondo, non era mica tanto difficile: bastava avere solo un po’ di coraggio e di fantasia in più.
Ai tradizionali 10 punti in cui si articola questa ‘’fantasia’’ su se… Outing aggiunge anche altri 10 punti su che cosa potrà succedere ora, nei prossimi pochi anni, visto che quello che si poteva fare non è stato fatto.
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Un fantastico scenario
di Steve Outing
(Editor&Publisher)
1. Nel 1994-95 i manager dei quotidiani capiscono che il web è qualcosa con un potenziale tale da scuotere il loro mondo e incrementano in modo significativo i budget per Ricerca e Sviluppo, per pianificare e cominciare a costruire nuovi affari sulla base del velocissimo sviluppo delle nuove tecnologie. La Knight Ridder (ora defunta dopo l’ acquisizione da parte della McClatchy) non elimina il suo pionieristico Information Design Laboratory (1992-95) a Boulder, Colorado, e si trasforma in un’ azienda che riesce a realizzare dei progetti di successo nell’ online che si intrecciano in maniera complementare con l’ editoria dei quotidiani,il suo business centrale.
2. Imparando dalla storia dei media (per esempio, la TV cominciò scimmiottando pari pari la radio con l’ imagine video dell’ annunciatore che parlava in un microfono), i manager dei quotidiani decidono di non ripetere un’ altra volta quell’ errore. Quindi spingono la sezione Ricerca e sviluppo a progettare dei nuovi servizi online che creino dei contenuti originali e delle nuove funzioni – – cose che non era possible fare su carta ma che è possible fare online. Il giornalismo cartaceo ha ancora influenza online, naturalmente, ma non domina il modo di pensare il proprio ruolo degli addetti ai nuovi media.
3. Soddisfatti per gli invidiabili margini di profitto, i leader delle aziende editoriali prendono nota dell’ ondata di nascita di nuove iniziative in internet nella seconda metà degli anni ’90. Manager con esperienza nel campo tecnologico vengono assunti da aziende esterne a quelle dei giornali per individuare I trend e le start-up più promettenti e avviare su larga scala acquisizioni e/o investimenti significativi. I giornali fiscalmente sono molto ben messi, ma i loro dirigenti vogliono di più, scrutano le opportunità e hanno risorse da investire in iniziative online complementari.
4. Alcuni di questi investimenti e acquisizioni vanno in porto e le aziende dei quotidiani hanno nelle loro mani degli investimenti complementari che crescono, arrivando a dominare il loro settore. I manager mantengono comunque un approccio molto distaccato, lasciando l’ evoluzione delle acquisizioni agli esperti di tecnologia che seguono l’ evolversi dei media del futuro.
5. Anche se queste acquisizioni digitali apparentemente (agli occhi degli editori della fine degli anni ’90) hanno poco a che fare con il super-profittevole business dei quotidiani, le acquisizioni vengono spinte sul mercato (con costi lievi o vicini allo zero) in maniera aggressiva. I manager dei giornali, addestrati e persuasi dai tecnologi che loro stessi hanno assunto, guardano al giorno in cui le loro nuove acquisizioni cominceranno a raccogliere profitti da quotidiani.
6. I manager e gli editori dei giornali capiscono presto la differenza essenziale fra editorial a stampa e internet: il solo ‘uno-a-tutti’ contro ‘l’ uno-a-uno’ (oltre all’ ‘uno-a-molti’). Questa epifania, avvertita presto, consente all’ industria di effettuare investimenti e acquisizioni in nuovi business che potenziano la possibilità di comunbicare delle persone gli uni con gli altri onlikne; le aziende dei quotidiani finiscono per essere una parte di quella che potrà eventualmente diventare l’ industria del social networking. I giornalisti vengono addestrati a interagire con il pubblico in seguito al loro ingresso in questi nuovi spazi, e questo avvia una transizione culturale delle redazioni verso un rapporto interattivo con i lettori piuttosto che come un modello di lettura
7. Quando scoppia la bolla di Internet nel 2000, I manager dei giornali cominciano a dubitare della loro sgtrategia, ma il loro portafogli include anche delle aziende internet che superano la crisi. Quando internet si riprende, i quotidiani capiscono che l’ ondata sta rientrando e riprendono le loro strategie di espansione digitale.
8. A metà anni 2000, l’ era del danaro facile, i manager dei giornali vedono la vertiginosa crescita delle aziende di internet migliori, resistono alla tendenza delle aziende a consolidarsi e a rilevare altre aziende editoriali di quotidiani. Al contrario, intensificano le acquisizioni complementari e gli investimenti nell’ area digitale e nello sviluppo del ‘mobile’.
9. Poiché cambiano i comportamenti dei lettori e degli inserzionisti, le aziende editoriali di quotidiani accettano il fatto che la loro attività nei quotidiani tende a produrre meno profitti e che saranno presto costretti a tagliare i dipendenti oppure a sostenere le redazioni con dei nuovi business più redditizi. Avendo questa capacità di previsione, essi riescono a conservare un0’ alta qualità editorial mentre realizzano la transizione del ‘’cuore’’ dell’ informazione giornalistica verso il nuovo modello digitale-centrico
10. La recessione della fine del decennio viene scansata dale aziende di giornali perché esse hanno diversificato e sono riuscite ad afferrare le possibilità che si si presentavano davanti. C’ è ancora un nuovo settore in cui investire per i grandui media: i contenuti e i servizi per il ‘mobile’.
Ah, suona tutto così semplice… Se solo qualcuno avesse creato una macchina del tempo alla metà dei Novanta, I disgnatori di fumetti comici e i satirici notturni non se la prenderebbero tanto con chi fa i giornali.
Che accadrà di nuovo?
Ma visto che l’ industria dei quotidiani in generale ha imboccato la strada sbagliata, torniamo alla realtà . Qui di seguito alcune delle cose che probabilmente vedremo nei prossimi anni come risultato di come i vertici dei giornali hanno scelto di rispondere alle dirompenti tecnologie.
1.I giornali indipendenti delle piccolo città non crescono molto, ma sono in grado di continuare a sopravviv ere ancora per alcuni anni con una discrete diffusioni. Ma alla fine cominceranno a risentirne di più, come i loro cugini delle metropoli, visto che gli inserzionisti riducono sempre di più i budget , orientandosi sempre di più verso le opportunità della pubblicità digitale.
2. I giornali delle grandi città continuano a ridursi. Sempre più quotidiani interrompono le pubblicazioni in qualche giorno della settimana; altri scelgono di stampare solo l’ edizione della domenica lasciando per gli altri giorni della settimana le edizioni online/mobile; e altri, pochi, diventano esclusivamente digitali. Sfortunatamente, vedremo ancora qualche altro giornale morire.
3. L’ ondata delle piccole start-up nel settore dell’ informazione – non-profit, iperlocali, blogger che hanno cercato come sopravvivere, i servizi di informazione online fatti in collaborazione giornalismo professionale-amatoriale, nuove entità legate all’ università – le vediamo crescere oggi molto rapidamente. Molti di questi servizi vengono avviati da giornalisti licenziati o fuori delle redazioni, aiutati da nuove aziende che li seguono nella pubblicità , nell’ andamento economico e nelle questioni tecnologiche ( per esempio GrowthSpur ), e dei nuovi network di publicità locale servono tutti i media locali, sia nuovi che vecchi.
4. Alcune di queste piccole entità si accordano con I quotidisani locali, guadagnando le risorse necessarie ad a svolgere la loro funzione, dando ai giornali contenuti a costi molto più bassi di quelli che dovrebbero sostenere le testate per produrli autonomamente. Questo accade in particolare con il giornalismo investigativo intensivo, in cui siti di informazion e non-profit di interesse pubblico (come VoiceofSanDiego ) si sostengono parzialmente con fondi provenienti dai ‘’vecchi media’’.
5. Aggregatori di notizie (Google News e altri) e ‘’personal digital agents’’ (per es. Circulate, ma più agevolmente ora piattaforme come Google o Facebook) diventano la norma per cittadini che si costruiscono dei flussi informativi personalizzati attraverso computer, mobile phones, e-reader e alòtri servizi. Di conseguenza i siti web dei giornali perdono importanza. Gli editori di giornali e I direttori imparano,per assicurarsi la sopravviv enza, a realizzare i propri contenhuti per tutte le piattaforme . E sviluppano vari modi per monetizzare i contenuti che dallo stagno di casa (il sito web) fluiscono via attraverso le varie correnti informative (aggregatori, ‘’agenti’’, social news stream, ecc.). Chi non lo fa soccombe.
6. La aspra disputa sui paywall nei siti web dei giornali si estinguerà quando Google, che molti editori di giornali percepiscono come la causa prima delle loro disgrazie, cancellerà le loro preoccupazioni introducendo delle nuove tecnologuie che aiuteranno I oproduttori di informazioni a trasformare i loro dieci centesimi digitali in quarti di dollaro (o ancora più). I contenuti a pagamento dei giornali vengono sostenuti da un nuovo sistema, ma si tratta di una piccola porzione di tutto il contenuto che essi producono.
7. Le aziende dei quotidiani che sopravvivono e prosperano possono farlo inmvestendo risorse significative (a livello esecutivo e tecnico) al ‘’mobile’’ come la future piattaforma di opportunità . Questi ultimi non ripetono l’ errore fatto nel decennio scorso col web, ma al contrario puntano sul ‘mobile’ come sulla principale priorità .
8. I giornali che si muoveranno meglio si adatteranno rapidamente alla natura istantanea delle notizie via crowd-sourcing (per esempio aggregazione e filtraggio delle notizie dei testimoni su Twitter), piuttosto che combatterla.
9. Qualche azienda editoriale di quotidiani riesce a sopravvivere nel viaggio attraverso l’ abisso fra il vecchio modello stampa-centrico e il nuovo modello digitale. Saranno molto probabilmente le testate I cui vertici installeranno una nuova leadership, non incatenata aui successi dei vecchi modelli di business. Fra I sopravvissuti, vedremo molto probabilmente delle repliche della transizione digitale operata per esempio dalla National Public Radio, in cui era stata chiamata come nuovo CEO una persona (Vivian Schiller) scelta per la sua esperienza e impostazione digitale, anche se ne aveva meno nel campo della radio.
10. Continuerò a scerivere sul futuro dell’ informazione sul mio blog personale, ma non darò spazio eccessivo ai giornali.