Giornalisti: una Carta per i diritti dei detenuti

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La propone la Federazione giornali dal carcere, che ha messo a punto la prima bozza di un documento (chiamato per ora ‘’Carta di Padova sui diritti dei detenuti’’) indirizzata per la discussione all’ Ordine dei giornalisti e alla Federazione nazionale della stampa – Una tesi di laurea sul giornalismo carcerario – Settanta testate in Italia – L’ esperienza del Veneto, con un seminario nel carcere padovano dei Due Palazzi e la proposta della redazione di “Ristretti Orizzonti”, promotrice dell’incontro, che suggerisce di estendere questa iniziativa agli Ordini di altre regioni e ad altre redazioni di giornali dal carcere; ma, soprattutto, di rendere questa esperienza permanente: che il carcere, cioè, possa diventare una tappa importante della formazione dei giornalisti

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Una Carta per i diritti dei detenuti si aggiungerà agli altri documenti di indirizzo deontologico (Carta di Treviso sui minori, Carta di Perugia sui diritti del cittadino malato; Carta di Roma sui diritti degli immigrati e dei rifugiati)  che dovrebbero guidare la professione giornalistica nel nostro paese?

Lo chiede la Federazione giornali dal carcere, che ha messo a punto la prima bozza di una ‘’Carta di Padova sui diritti dei detenuti’’ indirizzata per la discussione – e una sua eventuale adozione – all’ Ordine dei giornalisti e alla Federazione nazionale della stampa.

Il documento è presentato nell’ appendice che chiude una interessante tesi di laurea su informazione e carcere – ‘’Il giornalismo carcerario; analisi degli organi di informazione dei detenuti’’ – realizzata da uno studente padovano, Gianluca Modolo* (relatore Raffaele Fiengo), e che Lsdi pubblica qui.

Carcere1La tesi – un vasto ampliamento di un lavoro che lo studente veneto aveva fatto un anno fa (vedi Lsdi, Notizie dietro le sbarre/ ) – presenta un quadro molto approfondito della materia, con un’ analisi di tutte le testate di informazione che operano nel sistema carcerario italiano e affronta il ruolo del giornalismo carcerario e i complessi problemi esso ha davanti e il tormentato rapporto di scambio fra l’ interno e l’ esterno del sistema penitenziario, con il sistema dei media che rappresenta il carcere all’ insegna di luoghi comuni, che a loro volta rafforzano gli stereotipi dell’ opinione pubblica.

E’ la spirale che i giornali carcerari cercano di spezzare.

‘’Non sono i mezzi di comunicazione a non essere intrinsecamente in grado di rappresentare il carcere – osserva Modolo nelle conclusioni della tesi -, ma è l’uso di essi che se ne fa. Mancanza di tempo e di spazio, di formazione e di conoscenza. E poi le caratteristiche del carcere. Luogo chiuso, di difficile accesso, non è facilmente comunicabile. Infine, il pubblico. Stereotipi e miti, molte volte veicolati rafforzati o originati proprio dai media, non consentono un’informazione continua, precisa’’.

Ma il giornalismo carcerario ‘’può incidere, in qualche modo, sul campo giornalistico. Innesta dei processi che spostano l’attenzione del campo stesso verso nuove forme di rappresentazione. Innovative e alternative rispetto a quelle precedenti di centralità sociale.

Ha portato a un nuovo stile e a un nuovo linguaggio; per fare, come diceva Kapuscinki, un vero giornalismo intenzionale.

Un modo nuovo di fare informazione.’’

La Carta di Padova vorrebbe dare un contributo a questo processo di scambio stimolando nel campo giornalistico il superamento degli stereotipi attraverso un processo di maturazione analogo a quello che aveva portato, per esempio, alla stesura della Carta sui minori o che è in atto per quanto riguarda la Carta di Roma sugli immigrati.

Il documento chiede fra l’ altro all’ Ordine dei giornalisti e alla Federazione nazionale della stampa italiana a impegnarsi, per le rispettive competenze:

– a individuare strumenti e occasioni che consentano di sviluppare, nei giornalisti che si occupano di “giudiziaria” e di cronaca nera, una più corretta e approfondita conoscenza delle specifiche tematiche del carcere e dell’esecuzione penale, nonché una più attenta sensibilità nei confronti dei diritti delle persone indagate e sotto processo, dei loro familiari e degli stessi detenuti già giudicati in via definitiva;

– a prevedere che nei testi di preparazione all’esame professionale venga incluso un capitolo specificamente dedicato all’esecuzione penale e alle norme che la regolano (Ordinamento penitenziario);

– ad allargare il raggio delle fonti di informazione attivando un filo diretto con la Federazione dell’informazione dal carcere e sul carcere, con le Associazioni di volontariato operanti in carcere (Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia), e – laddove sono già in funzione – con gli uffici dei Garanti delle persone private della libertà personali;

– a coinvolgere nell’approfondimento di questi delicati temi l’ufficio del Garante della privacy, fondamentale autorità di garanzia per tutti i cittadini, non esclusi quelli che hanno perduto la libertà e i loro familiari;

– a richiamare i responsabili delle reti televisive nazionali a una maggiore attenzione ai diritti delle persone indagate e sotto processo, dei loro familiari e degli stessi detenuti già condannati anche nelle trasmissioni di intrattenimento. E’ infatti sempre più spesso in questo genere di programmi televisivi che la “spettacolarizzazione” dei fatti di cronaca raggiunge le sue espressioni pi•ù plateali e talvolta aberranti;

– a elaborare un codice di autodisciplina che fissi una “data di scadenza” oltre la quale non sia più possibile scavare nel passato di persone che hanno già pagato per i propri errori e che a fatica si stanno reinserendo positivamente nella società (quando i mezzi di informazione parlano di ex detenuti per ragioni diverse dai reati che li avevano portati in carcere, continuano spesso a citare i reati compiuti anche a condanna espiata); il “diritto all’oblio” è una condizione irrinunciabile del reinserimento, ma mai è stato tanto a rischio come nell’era della spettacolarizzazione giornalistico-televisiva della cronaca e di internet;

– a diffondere la consapevolezza che senza rispetto per chi sta pagando per i propri errori non può esserci piena attuazione dell’articolo 27 della Costituzione, laddove sancisce che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Senza rispetto– conclude la bozza di documento –  non può esistere rieducazione, ma solo afflizione.

Fra i documenti che la tesi presenta anche una sorta di Decalogo del giornalismo carcerario e il Documento programmatico della Federazione Nazionale dell’Informazione dal e sul Carcere, oltre a un aggiornato censimento dei giornali dal carcere.

La Tesi

La tesi è divisa in tre grandi aree. Una parte storica, che si occupa della storia del carcere e dei giornali carcerari. Una parte sociologica, che indaga il rapporto tra il carcere e la società, la comunicazione e il giornalismo. E, infine, una parte dedicata all’analisi dei linguaggi e delle pratiche giornalistiche, che affronta i temi della notiziabilità del sociale e del carcere; e analizza gli organi di informazione realizzati dai detenuti.

Le notizie sul carcere

Omicidi, evasione, corruzione fanno notizia. Il risultato è che rischia di innescarsi un circolo vizioso tra l’ immagine parziale, intermittente e lacunosa che si dà del carcere e lo stereotipo che progressivamente si consolida nell’opinione pubblica.

“L’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica verso il carcere è spesso evanescente, perché legata a momenti particolari di emotività seguiti da lunghi silenzi e dalla rimozione del problema. Altre volte succede che singoli episodi negativi siano usati strumentalmente per imbrigliare l’attività di chi è impegnato in progetti per il reinserimento dei carcerati nella società, mentre il dibattito sui temi della devianza e del recupero sociale dei condannati corre il rischio di esaurirsi in puro esercizio dialettico, quando non è seguito da interventi concreti”. (Ornella Favero – Direttrice di Ristretti Orizzonti, uno dei più noti giornali dal carcere)
Il rapporto carcere-media è ambiguo. Come del resto sono ambigui gli stessi mezzi di comunicazione.

I miti riguardanti il crimine hanno successo tanto più riescono a far presa sulle paure della gente. Solitamente sono costruiti attorno a gruppi impopolari all’interno della società, facilmente distinguibili dal gruppo sociale dominante. Soggetti identificati per alcune loro caratteristiche come l’etnia, la provenienza, le idee politiche o religiose, le preferenze sessuali.

E il contrario. Soprattutto negli Stati Uniti, molti artisti rap, attraverso i loro video musicali, tendono a glorificare il carcere e i detenuti.


Carcere2Però i  giornali carcerari hanno cominciato e continuano a porsi nei confronti dell’informazione mainstream come fonti attendibili di notizie ed esperienze.
Un processo che prende l’ avvio già a partire dal 1975, anno dell’entrata in vigore della nuova legge sull’ordinamento penitenziario, il rapporto carcere-società ha cominciato a cambiare, con importanti conseguenze sul ruolo della comunicazione e dell’informazione.

E’ attraverso questo processo di rinnovamento e di apertura che cominciano a nascere i primi esempi di comunicazione e informazione dal carcere e sul carcere: nasce il giornalismo carcerario


In Italia ci sono quasi settanta giornali dal carcere e sul carcere
, scritti da detenuti e redatti con l’aiuto di volontari. Ospitano notizie e inchieste sugli argomenti che riguardano la vita “dentro” e il “fuori”.

Sono un ponte, di linguaggi ed esperienze, che collega la società libera e quella reclusa; strumenti per portare fuori dalle celle storie, racconti, problemi, persone.

La volontà di connettere chi sta dentro con chi sta fuori e di comunicare è visibile già dai nomi delle varie testate: “Il Ponte” (Massa), “Espressioni…dal dentro e dal fuori” (Lucca), “Il Cammino” (Secondigliano), “Ristretti Orizzonti” (Padova), “carteBollate” (Milano), “Sosta Forzata” (Piacenza).
Le testate “giornalistiche” si concentrano prevalentemente nel Centro-Nord: Toscana, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.

La forte presenza di giornali carcerari in queste regioni è dovuta da un lato alla minore o maggiore concentrazione di istituti penitenziari in queste zone e, dall’altro, alle relazioni con la società esterna, alla realizzazione di progetti, ai rapporti con gli Enti locali, ai volontari, che spesso possiedono competenze tecniche nella grafica, nell’informatica, nella scrittura e nell’ambito dell’informazione.

Il pericolo più serio è quello della censura, che si manifesta ancor prima di quella ufficiale, sotto forma di autocensura.

Determinata dalla paura di subire ritorsioni, di non poter accedere ai permessi premio, l’autocensura spesso non permette di raccontare liberamente della quotidianità, delle inefficienze, degli abusi e delle violenze del mondo in cui vivono e di cui scrivono i detenuti.

– Il carcere come una tappa della formazione dei giornalisti.

Il 13 ottobre 2009, all’interno del carcere “Due Palazzi” di Padova, si è svolto un seminario di studio che ha visto la partecipazione di una sessantina di giornalisti dell’Ordine Regionale del Veneto.

E’ stata una occasione per affrontare i problemi della giustizia da una diversa angolazione, per studiare come funzionano i meccanismi dell’esecuzione della pena; per ascoltare le storie dei detenuti e le loro osservazioni finalizzate ad una informazione corretta sui temi della detenzione, più documentata e aperta a riflessioni e analisi e meno votata al sensazionalismo e a notizie sull’onda emotiva. Il seminario ha voluto essere, soprattutto, un punto di partenza per una collaborazione costruttiva tra chi fa informazione direttamente dal carcere e chi la fa dall’esterno.

La redazione di “Ristretti Orizzonti”, promotrice dell’incontro, ha proposto di estendere questa iniziativa agli Ordini di altre regioni e ad altre redazioni di giornali dal carcere; ma, soprattutto, di rendere questa esperienza permanente: che il carcere, cioè, possa diventare una tappa importante della formazione dei giornalisti.

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*Gianluca Modolo, 22 anni, veneziano, vive e studia a Padova, dove si è appena laureato in Comunicazione alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Collabora come cronista sportivo per il quotidiano La Nuova Venezia, occupandosi di calcio e tennis, e con Lsdi.

* La tesi è scaricabile qui