Il privilegio della libertà di scrittura
Domani comincia a Londra la terza edizione del Free the Word!, il festival della letteratura mondiale organizzato da International PEN. Quest’ anno il festival cade nel 50/o anniversario dell’ International PEN Writers in Prison Committee, un organismo che si occupa in particolare degli scrittori minacciati e perseguitati, fino alla prigione. E conclude una campagna per la libertà di espressione durata vari mesi.
Ne parla su Guardian online Frances Both, in un articolo che Claudia Dani ha tradotto sul suo blog.
Scrive Frances Both:
Per rimarcare 50 anni di difesa in nome della libertà di espressione, il Comitato PEN Writers in Prison ha creato una campagna annuale: Because Writers Speak Their Mind. Un filone di questa campagna mette in evidenza i casi di 50 scrittori per cui PEN si è mossa nei 50 anni in cui il Comitato ha operato.
Ognuno degli scrittori oppressi è stato abbinato ad uno scrittore che fa parte di writing group 26 (un gruppo variegato di persone che condividono l’amore per la parola), del quale sono anch’io membro. Il compito? Scrivere 50 parole , non una di più non una di meno, ispirandosi alla vita e al lavoro dello scrittore. Gli scritti sono messi online ogni giorno, dall’inizio e durante il Free The Word! Festival, che si svolge fra il 14 eil 18 aprile.
Non tutti i protagonisti sono ancora in vita. Lo scrittore di cui mi sono occupata era un giornalista turco-armeno e si chiamava Hrant Dink. Dink è stato colpito a morte nel gennaio 2007 fuori dalla redazione del suo giornale Agos, un quotidiano bilingue armeno e turco. Era uno fra i molti scrittori di alto profilo, accusati dall’articoli 301 del Codice Penale di aver insultato “l’essere turco” nei suoi scritti. Aveva ricevuto numerose minacce.
Che cosa si può dire in 50 parole? Non molto. Ma 50 parole al giorno per 50 giorni, potranno, si spera, sottolineare la libertà spesso data per scontata e la libertà persa.
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