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Jarvis: il governo Usa protegge il giornalismo del passato

In un documento appena pubblicato dopo mesi di audizioni e ricerche sulla salvaguardia del giornalismo, la Federal Trade Commission (l’ agenzia governativa Usa che dovrebbe difendere la concorrenza) propone di cambiare le leggi, “ma a favore degli incumbent e a discapito degli innovatori” – Lo sostiene Jeff Jarvis su Buzzmachine, spiegando che in 35 pagine di testo la parola blog è usata solo due volte, in una nota e a proposito dei siti di nicchia, e non c’ è neanche un accenno a Facebook o Twitter – Secondo Jarvis la Commissione si è arroccata apertamente sulla linea di difesa della struttura del vecchio potere dei media, tanto che il documento “è scritto completamente dal punto di vista delle aziende e delle istituzioni del mondo dell’industria”
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FTC protects journalism past

di Jeff Jarvis

(Buzzmachine)

La Federal Trade Commission ultimamente ha preso posizione sulla salvaguardia del giornalismo e nel documento appena pubblicato – Staff discussion draft (una bozza in cui si specifica che si tratta esclusivamente di uno spunto per una discussione, ndt) – sulla “potenziale politica da seguire per sostenere la reinvenzione del giornalismo”, mostra con evidenza la sua posizione di parte. La Commissione definisce come giornalismo quello che viene fatto dai giornali e si arrocca apertamente sulla linea di difesa della struttura del vecchio potere dei media.

Se avesse veramente voluto reinventare il giornalismo, la commissione si sarebbe dovuta allineare con i “sovversivi” del giornalismo. Ma qui non ce n’ è traccia. E la prova più evidente è il fatto che, in 35 pagine di testo, la parola blog è usata esclusivamente due volte: in una nota a piè di pagina e come un esempio di pubblicità su siti tematici (“es: un blog sul calcio”).

L’ unico riferimento agli investimenti sulla tecnologia – la vera guastafeste -, viene fuori nell’ ultima pagina (quando si suggerisce l’ importanza della ricerca e dello sviluppo per migliorare strumenti come taccuini elettronici). Non c’è nessun accenno all’ emergere di un nuovo ecosistema dell’ informazione – l’ ecosistema che studiamo e sosteniamo alla CUNY (una delle università di New York, ndr) – se non per lo sviluppo di quelle entità no profit che, per la loro stessa esistenza, hanno abbandonato la speranza che il mercato possa sostenere l’ informazione.

Se la FTC avesse veramente voluto ripensare il giornalismo, con le sue nuove opportunità e il valore aggiunto che esso può avere per la nostra democrazia, questo documento sarebbe stato scritto dal punto di vista proprio di quelle persone che la commissione dovrebbe in teoria rappresentare: i cittadini. Avrebbe tentato di esaminare come trarre benefici da questa informazione che si sta aprendo alle opportunità della collaborazione e che appare di grande rilevanza. Al contrario invece, il documento è scritto completamente dal punto di vista delle aziende e delle istituzioni del mondo dell’industria.

Il dossier, come tutti i documenti governativi che si rispettino, fa un sacco di grandissimi sforzi per non dire quasi nulla.  Basandosi sulle audizioni e sulle ricerche fatte nei mesi scorsi, la commissione partorisce delle proposte che io non solo trovo inquietanti, ma che si dimostrano essere tanto politicamente assurde quanto irrealizzabili. Per esempio quella che io chiamo la tassa iPad: far pagare al consumatore un 5% in più sull’elettronica per poter totalizzare 4 miliardi di dollari da destinare a un fondo pubblico per l’ informazione.

In realtà, è la prospettiva complessiva del documento che io trovo sostanzialmente alterata: una struttura del vecchio potere che si getta a difesa di un altro vecchio potere. Il cambiamento? Qualcosa a cui resistere e a cui tagliare la strada, non qualcosa da abbracciare e sfruttare.

La vera missione della FTC in questa situazione di cambiamento – la giustificazione per le varie audizioni e il lavoro che ha fatto – è quella di favorire la competizione. Ebbene, per la prima volta dal 1950 e dall’ introduzione della Tv, Internet sta creando nuova competizione nel mondo delle notizie. Ma lo staff della Commissione si è focalizzato esclusivamente sui giornali, scusandosi per non considerare il broadcast, e ignorando a piè pari il nuovo ecosistema dell’ informazione rappresentato dai blog e dalla tecnologia.

“Questo documento userà la prospettiva dei giornali per esemplificare le problematiche che il giornalismo nel suo insieme sta affrontando” scrive la FTC. E prosegue: “i giornali non hanno ancora trovato un nuovo modello di business sostenibile, e ci sono dei motivi preoccupanti per pensare che questo nuovo modello economico potrebbe non realizzarsi mai. Perciò non è troppo presto per iniziare a pensare a delle politiche che possano incoraggiare innovazioni in grado di sostenere il giornalismo nel futuro”.

Ecco, appunto. Il problema è proprio quello di voler sostenere la sopravvivenza dei giornali.

Tra le proposte presentate dalla FTC:

*  “Ulteriori diritti di proprietà intellettuale per sostenere le rivendicazioni contro gli aggregatori di notizie”. Il documento sfrutta addirittura le parole di Murdoch e compagnia bella per descrivere gli aggregatori come “parassiti”. Sposa quindi la loro prospettiva per cui i motori di ricerca e gli aggregatori ‘sfrutterebbero’ i contenuti, quando invece, secondo il mio punto di vista, quell’ uso promuove e aggiunge valore a quel contenuto (e vedremo presto come le proprietà di Murdoch faranno senza di esso). La FTC non tocca il concetto dell’ economia dei link e la questione del valore e della diffusione generati dagli aggregatori. Per non parlare (e loro non lo fanno) del sistema delle ‘raccomandazioni’, delle segnalazioni da parte dei lettori via Twitter e Facebook (che non compaiono assolutamente nel documento).

La FTC pensa soprattutto ad espandere il copyright e ad accerchiare il fair use, e sottolinea soprattutto i pericoli, senza, ringraziando il cielo, offrire particolari raccomandazioni.

La commissione prende in considerazione anche l’idea di estendere la dottrina delle “hot news”, messa in campo dall’Associated Press*, senza però degnarsi di dare una spiegazione del significato di  “hot” (Tom Glocer, Ceo di Reuters dice che le notizie hanno il valore massimo nei loro primi tre millesimi di secondo), ma allo stesso tempo ammette che le redazioni si ‘scambiano’ vicendevolmente, come routine, le notizie. Quello che in gergo viene chiamato in “Rip ‘n’ read” (strappa e leggi).

Quello che più mi infastidisce in questa sezione è il fatto che la FTC si preoccupa della “difficoltà di marcare il confine tra i fatti posseduti da qualcuno e quelli di dominio pubblico”. Fatti di proprietà di qualcuno? Stiamo per imboccare una strada per cui qualcuno sarà in grado di possedere un fatto così come l’ufficio brevetti permette a qualcuno di possedere un progetto? Mamma mia, questo sì che è pericoloso.

* Esenzioni antitrust. La FTC suggerisce di permettere alle testate giornalistiche di accordarsi per stabilire i prezzi per i consumatori e quelli per gli aggregatori. Ma questo non è l’ esatto contrario di quello che un’agenzia incaricata di proteggere la competizione a beneficio dei consumatori dovrebbe proporre? Non dovrebbe indietreggiare con orrore di fronte a questa possibilità di una antitrust che difende i vantaggi degli incumbent? A quanto pare, non in questo caso.

* Sussidi governativi. Dopo aver reso omaggio alla storia dei sussidi governativi per la stampa – cioè, sconti postali, sconti fiscali di vario tipo e fondi per il broadcasting pubblico – l’agenzia guarda anche ad altre idee: una sorta di AmeriCorps che paghi i giornalisti; un aumento dei fondi per il broadcasting pubblico; un fondo nazionale per le notizie locali suggerito da un report sul giornalismo della Columbia University; detrazioni per i giornalisti assunti; dei “buoni informazione”  (analoghi ai fondi raccolti fra i cittadini per finanziare le elezioni presidenziali); premi alle università per la cronaca. La FTC considera anche la possibilità di aumentare l’attuale sussidio postale (che porterebbe ancora di più in bancarotta il morente servizio postale in favore di un altrettanto morente mondo della stampa); utilizzare sul territorio degli Stati Uniti i contenuti di Voice of America e Radio Free Europe (cioè propaganda) e, infine, permettere alla SBA (la Small Business Administration) di aiutare i soggetti non profit.

* Tasse. Ovviamente la FTC si rende conto che qualcuno dovrebbe pagare per tutto ciò. In una sezione del rapporto, la commissione lancia quindi l’ idea di creare una sorta di “canone per le notizie”: far pagare a noi una tassa sul collegamento a internet che il governo poi rifilerebbe ai suoi selezionati fornitori di informazione. Chiamiamola ‘internet tax’.  Non è nient’altro che una tassa e sosterrebbe sicuramente gli incumbent. In un’altra sezione viene ipotizzata la già citata tassa sull’ iPad; una tassa sul broadcast;  una tassa sulle licenze radiotelevisive; una tassa sugli ISP e sui cellulari; infine una tassa sulla pubblicità (fantastico: tagliamo anche sull’ unico soggetto che ancora sostiene l’ informazione in America.)

* Nuovo modello di tassazione. Il documento dedica ampio spazio alle possibili vie per fare del giornalismo un’attività esente da tassazione e sostiene che l’IRS (l’Internal Revenue Service, l’agenzia governativa statunitense responsabile del recupero fiscale e delle leggi tributarie, ndt) dovrebbe cambiare le proprie regole per permetterlo. La commissione esorta anche a procedere ad una modifica della legge tributaria per permettere la formazione sia di corporation ibride (corporation a fine di ‘benefit’ e con “scopi flessibili”, che possano verificare il proprio successo semplicemente svolgendo la propria mission e non solo puntando alla massimizzazione di profitti) che di aziende low-profit (L3C).

* Infine, il documento considera anche un aspetto che dovrebbe competere alla sfera governativa: far sì che il governo renda le proprie informazioni aperte ed accessibili per essere viste ed analizzate. Beh, finalmente qualcosa di interessante!

Vengo citato nel documento per la testimonianza resa alla commissione in cui sostenevo di essere “ottimista rispetto al futuro dell’ informazione e del giornalismo. La barriera per entrare nel sistema mediatico non è mai stata più bassa di così…ma quello di cui abbiamo bisogno è una competizione ad armi pari.” E poi in una nota: “se parlate di sopravvivenza, parlate della prospettiva dei vecchi protagonisti che hanno avuto a disposizione una quindicina d’anni per mettere insieme i pezzi e non l’hanno fatto. Il futuro del giornalismo, sappiamo ora,  non è istituzionale, ma imprenditoriale.”

Ma questo documento in realtà non offre niente per permettere questo futuro imprenditoriale. Se vuoi dare a qualcuno degli esoneri fiscali – e io non lo farei – dalli a coloro che investono nell’ innovazione, considerati come dei sovvertitori dall’esterno ma come visionari dall’interno. Di sicuro io però non cambierei le leggi a favore degli incumbent e a discapito degli innovatori. Non vedo il motivo per dare dei sussidi fiscali per sostenere un’attività che oggi è cento volte più efficiente di prima. Invece di restringere il flusso di informazione permettendo a pochi di diventarne proprietari, direi che al contrario è proprio nell’interesse della democrazia renderlo più libero.

Il vero problema che vedo qui è in realtà l’alleanza tra le istituzioni dei media e del governo. Internet, a queste condizioni, non rappresenta più la salvezza delle notizie, del giornalismo e della democrazia. È l’opposto.

Il vero consiglio da me dato alla FTC non è citato nel documento. È questo: Fuori dal nostro giardino! Get off our lawn.

Trasparenza: Lo ho già spiegato nella mia disclosures page, ma non può far male ripetere in questa sede che ho investito in una piattaforma di aggregazione (e da cui non sono pagato), usata da alcuni editori per linkare altri contenuti (Daylife). Faccio il consigliere di una compagnia guidata da uno di quei visionari di cui parlavo prima: John Paton, del Journal Register. Dirigo il progetto alla CUNY che si sta occupando di ricercare nuovi modelli di business nel mondo delle notizie.

E poi, sono un blogger.

Ho postato questo articolo sia su Business Insider che sull’Huffington Post; potete vedere la discussione anche su quei due siti.

Il documento via Scribd è qui.

(traduzione di Giulia Dezi)

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* http://newmedialaw.proskauer.com/2009/02/articles/online-content/want-some-hot-news-ap-hot-news-case-against-online-news-aggregator-survives-motion-to-dismiss/

Vedi anche: Annals of imbecility: $5 ISP tax to fund online journalism?

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