Lo story-telling è diventato uno dei termini di moda del marketing giornalistico, ma si tratta di una pratica (antica) che presenta dei forti rischi deontologici – L’ analisi di un giornalista francese su un fenomeno che ci riguarda tutti sempre più da vicino
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”Lo story-telling è diventato uno dei termini di moda del marketing giornalistico. Ormai, per interessare il pubblico – si dice – bisogna raccontargli una storia che possa emozionarlo. Una pratica antica che presenta dei forti rischi deontologici”.
Così Owni.fr introduce l’ analisi di Cyrille Frank (Le story-telling contre l’ information), che presentiamo qui sotto come contributo al dibattito sulla deriva del sistema dell’ informazione italiano di fronte a vicende come l’ uccisione di Sarah Scazzi o la scomparsa della sedicenne di Brembate. Dove, come stiamo vedendo, l’ emozione può anche tranquillamente andare contro l’ informazione.
Le story-telling contre l’ information
di Cyrill Frank
(Owni.fr)
I fatti sono tristi, banali, non interessanti? Bene, rivestiamoli con una patina narrativa gradevole, una confezione che farà appello alle emozioni: compassione, rivolta, ammirazione. Tutto piuttosto che l’ apatia e l’ indifferenza dei fatti bruti.
L’ inchiesta scientifica avvalora o meno un postulato sulla base degli elementi trovati. I reportage d’ informazione, soprattutto quelli televisivi, invece, sono costruiti a prescindere dalle prove che poi verranno raccolte. Il canovaccio dell’ inchiesta viene decisa in redazione e vengono raccolte solo le immagini e le testimonianze che confortano il postulato, la scelta editoriale di partenza.
Patrick Champagne, nella sua ‘’Visione mediatica’’, ha mostrato come a volte i giornalisti costruiscono la realtà che pretendono di descrivere. Che si tratti dei problemi delle banlieues o delle manifestazioni studentesche, essi vanno a cercare sul campo gli elementi che hanno già elaborato nel loro ufficio.
Story-telling, velocità e resa
Primo, i giornalisti televisivi non hanno il tempo per realizzare una vera inchiesta. L’ attualità impone di andare veloci. Le costrizioni organizzative e le relative pressioni economiche sono forti.
Secondo, la corsa all’audience; la concorrenza spinge alla spettacolarizzazione e alla semplificazione.
Incidenti a Vaux-en-Velin, nella banlieue?  Per afferrarne le cause basta guardare le palazzine scrostate, la tristezza delle torri, il malessere dei luoghi che si vanno a filmare  sotto la peggiore angolazione. La disoccupazione di un pugno di giovani sbandati, la violenza verbale dei bulletti desiderosi di guadagnarsi qualche gallone di rispettabilità passando in tv, basteranno a spiegare i motivi del ‘’malessere’’.
Il messaggio è semplice: è questo luogo deprimente, sono questi orizzonti chiusi e l’ ozio che conducono alla rivolta, al crimine.
Tanto peggio se le cose sono più complesse, tanto peggio se la maggioranza degli abitanti della cittadina è composta di lavoratori silenziosi e docili. Che importa se il tessuto associativo è ricco e creativo, se tutti gli impianti sportivi e culturali appena realizzati dicono tutto il contrario del discorso miserabilista! Il giornalista selezionerà solo gli elementi conformi al suo schema originale.
Bisogna raccontare questa storia che trasmetterà del ‘’senso’’ al telespettatore. Ma se c’ è bisogno di una spiegazione rapida, questo servizio dura solo 5 minuti. Difficile affrontare la complessità in dei format così ristretti, e non c’ è alternativa: il nostro mondo diventa sempre più complesso…
E poi l’ intelligenza semplicemente non è redditizia. E’ talmente più vendibile un reportage di 20 minuti sulla violenza machista dei giovani delle banlieue. Ci vuole un po’ di roba spettacolare, rivoltante, ansiogena, ecco mio caro…
L’ edulcorazione del reale
Alcuni reportage procedono invece al contrario, valorizzando le emozioni e i sentimenti positivi. Sono quelle trasmissioni, spesso in tarda mattinata, che restituiscono un paese da cartolina, irreale, pieno di zone belle, ricche e armoniose. Una visione concepita su misura per i fruitori: pensionati e casalinghe, maggioritari in quelle ore davanti alla tv.
Ma i campioni assoluti dello story-telling sono innegabilmente i giornalisti sportivi, soprattutto quelli televisivi, primi nell’ informazione-sceneggiata.
Il campo principale in cui si esercita questa tecnica: i ritratti che sono costruiti alla hollywoodiana, su dei canovacci standardizzati:
1-     Una sfida difficile, un obbiettivo lontano e inaccessibile (campionato, premio…)
2-     Le difficoltà , le prove dure, la sofferenza, le ingiustizie che si accumulano
3-     Descrizione delle virtù dell’ eroe: gentile, perseverante, fedele, amante della sua famiglia…
4 –      La vittoria, alla fine, l’ apoteosi, la ricompensa
5 –     Epilogo: tutto è bene quel che finisce bene, la morale è salva, non c’ è il caso, i giusti vengono ricompensati. Potete dormire tranquilli, tutto va bene nel migliore dei mondi possibili…
In questo vecchio reportage di Stade2, il giovanotto di cui si disegna il ritratto, Zinedine Zidane, è un ragazzo gentile. E siccome alla sua ragazza le parole per descriverlo spontaneamente non vengono, ecco che il giornalista non esista a suggerirgliele: ‘’E’ gentile, vero?’’… Costruzione preventiva.
La vita è già abbastanza dura, lo sport concepito come divertimento diventa fiction, per servire l’ emozione, anche contro l’ informazione.
Da qui la leziosaggine dei servizi sportivi alla Gérard Holz che nascondono gli affari sporchi, gli inganni istituzionalizzati del ciclismo o dell’ atletica, che idealizzano i ritratti degli sportivi-che-sono-tutti-simpatici, anche quando tutti sanno che grande simpatia c’ è dietro le quinte.
In questo mondo di cartapesta, così ‘carino’ e kitch, la televisione diventa evasione, sogno, fiction sotto le apparenze di una realtà oggettiva. L’ alibi dietro le guerre economiche che scatenano reti televisive o testate di giornali è presto trovato: dare felicità alla gente.
La tele-realtà non è stata inventata da Endemol
Questo miscuglio di fiction e realtà tanto denunciato quando si tratta di ‘’Loft’’ o di ‘’Secret Story’’ (due dei più seguiti reality in stile ‘Grande fratello’, ndr) risale a prima di queste trasmissioni. Questo miscuglio riempie i nostri telegiornali, i nostri reportage, le nostre riviste da molto più tempo…
L’ obbiettività giornalistica naturalmente non esiste. Non si sfugge alla propria cultura, alla propria educazione, al proprio ambiente, che producono delle strutture mentali, degli a-priori incoscienti.
Ma se non ci sono degli obblighi di resa in termini di obbiettività , c’ è almeno un obbligo di mezzi da utilizzare: l’ onestà intellettuale, il rigore nella raccolta dei dati, il confronto dei opunti di vista, la prudenza nella presentazione delle informazioni… Tutte qualità che fanno un buon giornalista (fra la altre).
Oggi la cultura dell’ emozione a tutti i costi deforma l’ informazione. E la competizione per la conquista dell’ attenzione attraverso l’ ultra-concorrenza dei messaggi e dei loro produttori accentua il movimentio.
Con la scusa di dare del senso al lettore-telespettatore, anche se la spiegazione è falsa o incompleta, con la scusa di procurargli della ‘’felicità ’’, si deforma la realtà . Cosa che non è tanto grave quando lo si dice apertamente. Ma che lo è molto di più quando la miscela viene effettuata insidiosamente, sotto una patina di rispettabilità .
Alla fine io preferisco quasi “Loft† a “Envoyé Spécialâ€. Quasi.