La scomparsa dell’ utente medio
Un tempo – spiega Frédéric Filloux su Monday Note – la struttura dei media portava ad una distribuzione equa delle entrate, a prescindere dai contenuti e dagli utenti. Ma ciò non è più applicabile all’utenza della Rete: essa è più dispersa e segmentata che mai, ed il suo valore specifico può rappresentare una differenza critica nell’elaborazione di un modello di business – L’ importanza del concetto e della conoscenza degli ‘’heavy user’’: l’ 1%, ad esempio, utilizza il 20% dell’ intera banda larga fruita in un determinato periodo – E poi, secondo Filloux, il pubblico non acquista più contenuti all’ingrosso, ma li seleziona, lasciando a terzi, l’ instabile mercato pubblicitario, l’onere di finanziarli
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The Death of Joe Average
di Frédéric Filloux
(Monday Note)
L’utente medio è scomparso; dimentichiamocene. Dieci o venti anni fa, analizzare l’utenza era molto più semplice, in quanto i gruppi target dei fruitori dei media erano ben definiti e relativamente invariati. I network televisivi, ad esempio, avevano un’idea precisa su chi stesse guardando cosa, e anche le televisioni via cavo conoscevano il proprio pubblico abbastanza bene. I giornali suddividevano i propri contenuti adattandoli alle varie tipologie di lettore in base a focus di interesse, gruppi anagrafici ed opinioni. All’epoca, i contenuti erano convogliati insieme su di un’ unica piattaforma e ad una tariffa fissa, sulla base delle copie vendute o degli abbonamenti: la popolare sezione dello sport o le inserzioni locali finanziavano la sezione esteri, più costosa ma più elitaria, il tutto al prezzo di un dollaro o l’equivalente di un euro.
Nel mercato di oggi, ogni singola informazione nasconde un intero insieme di valori. Il pubblico non acquista più contenuti all’ingrosso, ma li seleziona, lasciando a terzi (l’instabile mercato pubblicitario) l’onere di finanziarli. E mentre i contenuti vengono sparpagliati attraverso il Web, lo stesso accade per il pubblico. Anche il denaro viene convogliato diversamente, giacché negli Stati uniti vengono spesi  260 dollari all’anno per famiglia in servizi digitali (telefoni cellulari, banda larga, satellite) che non esistevano fino ad una generazione fa (oggi anche le famiglie più povere arrivano a spendere 180 dollari all’anno). Tutto questo rende di per sé ardua la speranza di un ulteriore investimento di 20 dollari mensili per contenuti informativi ampiamente disponibili in forma gratuita.
Ma il vero obiettivo adesso è costituito dal tempo e dall’attenzione. Secondo Nielsen, lo scorso dicembre gli statunitensi hanno trascorso 64 ore on-line, ma si sono soffermati su ogni pagina solo 57 secondi.  Va bene, si tratta di una media, e il concetto può essere ribaltato facilmente. Tuttavia, porta l’attenzione sulla sfida che ci troviamo ad affrontare: la disponibilità di tempo. Sempre lo scorso dicembre, gli utenti americani hanno trascorso 6 ore e 24 minuti su Facebook, 2 ore e 56 minuti sui servizi di Yahoo, 2 ore e 21 sui vari siti di Google e 2 ore e 3 minuti su quelli di Microsoft. Il tempo trascorso a leggere un giornale, invece, si mantiene stabile: circa 20 minuti al mese, sia che si guardi al mercato statunitense che a quello europeo.
Il cambiamento di rotta sembra mirare speditamente verso Facebook, che sta diventando il principale polo di attrazione della Rete: il tempo che gli utenti trascorrono sul social network è triplicato in solo un anno, mentre Google è cresciuto solo del 10% e Yahoo e Microsoft hanno registrato una leggera caduta. È interessante notare che a fare le spese del boom di utilizzo di Facebook siano stati anche i video on-line: il dato di 3 ore e 30 minuti registrato lo scorso dicembre è ancora alto, ma è comunque in flessione del 3,4%. E probabilmente l’effetto Facebook spiega anche il perché gli utenti visitino meno siti Web: gli 83 domini visitati in media il mese scorso, infatti, rappresentano una sorprendente caduta del 23% in solo un anno.
Anche gli investimenti pubblicitari stanno mutando. Nel mercato statunitense, tra agosto 2008 e agosto 2009, gli investimenti online sono scesi del 2%, nonostante la spesa registrata sui principali social network sia cresciuta del 119%. Purtroppo, tale mutazione sta avvenendo al risparmio: in base alle stime relative al 2009, le entrate di Facebook si attestano attorno ad 1,5 dollari l’anno a persona in quanto ad inserzioni pubblicitarie. Per porre la questione su un piano spiacevole, questo dato si può confrontare con i 647 dollari che un quotidiano come il Washington Post incassa per ogni abbonamento o copia venduta, a cui si aggiungono 215 dollari per ogni lettore ipotizzando un tasso di tre lettori per copia (il calcolo è basato sull’intero 2008).
Tornando al titolo di questo intervento, l’analisi delle tendenze è oggi materia più complicata che in passato : l’utenza non è più monolitica, e le nicchie in cui si scompone sono difficili da definire con certezza. Tale incertezza fa sì che la media sia un dato sempre meno importante. Qual è, ad esempio, il lettore medio di un quotidiano online? Prendiamo in considerazione due lettori e focalizziamoci sui diversi livelli di coinvolgimento. Uno è incollato al New York Times, a Le Monde o all’ Aftonbladet sull’ iPhone durante il suo pendolarismo quotidiano di mezz’ora. L’altro, alle sette di sera, getta un’occhiata casuale ai titoli mentre sorseggia un bicchiere di chardonnay con la televisione in sottofondo. In questo esempio specifico, il livello di coinvolgimento fa la vera differenza sul piano del valore del lettore.
Di conseguenza, quella di heavy user diventa una definizione critica. Il 10% o il 20% può essere legato ad un certo tipo di piattaforma , ad un determinato momento della giornata, e a seconda dell’età , del profilo socio-demografico, ecc. Ecco qualche esempio:
– Fruizione della banda larga. Secondo Cisco, una famiglia media in tutto il mondo fruisce di 11,4 gigabite di dati al mese. Ma il 10% delle famiglie costituisce ben il 60% dell’intera fruizione della banda larga, e addirittura il solo 1% dei principali heavy user rappresenta il 20% dell’intera fruizione. La differenza sta nel volume di dati peer-to-peer che rappresenta il 38% del traffico (è interessante notare che tale volume ammontava al 60% due anni fa). Un altro fattore da considerare è la crescita di strumenti di connessione video che fanno esplodere la richiesta di banda durante le ore di punta (ovvero dalle 21:00 all’01:00 ore locali).
– Utilizzo del telefono cellulare. Secondo AT&T, il primo 3% dei fruitori di smartphone – principalmente utenti iPhone – rappresenta il 40% sull’utilizzo totale. Anche in questo caso, a spostare l’ago della bilancia è lo scambio e il download di file audio e video.
– Twitter e Facebook. Riguardo al primo, il 5% degli utenti costituisce il 75% dell’attività su Twitter, mentre il 10% ne costituisce l’86%; un utente su due non twitta mai, e la stessa percentuale non segue nessuno.
Quanto a Facebook, una ricerca condotta da BLiNQ Media ha rilevato che, relativamente ad una specifica applicazione virale utilizzata come test, il solo 6% degli utenti rappresentava il 56 del traffico associato a tale applicazione. Inoltre, questa fetta di heavy user era apparentemente incentrata su trentasettenni piuttosto che i venticinquenni che rappresentano la tipica utenza Facebook.
– Tempo trascorso. Ricordate le 64 ore trascorse su Internet dall’utente medio calcolate da Nielsen? Bene, secondo il Digital Future Report la cifra è circa la stessa (il che è rassicurante), ma con una leggera distinzione circa gli utenti più occasionali che trascorrono 11 ore online al mese e gli utenti più accaniti che ne trascorrono circa 168 – 15 volte di più.
Quando si valuta un business model, è di cruciale importanza conoscere il principale 10-20% dell’ utenza. Per i media tradizionali che convogliavano i propri contenuti su di un’unica piattaforma, aveva senso prendere in esame il concetto di utenza media. A quel tempo, la struttura dei media portava ad una distribuzione equa delle entrate, a prescindere dai contenuti e dagli utenti. Ma ciò non è più applicabile all’utenza della Rete: essa è più dispersa e segmentata che mai, ed il suo valore specifico può rappresentare una differenza critica nell’elaborazione di un modello di business.
(traduzione di Andrea Fama)