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Lo tsunami mediatico: quando il quanto diventa troppo

Possiamo produrre quanto vogliamo, contenuti a iosa, e anche buoni, ma viene il momento in cui ci troveremo di fronte alla scoperta che…Nessuno ci sta ascoltando… La strada per salvarsi da questa inondazione di contenuti, osserva Tom Forensky, è capire che sarà il contenuto interessante a scovarci e non il contrario – “Se crei dei contenuti interessanti, di rilievo, saranno loro a trovare la strada per raggiungere le persone interessate – Conterà poco l’ intervento della SEO o la diffusione su Twitter, Google Buzz, Facebook, ecc. Se il contesto non è rilevante quesi contenuti non arriveranno mai fino a me”

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Tom Forensky, ex redattore di Financial Times, riporta su Siliconvalleywatcher.com un episodio raccontato da Leo Laporte, un popolare protagonista della tv Usa.

Un giorno Laporte – racconta Forensky – si è accorto che Twitter non  diffondeva più i suoi post su Google Buzz. Gli ci sono volute più di due settimane per rendersene conto ed è rimasto sconvolto dal fatto che nessuno lo aveva avvertito.

Mi sono sentito come se tutto quello che io avevo ‘postato’ negli ultimo quattro anni su Twitter, Jaiku, Friendfeed, Plurk, Pownce, e, sì, Google Buzz, fosse stata una immensa perdita di tempo. Stavo urlando in una immensa camera in cui nessuno poteva sentirmi has been an immense waste of time. I was shouting into a vaperché tutti erano troppo occupati a urlare loro stessi. In tutto questo tempo avevo pompato contenuti nel Vuoto come un chiacchierone onanista. Che umiliazione. Che demoralizzazione!

Questo incidente – commenta Forensky – descrive perfettamente il problema dello ‘tsunami mediatico’.

Il quanto, il quando e il troppo
Quanti contenuti giornalistici dovrei produrre?, si chiede Forensky.

Come giornalista professionista questa è stata la questione principale che mi sono trovato a dover affrontare negli ultimi 5 anni, dopo aver lasciato il Financial Times.

Io posso produrre una determinata quantità di contenuti, e, spero, tutti di qualità. Ma la mia preoccupazione è che se produco troppo questo potrebbe spingere i miei lettori e abbonati a fuggire via, perché si troverebbero di fronte troppe cose per una fonte sola.

Io lo so che se qualcuna delle mie fonti è troppo chiassosa su Twitter o su Facebook, sul suo blog o sul sito web, la spegnerò perché è esagerata – anche se tutti i suoi contenmuti fossero buoni. E non voglio che i miei lettori facciano lo stesso con me.

La questione del quando il quanto diventi troppo non è solo la mia preoccuopazione, dovrebbe essere un problema per tutti, soprattutto per le aziende. Ho scritto più volte di come ogni azienda sia alla fine una azienda mediatica (EC=MC – the transformative equation for business), di come ogni azienda debba migliorare il suo modo di produrre, diffondere e interagire con i contenuti mediatici.

Il campo mediatico è importante per stabilizzare un’ azienda nel proprio campo e determinare la sua leadership. Se i tuoi potenziali utenti non ti vedono allora non esisti.

Se il più diventa meno

Ora abbiamo un media tsunami che ci inonda e che sta diventando tanto grande quante più persone e aziende scoprono come produrre sempre più media. Come avere un buon rilievo quando un grande tsunami mediatico impazza in continuazione schiacciando tutto quello che abbiamo intorno?

Produci ancora altri media? Li aggiungi allo tsunami sperando che la tua voce venga sentita perché opposta a quella dei tuoi concorrenti?

La stessa questione si può applicare alla pubblicità online. Dove il principio di base sembra essere che il più è meglio del meno. Ed è per questo che siamo inondati da inserzioni che brulicano sul nostro schermo bloccando quello che vogliamo vedere; inserzioni che prendono sempre più spazio sul nostro monitor; inserzioni infilate nei link.

Ma da tutto questo una lezione si può trarre. Più pubblicità porterà a meno valore per inserzione. Più pubblicità sta riducendo le entrate per molti editori online perché ci sono molti posti dove investire. Il più diventa meno.

Questo principio si applica anche ai contenuti? Più media equivale a meno valore? Se un’ azienda produce troppa informazione finirà per stancare e allontanare i potenziali utenti? Ci sono 87 video degli Old Spices in un solo giorno. Troppo? Non abbastanza?

Io penso che sia troppo. Anche se ogni segmento di questi media fosse di qualità, io penso che affrontare questo media tsunami con un fuoco di sbarramento dei propri media sia un approccio sbagliato.

Urlare? Non è la soluzione

Ecco, dice Foremsky, che torna il problema di Laporte.

Louis Gray, diventato recentemente vicepresidente di My6Sense, una startup israeliana, sostiene che si tratta di un problema di impegno.

Uno che urla più forte può richiamare l’ attenzione per un po’ di tempo, ma è difficile starlo a sentire a lungo, ed è difficile anche farlo. Non puoi sostituire l’ impegno, la conversazione reale, lo scambio di idee che si ottiene con una comunità reale.

Sono d’ accordo che l’ impegno è importante se riesci a sostenerlo. Ma questo media tsunami provoca un annacquamento dell’ impegno.

Louis Gray ha osservato che “molti post sui blog ricevono pochi o nessun commento. Twitter non registra un granché di interazioni. La condivisione su FriendFeed e Google Buzz, che una volta innescava delle fitte conversazioni sul piano di una concreta consapevolezza, ora è praticamente inattiva. Le foto su SmugMug e Flickr registrano meno visitatori”.

Sarà il contenuto interessante a scovarci e non il contrario

Io penso che la risposta sta davanti a Louis Gray e tutti noi. Penso che sarà il contenuto interessante a scovarci e non il contrario. Se crei dei contenuti interessanti, di rilievo, saranno loro a trovare la strada per raggiungere le persone interessate.

Loren Feldman, di 1938Media, colpisce nel giusto in questo suo breve video,  che si intitola, appunto, “Nessuno sta ascoltando” (Nobody Is Listening – 1938 Media).


Se ti concentri sulla creazione di contenuti che siano rilevanti, questi ultimi troveranno la strada per raggiungere le persone giuste. E questo andrà bene anche per la pubblicità.

E sarà veramente difficile giocare con i contenuti. Conterà poco l’ intervento dei SEO o la diffusione su Twitter, Google Buzz, Facebook, ecc. Se il contesto non è rilevante quesi contenuti non arriveranno mai fino a me.

La stessa cosa vale per la pubblicità. Immagina un mondo in cui il tuo ad copy individua ogni volta il target giusto ma tu non hai la possibilità di pagare costi di inserzione troppo alti. Questo ridurrà drasticamente i costi di marketing dell’ azienda,  che dovrà quindi concetrarsi nel  realizzare prodotti e servizi rilevanti per i suoi utenti invece di preoccuparsi di rincorrere altri potenziali clienti.

Questo significa la fine del marketing e delle PR? Probabilmente no, ma riduce la loro importanza.

La tecnologia fa quello che è già possibile fare e che è disponibile:  My6sense, Genieo, ecc. Si tratta di filtri auto-organizzati, di curatori autorganizzati di contenuti che ti forniranno il contenuto giusto nel momento giusto.

Siamo ancora all’ inizio ma queste tecnologie arriveranno perché possono arribvare e perché è l’ unico modo di confrontarsi con questo media tsunami.

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