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Twitter offre una rapidità di diffusione delle informazioni enormi: si sapeva che era così, ma forse non si era riusciti finora a misurare l’ ampiezza del fenomeno.
E’ la prima riflessione che viene in mente a Benjamin Muller, uno dei cinque giornalisti di radio francofone protagonisti di ‘’Huis clos sur le Net’’, che si sono sottoposti a un esperimento di privazione assoluta dei media tradizionali e che nei cinque giorni di ‘’reclusione’’ (dall’ 1 al 5 febbraio) nel Périgord (sud della Francia) hanno potuto utilizzare solo le reti sociali, in particolare Twitter e Facebook, per alimentare i loro blog e i loro tradizionali programmi radiofonici.
Il solo limite che pone Twitter – spiega Muller – è che, con quella velocità e ampiezza di propagazione, se una notizia è sbagliata, o falsa, una gran quantità di persone vengono massicciamente disinformate.
Per il giovane giornalista di FranceInfo – che fa l’ esempio di una notizia relativa a un incidente stradale – il secondo insegnamento che questa esperienza gli ha dato è la mancanza della funzione di decrittazione della realtà che i media tradizionali offrono. ‘’Capiamo che c’ è stato un incidente stradale, ma non sappiamo se il conducente aveva la patente, né quali erano le condizioni del tempo (ghiaccio, nebbia, ecc.) e lo stato della macchina prima dell’ incidente’’.
La stampa tradizionale nella maggior parte dei casi ci dà queste informazioni.
Il terzo insegnamento riguarda la gerarchia che viene fuori da Twitter. Gerarchia evidentemente diversa da quella dei media classici. Le piccole polemiche di cortile sono in primo piano su Twitter mentre sui media tradizionali si parla molto di più degli scioperi nelle Ferrovie.
Un’altra questione importante: l’ informazione internazionale è molto poco seguita su queste reti.
Infine, per quanto riguarda il quadro generale, dopo cinque giorni di ‘’reclusione’’ ‘’potrei dire che Twitter/Facebook e i media tradizionali non sono in opposizione – commenta Muller -. Si tratta piuttosto di due reti complementari: in parole povere, una informa, l’ altra diffonde’’.
Due mondi
Per Nour-Eddinne Zidane, di FranceInter, il principale insegnamento che gli è venuto da questa esperienza è la sensazione di essere stato situato “fra due mondi’’. Da un lato quelli che dominano e controllano le reti sociali, mentre noi venivamo visti un po’ come degli emissari dei grandi media cattivi che vogliono screditare tutti questi nuovi strumenti; dall’ altro lato alcuni giornalisti dei cosiddetti media tradizionali che vedevano consideravano la nostra una esperienza del tutto futile, con quelle reti sociali di cui non ci si può fidare o che diffondono delle voci false.
C’ è voluto un po’ di tempo per spiegare alle persone che non eravamo là per dimostrare qualcosa, ma per vedere che cosa succedeva su queste reti concretamente, senza pregiudizi’’.
Una attesa esagerata
L’ operazione “Huis clos sur le Net” ha fatto parlare parecchio, a livello mondiale, e forse questo fatto ha provocato una attesa esagerarta, riflette Thomas Nagant sul sito della radio belga Rtbf. Ma Nicholas Willems, redattore dell’ emittente e uno dei cinque protagonisti dell’ esperimento, è contento dell’ interesse suscitato: ‘’Temevo che il tutto rimanesse nel campo puramente giornalistico, con deui giornalisti che si guardavano l’ ombelico. Ma non è affatto così! Si sente che è stata veramente una scommessa che va al di là dei giornalisti e interessa i cittadini. Da cui forse delle reazioni molto forti…’’.
Due mondi che si capiscono poco? In effetti è la questione posta dal quintetto. Per gli “heavy users” di Twitter, gli utenti avanzati di questa rete, i giornalisti per esempio non comunicavano abbastanza su Twitter. Loro ribattono che dovenano seguire i loro blog e comunicare con le rispettive emittenti… Delle condizioni naturali per i giornalisti, secondo cui ‘’dall’ altra parte, non conoscono bene il nostro mestiere’’, ma che comunque riconoscono che ‘’per ignoranza, alcuni giornalisti tradizionali pensano che si tratti solo di reti sociali, ludiche, mentre al contrario siono degli strumenti in più’’. Un lavoro di ‘’pedagogia’’ da realizzare, secondo Nour-Eddine Zidane.
Per Steven Jambot, giornalista specializzato nelle reti sociali, ‘’questa esperienza è un primo passo. Sarà interessante rivedere i protagonisti dell’ esperimento fra sei mesi, per verificare se resteranno utenti dei social netowork dopo una settimana di uso così intenso’’.
Allarmi e contatti
Alcuni dei partecipanti, come Nicolas Willems, riconoscono di aver già individuate Twitter come uno strumento a sé stante della loro pratica giornalistica, soprattutto come un canale di allarme. Facebook, invece, viene considerato di più per la ricerca di testimonianze. Willems, ad esempio, racconta in particolare come, segnalando su Twitter il desiderio di entrare in contatto con un haitiano noto per aver dato ll’ allarme sul terremoto al mondo intero, la rete si sia presto mobilitata per permettergli di ritrovarlo
La grossa difficoltà di questi social network è di riuscire a valutare correttamente la qualità delle informazioni ricevute, confessa Nicolas.
E’ vero che le ‘’cavie’’ non si erano facilitati il compito, su Twitter e Facebook, decidendo volontariamente di ‘’tagliare’’ quelle fondamentali fonti di informazione che sono i grandi media. “Ci vuole un bel po’ di tempo per farsi una buona rete e le informazioni non arrivano per niente: quindi nessun messaggio è innocente’’, spiega. Una constatazione che si applica comunque a tutte le forme di giornalismo.
I giornalisti non hanno più il monopolio dell’ informazione
Altra constatazione: la grande presenza, secondo Nicolas,  di “soft news”, in altre parole di gossip e avvenimenti leggeri, ma anche di informazioni pratiche sull’ evoluzione delle nuove tecnologie. Ci vuole un po’ più di tempo – sottolinea Nicolas – per accedere all’ informazione politica o a quella internazionale.
Per Janic Tremblay, di Radio Canada, i giornalisti non possono eludere un imperativo: devono imparare questi nuovi media, per evitare che altri se ne impadroniscono al posto loro. ‘’I media che occupano il terreno sono quelli che riusciranno ad appropriarsi delle reti sociali’’, rileva il giornalista canadese.
Nicolas Willems traccia una analogia col fenomeno dei blog, ricordando che all’ inizio erano considerati come ‘’niente di importante’’, per poi diventare alla fine parte integrante dei grandi media, con una partecipazione ormai determinante dei giornalisti.
A suo avviso la stessa evoluzione sta avvenendo con Twitter, in cui un numero semopre maggiore di giornalisti inviano informazioni.
Per Janic Tremblay – continua rtbf – il web 2.0 ha segnato una evoluzione fondamentale per il lavoro dei giornalisti, per troppo tempo abituati a mantenere il monopolio dell’ informazione, e che ormai devono tener conto dei cittadini che prendono sempre più la parola e partecipano alla creazione dell’ informazione.
Un indice di cambiamento: alcune università anglosassoni hanno già inserito le reti sociali nei loro c orsi di giornalismo…