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Telefonate? Una al mese, da richiedere con anticipo e per iscritto. Lettere? Controllate da e per l’esterno. Visite? Solo se autorizzate dall’Amministrazione Penitenziaria, che ne stabilisce orari e durata. Mezzi a disposizione? Molto pochi. Internet? Vietato. Stiamo parlando di una normale redazione. Del carcere.
Ci si chiederà come sia possibile parlare di giornalismo date le condizioni in cui si svolge il lavoro. Eppure – spiega Gianluca Modolo*, uno studente padovano di Scienze della Comunicazione in una Ricerca realizzata nell’ambito del corso di Linguaggio Giornalistico tenuto dal professor Raffaele Fiengo – i giornali scritti in carcere sono attualmente una settantina. E il fenomeno è in costante crescita. Si va dallo storico La Grande Promessa del carcere di Porto Azzurro (Isola d’Elba), datato 1951, alle pubblicazioni più recenti come Salute inGrata, nato nel 2008 nel carcere milanese di Bollate.
On line, cartacei, femminili, maschili, informativi, provocatori: sono queste alcune delle caratteristiche dei giornali carcerari presenti oggi in Italia. Dal 2005 sono riuniti nella Federazione Nazionale dell’ Informazione dal e sul carcere, fortemente voluta da Ristretti Orizzonti.
Il periodico della Casa di reclusione di Padova e dell’Istituto penale femminile di Venezia, diretto da Ornella Favero, è uno dei più importanti e attivi nel panorama attuale. All’aggettivo “ristrettiâ€, che nel linguaggio burocratico-carcerario significa detenuti, è stato aggiunto “orizzontiâ€, perché con il giornale si vuole contribuire ad aprire gli orizzonti troppo ristretti della detenzione. Nato nel 1998, il giornale esce ogni due mesi, con una tiratura media di duemila copie.
Perché fare informazione dal carcere? Dal luogo, cioè, che si contrappone per eccellenza alla comunicazione e all’attività di informazione? “L’idea di un giornale che raccontasse il carcere – dice la direttrice di Ristretti Orizzonti – è nata nell’ambito di un’ attività di rassegna stampa: ci rendemmo conto che le notizie che i maggiori giornali diffondono sul carcere spesso non hanno un reale riscontro con quella che è effettivamente la vita in carcereâ€.
Ma il lavoro di Modolo affronta anche un’altra questione, analizzando fonti, competenze e meccanismi di produzione delle notizie che portano a quella incompletezza informativa che caratterizza la trattazione dei temi sociali in generale e di quelli carcerari in particolare. “Attraverso l’analisi di alcuni valori notizia – spiega l’ autore – si sono studiate le ragioni dell’ attenzione intermittente e marginale che i media riservano alla realtà carceraria; si è voluto capire perché solo fatti negativi fanno sì che il carcere venga inserito nell’agenda dei grandi mezzi di comunicazione di massa.
Complessivamente, comunque, sostiene Modolo, il giornalismo carcerario ha portato a nuovi stili e a nuovi linguaggi nel mondo dell’ informazione, avendo come obiettivo quello di riuscire ad affiancare i tradizionali media nel lavoro, proponendosi come fonte affidabile di notizie ed esperienze.
La Ricerca è qui: Lsdi-giornalismo-carcerario
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*Gianluca Modolo, 21 anni, veneziano, vive e studia a Padova, dove frequenta l’ultimo anno del corso di laurea in Comunicazione alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Padova. Fin dagli ultimi anni del liceo ( “F. Algarotti†di Venezia, dove ha studiato lingue) collabora saltuariamente come cronista sportivo per il quotidiano La Nuova Venezia, occupandosi di calcio e tennis.
Questa ricerca è nata nell’ambito del corso di Linguaggio Giornalistico tenuto dal professor Raffaele Fiengo durante il primo semestre dell’anno accademico 2009/2010.