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Almeno un articolo su due di giornali regionali italiani, della Svizzera tedesca e degli Usa contiene qualche errore sostanziali, come titoli sensazionalistici, che non rispecchiano la dimensione degli avvenimenti reali, citazioni inventate, numeri riportati in maniera errata ed errori di ortografia. Ma non tutti sono così gravi, da ripercuotersi in maniera diretta e negativa sulla credibilità delle testate. E’ a larghissime linee il risultato di una ricerca su ”Esattezza e Credibilità dei contributi pubblicati nei quotidiani regionali in Svizzera e in Italiaâ€, realizzata da Von Colin Porlezza, Stephan Ruß-Mohl e Marta Zanichelli adattando a questi due paesi i criteri utilizzati per gli Stati Uniti dagli studi di Charnley e Maier.
Come spiega l’ Osservatorio europeo sul giornalismo (Errori su errori *), la ricerca, finanziata dal Fondo Nazionale Svizzero, oltre ad accertare il livello di accuratezza della produzione giornalistica nei due paesi, puntava a capire come le mancanze a livello di contenuti giornalistici si possano ripercuotere sulla credibilità del giornalismo stesso.
Per procedere all’ analisi i tre autori hanno interrogato (per iscritto, attraverso dei questionari) le fonti delle informazioni citate dai giornalisti in una selezione di 1.000 articoli setacciati su cinque giornali regionali per la Svizzera tedesca e cinque per l’ Italia.
Le fonti hanno rilevato errori sostanziali ossia i cosiddetti hard errors, nel 60% degli articoli svizzeri, nel 52% di quelli italiani e nel 48% di quelli americani.
La percentuale di ritorno dei questionari è stata però abbastanza deludente: in Svizzera si attestava intorno al 50%, mentre in Italia non arrivava neanche al 15% (e quindi, spiegano gli autori, considerando la percentuale molto bassa di risposte ricevute per l’Italia, i risultati presentati nel presente articolo devono essere considerati orientativi). Al contrario Maier negli Stati Uniti era riuscito ad ottenere il 68% di risposte.
I risultati emersi dai questionari, proseguono glio autori, mostrano che – a nostro avviso sorprendentemente – le fonti interrogate in Svizzera hanno identificato un numero maggiore di sbagli negli articoli pubblicati nella Confederazione che in quelli usciti in Italia o negli Stati Uniti. Gli intervistati hanno lamentato errori sostanziali, ossia i cosiddetti hard errors, nel 60% degli articoli svizzeri, nel 52% di quelli italiani e nel 48% di quelli americani.
La percentuale inferiore di errore registrata negli Stati Uniti può essere facilmente spiegata. Da un lato, è da ricondurre a una diversa organizzazione delle redazioni dei quotidiani: i giornalisti svizzeri e quelli italiani godono di una maggiore autonomia redazionale, il ruolo del “reporter†e quello de “l’editor†non sono separati, come avviene invece negli Stati Uniti e a questo si aggiunge un controllo meno serrato dei singoli giornalisti.
Anche le rubriche riservate alle correzioni, normali negli Stati Uniti, contribuiscono a evitare gli errori, poiché sensibilizzano i giornalisti. Infatti, non piace a nessuno ammettere pubblicamente di aver commesso delle inesattezze e di essere messo “in ridicolo†davanti agli altri colleghi.
Al contrario, la percentuale di errori limitata, rispetto alla Svizzera, rilevata in Italia, continua a rimanere un enigma. Da quanto ci risulta, le testate regionali svizzere a livello redazionale sono organizzate meglio rispetto a quelle italiane. Per questo risultato inatteso abbiamo a disposizione due spiegazioni plausibili: è possibile che le fonti italiane abbiano scoperto una quantità inferiore di errori negli articoli, per il fatto che i giornalisti italiani con maggiore frequenza dei colleghi svizzeri “copiano e incollano†i testi delle pubbliche relazioni.
Dunque questi ultimi, anche nel caso si sforzassero di redigere correttamente i propri articoli il loro lavoro rimarrebbe, in ogni caso, più esposto agli errori. D’altro canto, potrebbe anche essere possibile che le fonti svizzero-tedesche siano state più puntigliose nella valutazione rispetto agli intervistati italiani – ossia che abbiano aspettative più alte in tema di accuratezza degli articoli. (Poiché il nostro interesse primario non era focalizzato sull’analisi dei diversi livelli di aspettativa delle fonti, anche lo strumento di rilevazione non è stato orientato su questa problematica. Di conseguenza, a questo proposito abbiamo scelto di non fare alcuna affermazione precisa).
Come si vede, in Svizzera e in Italia gli intervistati hanno denunciato un numero evidentemente più alto di errori per ogni categoria rispetto agli Stati Uniti, fatta eccezione dell’indicazione dei numeri errati.
In linea generale, è strabiliante il modo in cui i risultati si assomigliano. La tendenza a commettere errori sembra essere un problema diffuso del giornalismo e anche il tipo di sbagli supera qualsiasi confine culturale. L’influenza delle particolarità degli stili giornalistici dei singoli sistemi di comunicazione mediatica sembra dunque essere a questo punto meno rilevante di quanto ipotizzato in precedenza.
Nei casi in cui le fonti hanno misurato anche la gravità degli errori rilevati, ancora una volta abbiamo ottenuto un quadro sorprendente: su una scala Likert da 1 (errore lieve) a 7 (errore grave), in media gli svizzeri hanno attribuito agli errori un punteggio di 2,5, gli errori erano giudicati dunque meno gravi a confronto con le fonti italiane (2,7) o statunitensi (2,8).
Anche la disponibilità delle fonti a fornire nuovamente informazioni in Svizzera è evidentemente più alta (56%) che in Italia (38%) o in America (36%).
Se analizzate insieme queste due scoperte, avvalorano la nostra interpretazione, in base alla quale, le fonti svizzere hanno avuto un approccio più serio e, di conseguenza, hanno elencato anche gli errori non sostanziali più spesso rispetto agli italiani; tuttavia, sono anche consapevoli dell’irrilevanza di tali “mancanze†giornalistiche, tanto che non minano né la loro disponibilità a renderne conto né la credibilità del giornale.
Nonostante l’alta percentuale di sbagli, la fiducia nei quotidiani è rimasta quasi invariata: su un’altra scala di 7 punti, dove 1 significava non attendibile e 7 molto attendibile, in Svizzera gli intervistati hanno classificato i quotidiani locali come molto attendibili (5,5), nonostante questi avessero riportato la percentuale più alta di errori. Le testate statunitensi hanno ottenuto 5,1 e quelle italiane 5,2 punti.
Per quanto riguarda il numero di errori, la conclusione della ricerca è chiaramente negativa: nei paesi oggetto di studio, un articolo su due contiene almeno un errore – o almeno un errore di troppo. Tuttavia non tutti sono così gravi, da ripercuotersi in maniera diretta e negativa sulla credibilità delle testate.
Ma nonostante questo, concludono gli autori, le redazioni dovrebbero confrontarsi con il tema dell’accuratezza dei contributi giornalistici in maniera evidentemente più mirata, soprattutto in un’era di crescente digitalizzazione dell’informazione. Senza dubbio, la soluzione migliore è quella di evitare gli errori. Proprio nel frenetico universo digitale, il giornalismo serio è contraddistinto – come già da anni aveva ammonito il “pioniere†della ricerca sugli errori nei paesi di lingua tedesca, Bernd Wetzenbacher – da redazioni che imparano a gestire i propri errori in maniera adeguata.
Di possibilità ce ne sono molte e, già da tempo, i media anglosassoni fanno scuola: i correction corner, gli angoli delle correzioni, in cui gli errori vengono rettificati volontariamente e in maniera attendibile; le note dell’editore che servono a spiegare, almeno a posteriori, le mancanze più gravi e gli ombudsman, una sorta di difensori civici, che funzionano da istanze di ricorso e scovano sistematicamente gli errori. Tutte queste strategie potrebbero rappresentare dei punti di partenza per elaborare una strategia credibile per affrontare gli errori nel giornalismo.
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*Traduzione dall’originale tedesco “Fehler ueber Fehler†di Claudia Checcacci