Sambiiga, l’ altro fratello: un reality show ‘’responsabile’’ dal Burkina Faso
Utilizzare i moduli narrativi del reality applicandoli ad un progetto di alto contenuto sociale e culturale – L’ obiettivo è dare voce a molte realtà straordinarie del paese africano, normalmente invisibili: interventi di cooperazione, commercio equo e solidale, intercultura, diritti umani, sostenibilità ambientale
———-
I moduli narrativi del reality show applicati a un progetto informativo di contenuto ‘’alto’’. E’ l’ ‘’altrofratello’’, una sorta di “reality show responsabile” sulla esperienza di viaggio in Burkina Faso compiuta da alcuni giovani operatori.
‘’Sambiiga è un progetto innovativo di comunicazione integrata (internet, radio, video…) che – spiegano gli ideatori – vuole utilizzare la forza espressiva del linguaggio del reality show, applicandola però ad un progetto di alto contenuto sociale e culturale. L’ obiettivo è dare voce a molte realtà straordinarie del paese, normalmente invisibili: progetti di cooperazione, commercio equo e solidale, intercultura, diritti umani, sostenibilità ambientale…’’.
Il tutto ora è sul blog: www.altrofratello.it
‘’Siamo tornati da pochi giorni dal Burkina – racconta Michele Dotti, uno dei protagonisti dell’ esperimento (nella foto) – e siamo contentissimi dell’ esperienza! Durante il viaggio abbiamo lavorato sodo davvero; aggiornando il blog quasi ogni giorno, realizzando tutti i collegamenti con le varie radio (Afriradio, LifeGateRadio, RadioRai2) e per quanto riguarda le riprese, abbiamo raccolto più di 60 ore di materiale girato, da cui contiamo di ricavare il video-reality, appunto “Sambiiga, l’altro fratello”. L’ intento è di uscire dalla nicchia e cercare di portare certe riflessioni a milioni di persone che probabilmente non le hanno mai neppure sentite o immaginate…’’
Il gruppo ha preso diversi contatti con tv in chiaro e satellitari e stanno lavorando per fare in modo che il progetto abbia uno sbocco sul broadcast.
D – Ma la scelta della formula del reality show, spiega Michele, non è solo di carattere strumentale.
R – ‘’Noi parliamo di reality perché si può produrre una grossa aderenza alla realtà dei fatti, quasi senza filtri, quando le persone diventano centrali e prendono il sopravvento sul mezzo tecnico che le racconta. In questo senso il linguaggio cinematografico/televisivo passa in secondo piano e si manifesta, non si nasconde. Quello che abbiamo fatto noi è stato prendere persone reali e seguirle in situazioni che più reali non si può con la differenza che queste situazioni non sono create ad hoc come succede per il reality classico televisivo. E poi abbiamo smascherato la presenza delle telecamere in modo estremo, al punto che anche i registi partecipano al reality e le camere, spesso utilizzate a mano, vengono riprese senza problemi. A questo abbiamo aggiunto “i confessionali” , sia a caldo (appena dopo l’esperienza) che a freddo (a fine giornata) che ormai sono un modulo fisso di ogni reality’’.
Ma siete sicuri che i moduli del reality possano avere una resa anche se usati per contenuti e situazioni di taglio completamente diverso?
‘’Sì siamo sicuri, il linguaggio del reality permette una grande identificazione dello spettatore, permette di bucare lo schermo e di raccontare la realtà in modo più intimo’’.
Come avete scelto questo taglio?
‘’Abbiamo scelto di ibridare lo stile del reality con quello del documentario classico per una semplice ragione. Il primo ci permette di avvicinarci di più al pubblico e di portare queste tematiche ad audience più vaste, il secondo serve ad indagare la realtà e con la sua natura più descrittiva e formale ad affrontare in maniera coerente e completa argomenti che non possono passare solo attraverso i commenti dei viaggiatori’’.