Solo il 2,4% dei lettori paga per l’ informazione online dei quotidiani Usa
Cattive notizie per gli editori intenzionati a introdurre i pay wall arrivano da una Ricerca di ITZ/Belden Interactive e American Press Institute su 26 giornali degli Stati Uniti – Solo 2 giornali superano il 4% degli acquirenti dell’ edizione cartacea – C’ è anche una buona notizia: i pochi lettori che sono disposti a pagare sembrano sostanzialmente indifferenti al costo dell’ accesso tanto che, ad esempio, la percentuale di sottoscrittori (1,7%) è la stessa in un giornale che fa pagare 420 dollari l’ anno e in un altro che fissa l’ accesso a un solo dollaro al mese – Insomma, spiega il coordinatore della Ricerca, l’ accesso a pagamento non sarà certo ‘’la pallottola d’ argento che salverà l’ industria dei quotidiani’’
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Uno sparuto 2,4% di abbonati all’ edizione cartacea è la media delle persone che pagano I contenuti online di quella manciata di quotidiani tanto coraggiosi da introdurre un pay wall.
Lo ha accertato un nuovo studio realizzato da ITZ/Belden Interactive sull’ attuale predisposizione dei lettori nei confronti dell’ informazione online a pagamento: uno studio che, secondo Alan D. Mutter, ‘’ha portato risultati sia cattivi che buoni agli editori che sprano di cominciare a far pagare per i loro contenuti digitali’’.
La cattiva notizia, naturalmente, è il minuscolo numero di lettori online disposti a pagare per accedere ai siti online dei 26 quotidiani Usa oggetto della Ricerca (che tra l’ altro è a pagamento, a 599 dollari – eventualmente è disponibile qui).
La buona notizia, come si può vedere nella tabella qui sopra (clicca per ingrandire) è che i pochi lettori che sono disposti a pagare sembrano sostanzialmente indifferenti al costo del loro accesso.
La ricerca ha rilevato che solo due dei 26 quotidiani esaminati – il Key West Citizen e il Bloomington Herald Times – sono stati in grado di vendere l’ accesso online a un numero di abbonati superiore al 4% delle copie cartacee diffuse. Se si mettono da parte queste due testate, che insieme alle altre porta la media al 2,4%, la penetrazione online degli altri 24 giornali – che complessivamente ammonta a poco più di 1 milione di abbonati – è pari a un anemico 2,1%.
Ma attenzione, c’ è qualcosa di peggio. Infatti – precisa Mutter – poiché solo circa un terzo delle famiglie americane sono abbonate a un quotidiano, la Ricerca suggerisce che la media attuale di penetrazione dei siti a pagamento sia, se va bene, lo 0,7% del totale dei nuclei familiari.
Per quanto riguarda la buona notizia, gli editori saranno lieti di sapere che ‘’c’ è poca correlazione fra costo e adesione’’, sostiene Greg Harmon, il coordinatore della ricerca, compiuta in collaborazione con l’ American Press Institute.
Per esempio al Newport Daily News, dove il costo per l’ accesso online è di 420 dollari l’anno, il tasso di penetrazione è dell’ 1,7%, identico a quello della Colorado Springs Gazette, che fa pagare agli abbonati web solo 1 dollaro al mese.
Questo fa pensare che gli editori che introducono il pagamento per l’ accesso ai loro siti potrebbero chiedere tutto quello che vogliono. Evidentemente non lo faranno, ma questo aspetto non peserà sugli editori di piccole e medie testate che hanno una scarsa concorrenza su mercati isolati.
 “E’ normale che i siti web dei giornali su mercati poco affollati vendono a meno della metà gli spazi pubblicitari agli inserzionisti locali’’, aggiunge Harmon. Per gli editori che vengono un numero limitato di abbonamenti online, ‘’un calo nel numero di pagine viste crea pochissimi rischi per i loro ricavi’’.
La cosa sarebbe diversa – aggiunge Harmon – per i quotidiani delle grandi città o gli altri giornali che dipendono molto dal numero di pagine viste per la realizzazione dei ricavi.
Insomma, Harmon ammette che l’ accesso a pagamento non sarà certo ‘’la pallottola d’ argento che salverà l’ industria dei quotidiani’’. Gli editori, alla fine, devono avvicinarsi all’ introduzione dei pagamenti  ‘’come una nuova opportunità di business, non soltanto come se fosse un muro da alzare intorno ai contenuti per difendere la stampa’’.