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Wikileaks: il futuro dei media è la “Redazione Sociale”

Assange2

La vicenda dei quasi 92.000 documenti segreti pubblicati lunedì scorso prefigura un possibile futuro dei media perché mostra come sia veramente impressionante il numero di competenze condivisibili con la comunità – Ben gestita, sostiene Benoit Raphael, “questa condivisione può permettere alla professione di concentrarsi meglio sul suo mestiere: uno sfruttamento intelligente della rete gli permetterebbe di consacrarsi alla sua prima funzione: tirar fuori delle notizie” – “E’ una delle virtù di quella che io chiamo ‘Redazione Sociale’: ridurre i costi di produzione condividendo l’ attività con la comunità, per produrre una informazione a maggior valore aggiunto. Che poi può essere una delle basi della monetizzazione digitale”

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La vicenda di Wikileaks – il sito che ha diffuso lunedì scorso quasi 92.000 rapporti riservati dell’ esercito Usa sulla guerra in Afghanistan – è un caso inedito nella storia della stampa: un sito alimentato da circa 800 non  professionisti è diventato una fabbrica di scoop, un campo che si riteneva finora fosse riservato al giornalismo investigativo.

Wikileaks può essere considerato un modello?, si chiede Benoit Raphael, che ne traccia una interessante analisi strutturale. E, ancora: è un fenomeno unico oppure prefigura i media di domani?

Secondo Raphael, Wikileaks presenta diverse notevoli particolarità nel suo funzionamento e nella personalità del sito:

– E’ venuto fuori dalla cultura della condivisione, emanazione della natura storica del Web, che, prima di essere un media, è uno strumento di condivisione.

Difensore della neutralità del web, che vorrebbero lasciar fuori, fin quanto è possibile, dal controllo istituzionale, questi utopisti della rete propugnano, con gradazioni diverse, la trasparenza e la libertà quasi assoluta dui parola sul web, ma anche la libera circolazione dei dati fra gli internauti.

– Più che un media, dunque, Wikileaks è soprattutto una rete di condivisione pubblica, a metà strada fra Wikipedia (di cui riprende la piattaforma), 4Chan (in cui la libertà assoluta di parola e di pubblicazione ha condotto a volte a delle derive) e Pirate Bay (un sito di  hacking che  mette a disposizione gratuitamente milioni di file culturali e informatici, scavalcando in maniera ostentata le norme sul diritto d’ autore).Allo stesso modo Wikileaks mette a disposizione degli internauti dei dati sensibili e confidenziali.

-   Il sito è animato da 5 persone a tempo pieno e dal lavoro di 800 volontari occasionali.Cosa sui 200.000 dollari l’ anno e ne costerebbe 600.000 se i collaboratori fossero remunerati. Non paga spese legali e centinaia di migliaia di dollari di aiuti gli vengono messi a disposizione da gruppi editoriali come la Associated Press o il Los Angeles Times.

Wikileaks è stato creato nel dicembre 2006 e, “l’ anno seguente, ha aggiunto 1,2 milioni di documenti al suo data-base grazie a una comunità di internauti composta da dissidenti cinesi e  iraniani e da tecnici e matematici di aziende internet di Usa, Taiwan, Europa, Australia e Africa del Sud e da vari anonimi”, racconta lo stesso sito.

Che aggiunge:  “Il sito divulga, in maniera anonima, non identificabile e protetta, documenti che testimoniano una realtà politica, o sociale, oppure militare, che ci verrebbe invece nascosta, per assicurare una trasparenza planetaria. I documenti vengono anche sottoposti per analisi, commen ti e approfondimenti, ‘ all’ esame di una comunità planetaria di redattori, rilettori e correttori wiki bene informati’ “.

E’ così che il sito ha pubblicato il 5 aprile un video dell’ esercito americano sull’ uccisione di due fotografi della Reuters da parte di un elicottero Apache nel corso di un raid del 12 luglio 2007 a Bagdad”.

Altra particolarità, il fatto che la pubblicazione online degli oltr2 91.000 rapporti dell’ esercito Usa è stata realizzata insieme a tre grossi quotidiani (New York Times, Guadian e Der Spiegel): una collaborazione che, secondo Raphael, segna una grossa svolta. E ci dice qualcosa sull’ avvenire (quello che potrebbe essere l’ avvenire).

Raphael cita in particolare Rue89, dove Emmanuelle Bonneau parla di rivoluzione: “Un sito internet mette sotto al naso di tre matodonti del giornalismo la più grossa fuga di documenti della Storia, e li costringe a riprendere delle informazioni di cui essi non conoscono la provenienza”.

E aggiunge: ”Le grandi macchine rappresentate dai tre giornali partner di WikiLeaks hanno il materiale umano per lavorare al controllo incrociato dei dati e quindi per valorizzarli ulteriormente:  The Guardian ha mobilitato cronisti, specialisti della zona ed esperti di dati (che hanno tradotto oltre 400 abbreviazioni militari).

Per  Wikileaks, coinvolgere i giornalisti della grande stampa di investigazione era un mezzo per valorizzare i documenti che pubblicavano (di cui Julian Assange paragona l’ importanza a quella della pubblicazione degli archivi della Stasi, affermazione discussa, fra gli altri, anche dal blog di Foreign Policy) e quindi il loro impatto. Che costituisce la grande differenza fra la condivisione bruta da una parte e la ricchezza e la valorizzazione dei contenuti, che è poi il vero ruolo dei media, dall’ altra.

Quello che è interessante in questa storia è dunque il ruolo assegnato a ciascuno. La raccolta di dati bruti e di testimonianze, per cui le comunità di non professionisti possono essere meglio strutturate (per la natura stessa della rete) e dotate. Esse possono essere più efficaci per trattare e filtrare grandi masse di contenuti (è l’ esperienza che ha fatto il Guardian con le note spese dei ministri, coinvolgendo gli internauti nel filtraggio delle informazioni disseminate nei documenti).

E’ un passo in più nella capacità che ha internet di frammentare le competenze per trasferire una parte dell’ attività editoriali sui non professionisti. Non si parla di ‘citizen journalism’ ma di una condivisione delle competenze. Con Wikileaks questa dimensione partecipativa arriva fino all’ organizzazione del recupero e della rivelazione di dati inediti nel quadro del giornalismo di investigazione.

Se si guarda con attenzione, il numero di competenze condivisibili con la comunità è impressionante. Ben gestita, questa condivisione di competenze può permettere alla professione di concentrarsi meglio sul suo mestiere: la verifica, il controllo incrociato, la contestualizzazione delle informazioni. Oggi l’ 80% del suo tempo viene occupato dall’ arricchimento, la riscrittura, il lavoro editoriale di informazioni già pubblicate altrove. Una sfruttamento intelligente della rete gli permetterebbe di consacrarsi alla sua prima funzione: tirar fuori delle notizie.

E’ una delle virtù – conclude Raphael – di quella che io chiamo “Redazione Sociale”: ridurre i costi di produzione condividendo l’ attività con la comunità, per produrre una informazione a maggior valore aggiunto. E’ una delle basi della monetizzazione digitale.