———-
a cura di Marco Renzi
Alcuni giorni fa, esattamente il 27 novembre scorso, il professor Tullio De Mauro illustre linguista ed ex ministro della pubblica istruzione nel governo Amato anno 2000, intervenendo a Firenze all’incontro “Leggere e sapere: la scuola degli italiani” ha lanciato un accorato grido d’allarme su uno stato di regressione culturale in corso nel nostro Paese: << Soltanto il 29% degli italiani è in possesso degli strumenti linguistici per padroneggiare l’uso della lingua italiana >>.
I dati illustrati dal professore fanno parte di due diversi studi internazionali realizzati a cavallo fra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, e successivamente attorno alla metà degli anni 2000, i cui risultati potrete trovare allegati al pezzo in due diversi documenti. De Mauro aveva già spiegato molto dettagliatamente le sue teorie in un articolo scritto di suo pugno per l’Internazionale nel 2008. Il problema era già  stato affrontato fra gli altri, anche dalla semiologa Giovanna Cosenza nel 2008 sul suo blog Disambiguando .
<< Il 71% della popolazione – ha detto De Mauro – si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto in italiano di media difficolta’: il 5% non e’ neppure in grado di decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere, ma riesce a decifrare solo testi di primo livello su una scala di cinque ed e’ a forte rischio di regressione nell’analfabetismo, un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello. Non piu’ del 20% possiede le competenze minime per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana >>.
Partendo da questa riflessione dell’illustre studioso noi abbiamo voluto approfondire il tema in ambito digitale. E abbiamo formulato due domande che poi abbiamo girato ad alcuni “liberi pensatori della rete”.
<< Questo processo di progressiva analfabetizzazione cui sono vittime gli italiani non rischia di penalizzare pesantemente i contenuti veicolati dalla rete in particolare quella in lingua italiana? >>
<< Avete una ricetta sotto mano per provare a fornire un possibile rimedio a questo problema? >>.
1) Secondo me non è un grosso problema perchè per usare la rete è necessario un “italiano basico” derivante dalla conoscenza di 1000 parole. E’ peggio per sapere usare Internet non avere competenze di inglese in cui in Italia siamo mediamente scarsi.
2) Come fare: io sono un fautore dello stile “Maestro Manzi” usare gli strumenti classici Tv e radio, e se va bene la rete, per tornare a insegnare l’italiano agli italiani e non solo. In caso contrario fra un po’ parleranno la nostra lingua meglio degli autoctoni i rumeni, gli albanesi e i marocchini che seguono scrupolosamente i loro figli nell’apprendimento dell’italiano.
1) Non è un rischio solo per la Rete, ma per il nostro paese, in questo non riesco a vedere delle differenze. Devo anche dire che la Rete si presta al dialogo e allo scambio, dovrebbe essere la piazza ideale per conservare e rilanciare la nostra cultura”.
2) “Il rimedio è la conoscenza e la curiosità : è la difesa della scuola – in particolare quella pubblica- in tutte le sue componenti”
1) Quando nel febbraio 1999 l’editore Andrea Monti Riffeser comunicò che avrei lasciato la cronaca giudiziaria per mettere in piedi e dirigere i siti del gruppo, Umberto Cecchi, allora direttore de La Nazione se ne uscì con una battuta: “Diventerai anche tu un analfabeta di ritorno!”. Sono passati quasi 13 anni e, se devo fare un bilancio, posso dire di aver imparato tante cose nuove, ma non mi sento più analfabeta di quanto lo fossi allora.
La rete è solo un’altra opportunità per esprimersi: se sei una “bella penna” lo sarai anche in rete, se sei una persona sgrammaticata o con povertà di linguaggio lo sarai anche sul web. Ho amici e colleghi che mandano sms perfetti, godibili, divertenti. Altri che inviano messaggini criptici al limite della comprensione. Ma ciò riguarda la loro persona, non lo strumento. Gli stessi amanuensi, che nel medioevo copiavano i manoscritti, usavano le abbreviazioni, ma questo non impoveriva il loro lavoro o il valore delle opere che trascrivevano. Se, come sostiene De Mauro, c’è un impoverimento linguistico, ciò è riconducibile a due fattori: un peggioramento della scuola (primaria, soprattutto) e la scarsa possibilità che le famiglie hanno, rispetto al passato, di seguire i figli nei primi anni di studi.
2) Solo le lingue morte restano uguali a se stesse. Tutto ciò che è vivo e pulsante cambia con l’uso. Così è per la lingua che è sempre cambiata nelle varie epoche. Più che la lingua il problema a me pare essere il tempo. Oggi tutto si è velocizzato: pretendiamo di inviare una email, un sms, aggiornare un profilo su Facebook tutto nella spazio di pochi minuti, perché nel frattempo dobbiamo lavorare o studiare. Questo, ovviamente, ci porta a tirare via, a fare poca attenzione alla forma o alla costruzione della frase. Ecco il mio rimedio. In una società in cui l’informazione e la conservazione viaggiano alla velocità elettrica, come aveva previsto Marshall McLuhan (che andrebbe riletto), dobbiamo concederci il tempo per fare le cose che ci piacciono. Meglio farne una bene che pretendere di rispondere a tutte le sollecitazioni del “Villaggio Globaleâ€.
Io non sono per niente d’ accordo con De Mauro che appartiene a un’ altra era geologica rispetto alla contemporaneità . Mai come ora gli Italiani articolano relazioni e quindi usano strumenti linguistici con efficacia, proprio grazie agli strumenti partecipativi web 2.0. Non sono più una minoranza a farlo, ma la maggioranza.
Io ho 57 anni, ma quale lingua parlavamo 30 anni fa? Quando mai scrivevamo più di dieci parole in fila? Come al solito il catastrofismo cela timore per lo spettro tecnologico che viene inteso come disumanizzante. La lingua non si impoverisce, si evolve, si adatta alle esigenze attuali, ma questo de Mauro lo sa….Posso dar ragione a chi dice che prevalgono termini stranieri, anglicismi ecc, ma basta pazientare tra una generazione parleremo tutti cinese!
Scusa poi…La lingua la devo padroneggiare perché mi sia utile per relazionarmi, se oggi la relazione è multipla è chiaro che la lingua si semplifichi per gestire molte più connessioni/relazioni allo stesso tempo, questo è il mondo moderno e indietro non si torna, salvo cataclisma….
Non possiamo sperare in una restaurazione di maestrine dalla penna rossa o di fini dicitori…Per farne cosa?
Cito alcuni “nicolettismi” che sparo a vanvera alla radio e poi gli ascoltatori raccolgono e classificano nei loro siti:
“Fu il mio fluttuante infantile cachinno perenne arrender diuturno rabido il sagrestanico daimon che serpeggia in spiralimorfe anguilliche elucubrazioni nelle mutande elastiche con sciatta lentezza dei beipensatori dalle unghie luttuose”
‎”Subalterno contubernio sveglia tosto il desiderio di precoce dissoluto climaterio”
“Il chiosare un nicolettismo ne genera all’istante un successivo. La partogenesi dei nicolettismi crea affabulante moto perpetuo. Perigliose derive di chimeriche affastellazioni lessicali mi inibiscono ogni gonadico sussulto generatorio.
Vorrei frapporre un diaframma salutare tra i miei polpastrelli e la satiriasi nicolettismopoetica per necessaria discesa nel luogo di tonificazione muscolare che mi attende per quotidiano metallico abbraccio. Il loop ininterrotto del nicolettismo spiraliforme mi sottrae al necessario esercizio propedeutico alla sollevazione.
Tento con immane titanico sforzo di sottrarmi alla nemesi generativa sacrosanto
contrappasso per cocciuto astensionismo creativo in questo accidioso pomeriggio contemplativo”
“Si dovrebbe avere pudore del narcisismo? E’ una colpa che nuoce al prossimo? Perchè noi narcisisti confessi e risolti dobbiamo subire la discriminazione del tristanzuolo vivere dell’ ego dimesso?A me piace condividere ogni spudorata mutazione, che male c’è?”
MA VUOI CHE SI TORNI A PARLARE COSI’ ? PUO’ ESSERE SOLO UN GIOCO DI MANIERA!!!
1) Io credo e spero che l’accesso a Internet possa avere un ruolo esattamente opposto. Ed è anche la ragione per cui ogni sforzo dovrebbe essere immaginato per aumentare il numero di cittadini che vi accedono. I contenuti presenti in rete, anche nel piccolo pezzo di Internet in lingua italiana, sono infatti fortemente mediati dalla parola. Sia la parola letta che quella scritta. Così il processo di migrazione verso la rete di un numero sempre maggiore di individui, anche mediante l’adozione di piattaforme sociali come Facebook, è forse una delle prime concrete possibilità di inversione di questa tendenza, della tendenza di cui parla De Mauro. L’analfabetismo funzionale si combatte abituandosi alla funzione: in questo caso frequentando l’utilizzo e la condivisione delle parole e dei pensieri.
2) Credo si debba aumentare il numero di occasioni possibili. Questo, per conto mio, dovrebbe avvenire su due grandi direttrici: inserendo sempre di più l’uso attivo della rete nei percorsi educativi e didattici (ma anche nei normali rapporti fra cittadino ed amministrazione), iniziando a comunicare la rete ai tanti cittadini che non la utilizzano fuori dagli schematismi soliti di tipo magico-terrorizzante. C’è una prospettiva di normalità mediata dalla rete nella vita quotidiana che andrebbe raccontata e questa forse è oggi una delle poche opzioni concrete che ci restano.
1) I contenuti in lingua italiana sono penalizzati a prescindere, perché in una rete globale sono un po’ come un dialetto che si parla in una sola vallata di montagna dove i residenti non hanno grande interesse ad avere scambi con i propri vicini. Questo isolamento rispetto alla massa del valore in rete, che volente o nolente è in lingua inglese, è uno dei grandi ostacoli strutturali alla generazione di valore in rete in Italia. Dopodiché io credo che una lingua serva per comunicare: non faccio troppo lo schizzinoso sulla proprietà di linguaggio di chi incontro nelle reti sociali online, perché in questa fase mi affascina già solo il tentativo di esprimere le proprie idee e riscoprirsi nodo attivo della società . Ma poiché chi scrive male pensa male, sì, a quanto vedo in Italia c’è un problema molto grave, che è più ampio della sola questione linguistica e ha a che fare con la maturità del proprio essere cittadini. Negli ultimi trent’anni c’è stato un cortocircuito micidiale tra economia, media, luoghi della formazione e famiglie che non solo non ci ha permesso di crescere all’altezza delle sfide contemporanee, ma ci ha tenuto in ostaggio in una dimensione rassicurante e artefatta. La rete si inserisce in questo processo come elemento di disturbo e disgregazione: può essere un’opportunità di crescita o il colpo di grazia. La differenza è che questa volta sta a noi, a ciascuno di noi, cambiare le cose.
2) È necessario promuovere a tutti i livelli un accesso sano, consapevole e sereno alle culture digitali, considerandolo il volano di un processo che avrà ripercussioni a cascata in tutti i campi. Non è la rete che ci salva, ma la rete – se usata bene e in modo consapevole – è un opportunità per lavorare su noi stessi, sul nostro rapporto con noi stessi, con gli altri, con la lingua, con la società che ha tutte le carte in regola per invertire la tendenza. In sostanza l’esatto contrario di quello che si fa tutti i giorni in tutti gli ambiti in Italia, oggi.
L’analfabetismo funzionale è una delle piaghe meno discusse ma più profonde della società italiana. Una quota molto ampia – le statistiche variano in relazione alla severità della definizione – della popolazione non è in grado di accedere alle informazioni necessarie a vivere in una società complessa. E restano tagliati fuori dal processo innovativo. Questo è un limite per loro prima di tutto. Di conseguenza lo è anche per la rete italiana. Perché la qualità e l’importanza della rete dipendono dalla ricchezza culturale della popolazione che la usa.
Una persona diventa analfabeta funzionale se non ha stimoli sufficienti a leggere e a mantenere viva la sua capacità di farlo. Se tutte le informazioni di cui ritiene di avere bisogno arrivano dal passaparola e dalla televisione, la lettura è inutile. È evidente che la rete può essere un grande stimolo a concedere attenzione alla lettura. L’attrattiva di partecipare a Facebook è probabilmente uno stimolo utile per molti giovani che altrimenti abbandonerebbero la lettura. Ma è chiaro che un’innovazione radicale nel pensiero che disegna il sistema educativo potrebbe usare la rete per conquistare attenzione e tempo delle persone ad attività che ne coltivino la curiosità e l’interesse per ciò che si può fare sapendo leggere.
Non è una novità ne una sorpresa. Se ne parla, ad ondate ricorrenti, da tempo.
Fortissima penetrazione della televisione e suo decadimento progressivo da mezzo di informazione e formazione a puro intrattenimento, con anche i telegiornali, a cominciare da Studio Aperto, sempre più verso l’infotainment o programmi di grande successo quali “Striscia la Notizia” a confermare la portata del fenomeno.
Riduzione degli investimenti sulla scuola pubblica, che soffre di carenze strutturali che si trascinano dalle rivolte studentesche del ’68 ad oggi senza mai trovare una soluzione effettiva, e crisi economica che intacca prima i consumi culturali e poi quelli di auto-rappresentazione e di svago, sono causa e concausa di questo fenomeno, a mio avviso.
La Rete non è di per se stessa in grado di invertire il processo. Sia per “l’infobesità ” che spinge a letture sempre meno attente, come dimostrano i tempi di permanenza sui siti dei quotidiani online, sia perchè si tratta per la maggioranza degli utenti di un processo di fruizione passiva, del passaggio, o meglio della sovrapposizione, di schermi, da quello tv a quello del pc. Nella mia decodifica anche il successo delle infografiche ne sono una testimonianza concreta.
A mio avviso sia in termini formativi che a livello informativo una delle soluzioni risiede nella gamification, nell’utilizzare le modalità del gioco applicandole a contesti non gaming, siano essi le notizie, l’informazione o più in generale la cultura.
Il rischio c’è, in base alla nostra esperienza, anche se non abbiamo fatto un’analisi quantitativa in merito. L ‘imperfetta conoscenza della lingua italiana è un problema anche in Rete. Direi che da un lato ci sono banali problemi di grafie e di accezioni dei singoli lemmi. Che non facilita nè le ricerche nè la corretta comprensione di molti messaggi. Dall’altro lato è tutta l’architettura stessa dei siti a risentirne. Uno dei grandi valori del Web è la categorizzazione, in particolare su portali d’informazione partecipativa come YouReporter. Meno corretti e precisi sono i testi e i riferimenti di argomento, geografici, di tag etc., più complessa diventa la “caccia” a ciò che serve. Questo su un sito, peraltro, che ha sicuramente un livello di partecipazione piuttosto “alto” come scolarizzazione e competenze degli utenti. Altrove la situazione non può che essere ancora più complessa.
Fondi degni di questo nome alla scuola pubblica, università meritocratica, risorse per la ricerca, eliminazione dell’iperspecializzazione come totem assoluto ma solo come naturale sviluppo di basi solide e trasversali per essere “specializzati” ma con la mente aperta. Che potrebbe apparire come prescrivere una dieta a base di filetto di Angus in tempi di guerra, me ne rendo conto. Non è così, stiamo parlando di tornare al dissodamento dei campi dell’apprendimento linguistico e di comunicazione di base, perchè senza questo lavoro della terra nulla può essere seminato. Più banalmente, subito, si potrebbe iniziare da qualcosa di più modesto, come sviluppare siti accademici decenti e attraenti. Ecco, alfabetizzare le università , gli enti, le amministrazioni, magari è il primo passo. Eliminare i correttori automatici dai nostri cervelli.
—–
Il dibattito è avviato, e ora riguarda anche la rete, voi che ne dite?
I documenti allegati: