Dalla Francia agli Stati uniti segnali di forte insofferenza nei confronti dei siti che ripagano il lavoro con la ”gratitudine” – Niente soldi, ma, ”come dicono i responsabili dei siti”, visibilità , spazio, esposizione, considerazione; e la notorietà della testata – Un articolo su lemonde.fr fa il punto sulla ribellione di questa sorta di ‘lumpen proletariat’ ”che non è difeso da nessun sindacato”- Benoit Raphael, ex redattore capo del Post (gruppo Le Monde), pensa a una soluzione che riesca ad uscire dal modello della ”gratitudine”: ”Non si può più far lavorare le persone dicendo loro ‘diventerete famosi’. Bisogna trovare un sistema di remunerazione che sia giusto e trasparente” – Non tutti i blogger, ovviamente, sono oggetto di sola ”gratitudine”: leMonde ha selezionato una trentina di ”blogger invitati” con cui condivide le risorse pubblicitarie generate dai loro blog: le somme versate sono calcolate in funzione dell’ audience e vanno da 500 euro a trimestre, che è il minimo garantito, a più di 3.000 euro al mese per alcune blogger-star – Ma, nella maggior parte dei casi, la regola è di offrire ai blogger soltanto la notorietà della testata
———-
Per ora sono solo proteste individuali. Una piccola reazione. Non si parla di creare un sindacato o un partito. Ma il dibattito è sulla scena pubblica, sull’ agorà del web. I blogger ne hanno abbastanza di lavorare per niente. E lo scrivono alto e forte.
Xavier Ternisier dedica alla ”rivolta dei blogger” un ampio articolo (a pagamento) su lemonde.fr, in cui raccoglie testimonianze e pareri di molti nomi noti della blogosfera francese.
In marzo – racconta – è stato il blogger ”liberale di sinistra” Hugues Serraf che ha bussato alla porta di Rue89. Serraf era ”stanco di essere considerato come un imbecille”. Dopo aver bloggato gratuitamente per il sito di informazione per tre anni, ha chiesto al redattore capo, Pascal Riché, di essere pagato con un contratto di collaborazione. Ma si è visto proporre ”una gratifica netta di 200 euro al mese”. Una miseria. ”Produco come minimo quanto un giornalista della redazione e i miei articoli hanno lo stesso numero di lettori”, osserva Serraf. A questo punto, ha preso le sue cose e se n’ è andato ad Atlantico, un altro sito di informazione in cui produce cinque editoriali alla settimana e riceve ”un compenso conveniente”.
Serraf – continua Ternisien – non esita a qualificare i responsabili di Rue89 come dei ”farisei che predicano bene e razzolano male. Fanno credere che il sito viene animato da una allegra banda di compagni, mentre si tratta di una start-up il cui obbiettivo è guadagnare soldi…”. Da parte sua Pascal Riché giustifica la politica del sito: ”Tutto quello che è giornalistico lo paghiamo; i commenti invece no, così come i giornali non pagano le ‘tribune’ che pubblicano. Se potessimo compensare i blogger, certo, sarebbe meglio, ma siamo un’ azienda giovane che non se lo può ancora permettere. Offriamo loro della visibilità …”
Insomma l’ idea è questa: se i blogger sono retribuiti, è prima di tutto e soprattutto in maniera simbolica. Con visibilità , notorietà . E’ quello che il blogger Vogelsong denuncia, in un post, con il termine di ”economia della gratitudine”. ”Come dicono i responsabili dei siti, il blogger viene ‘pagato’ in termini di spazio, di esposizione. Di considerazione. Mentre alcuni ricevono soldi, altri, per dei contenuti equivalenti, vengono remunerati in lodi, visite e sorrisi…”.
Questa ”economia della gratitudine”, confessa la blogger La Peste, ”fa vomitare”: ”Non è una questione di soldi, ma di principio. Chi produce dei contenuti per una piattaforma porta del valore aggiunto e deve ricevere qualcosa in cambio. E la scusa che la stampa online non ha ancora trovato il suo modello economico non mi convince affatto”.
Negli Usa, la rabbia dei blogger si è trasformata in appello allo sciopero quando, a febbraio, Arianna Hufington ha venduto l’ Huffington Post per 315 milioni di dollari. Alcuni collaboratori fra i 6.000 blogger regolari hanno reclamato la loro fetta di torta.
Bill Lasarow, redattore capo del sito Visualartsource, ha esortato i suoi compagni di penna a non passare più i loro articoli gratuitamente a HuffPo (secondo fra i siti di informazione negli Usa, con 25 milioni di visitatori unici, dopo il sito del New York Times,32 miloni).Uno sciopero che non ha minimamente smosso lady Arianna: ”Continuate pure lo sciopero, nessuno se ne accorgerà !”. Tanto che il sito di informazioni Politico ha pubblicato una caricatura della signora nelle sembianze di Scarlett O’Hara che domina su una piantagione di cotone e un esercito di schiavi…
Un blogger – ricorda Ternisier – ha deciso di andare oltre depositando una denuncia contro AOL e Huffington Post, chiedendo 105 milioni di dollari di danni per le migliaia di collaboratori del sito. E chiede che le eventuali denunce individuali vangano considerate come un esposto collettivo.
”Speriamo di creare un precedente in modo che i produttori di contenuti vengano retribuiti per il valore che creano”, precisa uno dei suoi avvocati, Jesse Strauss. I responsabili di HuffPo oppongono sempre lo stesso argomento della notorietà : ”I blogger utilizzano la nostra piattaforma in modo che il loro lavoro sia letto dal maggior numero di persone possibile”, dichiaraMario Ruiz, portavoce del sito. ”E’ lo stesso motivo per cui centinaia di persone vanno negli show televisivi per promuovere le loro opinioni e le loro idee”.
In Francia, secondo quanto riporta Ternisier – qualche sito di informazione versa dei diritti d’ autore ad alcuni blogger scelti accuratamente. Lemonde.fr ha selezionato una trentina di ”blogger invitati” con cui condivide le risorse pubblicitarie generate dai loro blog. Le somme versate sono calcolate in funzione dell’ audience e vanno da 500 euro a trimestre, che è il minimo garantito, a più di 3.000 euro al mese per alcuni blogger-star.
Ma, nella maggior parte dei casi, la regola è di offrire ai blogger soltanto la notorietà della testata. ”Li mettiamo in evidenza e, grazie a noi, loro beneficiano di una audience considerevole – commenta Philippe Cohen, redattore capo di Marianne2, il sito del settimanale Marianne -. Spesso si tratta di pensionati o di persone che hanno un’ altra attività ed intervengono come esperti. Non li giudichiamo secondo criteri giornalistici”.
A Ternisier, Intox2007 delinea una possibile soluzione: i blogger si uniscono per mettere a punto una piattaforma comune e trovano un investitore pronto a sostenerli per due anni, il tempo di raggiungere la redditività minima.
Un nuovo ‘’lumpen proletariato’’
Benoit Raphael, ex redattore capo del Post (gruppo Le Monde), che sta preparando il lancio di un sito partecipativo per Le Nouvel Observateur, pensa a un modello che riesca ad uscire dall’ economia della ”gratitudine”: ”Non si può più far lavorare le persone dicendo loro ‘diventerete famosi’ – insiste -. Bisogna trovare un sistema di remunerazione che sia giusto e trasparente”.
”Non c’ è verso – taglia corto Guy Birenbaum – non si può vivere col proprio blog”. Noto per essere stato ospitato prima da 20minutes, poi da LePost, prima di diventare indipendente nel marzo 2010. Attualmente scrive su un sito a suo nome, il suo piccolo ”negozio di alimentari”, come lui lo definisce. Ha perso molti lettori, passando dai 50.000 visitatori al giorno del Post a 2.000 di ora. ”I blogger sono contenti di essere ospitati da testate giornalistiche conosciute, ma il flusso di visitatori che esse ricevono non è sinonimo di qualità . Oggi ho meno lettori ma sono veramente motivati rispetto a quello che scrivo”. Guy Birenbaum non vive del suo blog, ma delle attività di redattore e cronista per vari media, fra cui Europe1. ”I blogger formano un ‘lumpen proletariato’ che non è difeso da nessun sindacato”, commenta amaro.
Ci sono alcuni campi in cui tenere un blog può portare dei soldi, per esempio i temi del consumo e dell’ high-tech, racconta a Ternisien Frédéric Montagnon, fondatore della piattaforma Overblog, che compensa i suoi blogger con i diritti d’ autore o con inserzioni pubbicitarie. Un blogger medio, che produce un post al giorno e anima la sua comunità , può guadagnare fra i 150 e i 500 euro al giorno”, precisa.
Il blog è una vetrina
Il blog è una sorta di curriculum vitae online, che permette di farsi conoscere, osserva William Réjault, un ex infermiere che ha cominciato a bloggare nel settembre 2004. La sua vicenda fa parte delle storie di successo della blogosfera. Comincia raccontando la sua vita quotidiana in ospedale con lo pseudonimo di ”Ron l’ infermiere”. Le sue cronache migliori sono state pubblicate in un libro dal titolo ”’La camera di Albert Camus” (ed. Privé). Parallelamente si interessa all’ attualità e scrive degli artcoli per il Post. Nel 2009 lascia il suo mestiere di infermiere per consacrarsi alla scrittura e pubblica altri quattro libri. E’ stato appena nominato redattore capo di OFF, la catena musicale di Universal Music. ”Il mio percorso professionale è legato alla mia attività di blogger e alla mia notorietà online”, assicura.
L’ effetto visibilità sulla Rete non è quindi un concetto vano. Anche se funziona soprattutto in alcuni campi, come la moda, la bellezza, la cucina o le nuove tecnologie, ”il blog è una vetrina”, riassume Anne Lataillade, una ex professionista della finanza che ha lanciato un blog di cucina nel 2005 (‘’Papille e pupille’’). Collabora ora con varie riviste e ha pubblicato un libro di ricette.
Il blog come ascesi
Ma attenzione! Tenere un blog è una sorta di ascesi. ”Bisogna alimentarlo tutti i giorni – spiega William Réjault a Ternisien -. E’ come lavarsi i denti prima di andare a letto”.
Ma poi, un giorno o l’ altro, arriva un fenomeno ben conosciuto, la ”stanchezza del blogger”. ”Ci si sente vuoti. Ci si dice: ‘non ho più niente da dire, non ho più idee”, racconta Caroline Franc, che dal 2006 tiene la cronaca della sua vita su ” Pensées de ronde”.  ‘’Si scrive un post ‘Mi fermo’. Ma poi si ricomincia, sulla spinta della comunità dei lettori. In fondo, il blog è una droga”.