Esistono già dei programmi che cercano di determinare i ‘’sentimenti’’, lo stato d’ animo, degli abitanti dei social media – racconta Editor’s weblog -, ma si basano su algoritmi che spesso non funzionano bene. Le macchine possono identificare le parole chiave ma non sono in grado di afferrare i sentimenti che stanno dietro le parole. Per esempio, i robot non riconoscono il sarcasmo. Mentre gli umani, che questo riescono a farlo meglio, non sono capaci però di processare grandi volumi di informazioni ad alte velocità , possono lasciare lacune e fare errori.
CrowdControl invece dovrebbe essere diverso.
In un articolo pubblicato su GigaOm, Derrick Harris spiega il suo funzionamento. Il programma si basa su Mechanical Turk, una piattaforma di Amazon che ‘’esplora’’ le analisi realizzate col crowd-sourcing utilizzando 500.000 lavoratori, localizzati in 190 paesi, che sondano i social media.
CrowdControl applica ‘’15.000 regole per determinare come quei lavoratori svolgano il loro compito’’, riuscendo a ‘’identificare i migliori’’. Come tutto ciò funzioni tecnicamente rimane un segreto, ma il meccanismo si basa in pratica su una comparazione delle risposte che le varie persone danno alle domande previste dal programma e dei tempi impiegati per rispondere.
In un video sul sito dell’ azienda il CEO e fondatore di CrowdControl, Max Yankelevick, spiega che il programma offre ‘’una grandissima qualità di dati a un costo molto minore’’. E consente un grosso risparmio di tempo: ‘’invece di impiegare settimane ad analizzare montagne di dati dei social media, noi riusciamo a farlo in minuti o al massimo ore’’.
La cosa ha un po’ il sapore di una distopia. CrowdControl aiuta le aziende a ‘’capire quali addetti stanno mentendo, quali dipendenti stanno dicendo la verità e quali sono dei buoni lavoratori’’. E quindi i buoni vengono premiati e i cattivi penalizzati.
Harris scrive che l’ ‘’analisi degli stati d’ animo’’ sui social media sta diventando ‘’un grande affare’’ per colossi aziendali come IBM o SAS. In questo contesto – permettendo al marketing di controllare che cosa la gente sui social media pensa e dice dei loro brand, per esempio – può avere delle evidenti applicazioni pratiche.
Ma, quando si passa ad altri usi del materiale prodotto colletivamente, specialmente nel campo del giornalismo, l’ uomo vincerà sempre sulla macchina. In un articolo su Salon, Bonnie Stewart scrive che dovremmo essere cauti nell’ uso dei social media come una ‘’misura di valore e di influenza’’. Riferendosi a Klout, il programma che misura il grado di influenza delle persone sulla Rete, Stewart nota che i dati quantitativi, i numeri, non riflettono necessariamente il valore di quello che la gente dice online. I social media non sono solo ‘’affari’’, il loro valore nasce soprattutto dal fatto che essi consentono alle persone di costruire relazioni.
Insomma – conclude Editor’s weblog – non possiamo permettere che ‘’un sistema di misurazione faccia il lavoro degli uomini’’. O, come Stewart sottolinea, ‘’almeno non in un mondo in cui Justin Bieber (un cantante e musicista canadese di 17 anni,ndr) viene considerato, come ora, l’ essere umano con la maggiore capacità di influenza”.