Ultimamente se ne parla sempre più spesso e anche in occasione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia se ne è discusso molto: l’open data e il data journalism sono tendenze culturali e giornalistiche che stanno raccogliendo sempre più consensi e che anche nel nostro paese stanno cominciando a richiamare interesse – Il progetto Conti pubblici territoriali e l’ esperimento di iData –
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di Andrea Fama
Finora lo scenario privilegiato è stato quello fuori confine, soprattutto nei paesi anglosassoni, ma oggi pare che anche in Italia inizi a muoversi qualcosa, e il rumore dell’iniziativa sta lasciando un’eco internazionale tra gli addetti ai lavori, e non solo.
Sulla home page di openspending.org, ma anche sul Data Blog del Guardian e sul blog della Open Knowledge Foundation (OKF), è stata pubblicata la visualizzazione della spesa pubblica italiana, iniziativa che si inquadra all’interno proprio del progetto Open Spending dell’OKF, nato dall’ormai celebre esperienza di Where does my money go?.
Di che si tratta? È la prima volta dell’Italia in materia di data journalism e – sulla scorta dell’esperienza di OpenCamera, è un precedente pericoloso visto che, attraverso una visualizzazione semplice ed efficace, sono stati resi pubblici, accessibili e riutilizzabili i dati sulla spesa pubblica italiana dal 1996 al 2008, raccolti attraverso il progetto Conti Pubblici Territoriali (CPT), che “fornisce una visione d’insieme delle spese†dei tre livelli di governo: centrale, regionale e locale. Come dicevamo, si tratta di una tappa importante nel processo di alfabetizzazione italiano, una nuova narrativa che arricchisce la nostra produzione giornalistica, sebbene un’elaborazione basata su dati del 2008 rischia di risultare un promo, un how to, piuttosto che uno strumento di attualità giornalistica. Ma tant’è; questi erano i dati disponibili, che se da un lato non sono esattamente attuali, dall’altro coprono un arco di tempo sufficientemente lungo per delineare tendenze altrettanto significative (che potrebbero essere arricchite, ad esempio, incrociandole al dato, facilmente ottenibile, sul colore politico delle diverse Regioni nei singoli anni di competenza e a quello già disponibile sul rispettivo investimento regionale nei distinti ambiti di spesa).
Oltre al progetto in sé, quasi altrettanto interessante è la genesi dell’iniziativa, concepita da un gruppo di giornalisti, sviluppatori e funzionari pubblici proprio negli ultimi giorni del Festival di Perugia* ed ultimata in tempo record (circa 48 ore) per essere presentata in occasione del convegno “Politiche della trasparenza e dei dati apertiâ€, che il 19 aprile ha visto la partecipazione presso la Sala delle Colonne della Camera dei Deputati di importanti attori in materia unitamente alle nuove realtà italiane che si occupano di OpenData.
Appuntamenti del genere testimoniano il crescente interesse in Italia nei confronti delle tematiche legate alla trasparenza del dato pubblico, con inevitabili ricadute non solo in campo politico, economico e civico, ma anche giornalistico, naturalmente.
Il convegno è stata una ricca passerella dove hanno sfilato realtà esaltanti del nuovo panorama italiano, iniziative che, prevalentemente dal basso e con approcci (anche in merito alla sostenibilità ) più o meno differenti, tentano di promuovere la cultura open in seno alle istituzioni, ma anche attraverso il coinvolgimento diretto della cittadinanza.
Quelle italiane sono tutte realtà che rassicurano; ciò che lascia perplessi, invece, è il vuoto politico-istituzionale che avvolge queste iniziative. Infatti, senza un raccordo dall’alto e la volontà politica di intraprendere il percorso che dovrebbe portare a istituzioni più trasparenti e aperte alla partecipazione collettiva, si corre il rischio di disperdere gli sforzi finora compiuti in tanti rivoli, quando invece ci sarebbe bisogno di un’onda d’urto compatta, un coro in grado di parlare ad una sola voce.
Si inizia ad avvertire, dunque, la necessità di passare dalla parole ai fatti, o almeno a fatti più concreti. Ma se non sarà la politica a ‘dirigere’ questa sempre più numerosa orchestra di solisti, si può immaginare il giornalismo nel ruolo di connettore di singoli elementi (e tra questi immagino anche i civil hacker) in grado di recepire i dati già esistenti in varie forme e luoghi al fine di elaborarli e trasformarli in un servizio di pubblica utilità e inchiesta? È legittimo pensarlo**, visto che in nessun contesto più che nel giornalismo le parole dovrebbero essere necessariamente anche fatti.
Forse potrebbe essere in parte anche questa l’ambizione che muove un progetto come iData della Fondazione <Ahref: una “piattaforma, interamente in licenza creative commons, [che] sarà collegata a un ventaglio di community che potranno collaborare per la raccolta, produzione ed elaborazione dei datiâ€.  Se Open Spending Italia è stato il primo prodotto di data journalism nostrano, il blog OpenData è il primo spazio tricolore dedicato interamente al giornalismo dei dati. Nato da una costola di iData, il blog ne rappresenta il “primo passo pubblicoâ€, come si legge nel post di apertura. Open Data potrebbe essere quel laboratorio condiviso per la raccolta di dati, lo sviluppo di strumenti e, soprattutto, la produzione di senso in grado di allargare il campo d’azione dell’open data e spingerne l’evoluzione verso un bacino che non abbraccerebbe solo gli addetti ai lavori ma emergerebbe raggiungendo l’opinione pubblica.
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* Il resoconto del Festival a cura di Marco Renzi
** Nel caso del Data Blog del Guardian sta già avvenendo, sebbene in un quadro istituzionale e normativo decisamente più incline alla trasparenza.