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E-reputazione e diritto all’ oblio ai tempi di Google e Facebook

Uno degli autori di ‘’E-Réputation – stratégies d’influence sur Internet’’, un saggio da poco pubblicato in Francia, spiega in una intervista all’ AFP (di cui presentiamo un’ ampia sintesi) i problemi connessi all’ ‘’arte di gestire la propria immagine sulla Rete’’ – Una questione centrale, sostiene Edouard Fillias, perché mentre prima si poteva comunicare in modi diversi rispetto ai diversi obbiettivi (per le imprese: clienti, azionisti, dipendenti; per le persone: gruppi di amici, colleghi, famiglia…), oggi che ci si ritrova sul web queste diverse ‘’sfere’’ tutte presenti contemporaneamente, è fondamentale riuscire a evitare conflitti e dissonanze fra di esse, visto che le incoerenze fra i messaggi generalmente sono disastrose in termini di credibilità’’

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La e-reputazione è un termine/concetto ancora in via di definizione, che alcuni rifiutano sostenendo che la sfera di applicazione rientrerebbe nella ‘’Reputazione’’ in generale, mentre altri immaginano come una specificazione riferita in particolare al mondo digitale, elettronico.

La questione è al centro di un libro dal titolo ‘’E-Réputationstratégies d’influence sur Internet’’ scritto da Edouard Fillias, uno dei responsabili dell’ agenzia Image & Stratégie, e Alexandre Villeneuve, esperto di référencement, che insieme curano il blog E-Reputation.org.

Per e-reputazione, in generale, si intende ‘’l’ immagine che gli internauti si fanno di un marchio o di una persona – spiega Fillias in una intervista a AFP-Media watch di alcuni giorni fa, in cui affronta anche il problema del diritto all’ oblio -, ‘’ma nel nostro libro abbiamo collegato l’ e-reputazione con la sua gestione:  l’ e-reputazione designa l’ arte di gestire l’ identità digitale, dalla strategia al momento della comunicazione, passando per lo studio dell’ immagine, per poter dispiegare una influenza costante su e con Internet’’.

Per certi versi – continua Fillias – vediamo semplicemente la e-reputazione come una nuova forma di comunicazione, dal momento che la sua specificità sono la sua visione globale e la sua multidisciplinarietà (analisi, creazione di contenuti, gestione di comunità, aspetti legali, ottimizzazione…).

Con l’ avvento del web la e-reputazione è oggi una questione centrale. Prima si poteva comunicare in modi diversi rispetto ai diversi obbiettivi (per le imprese: clienti, azionisti, dipendenti; per le persone: gruppi di amici, colleghi, famiglia…). Oggi che ci si ritrova sul web queste diverse ‘’sfere’’, è fondamentale riuscire a gestire la propria e-reputazione, per evitare conflitti e dissonanze fra queste sfere. Le incoerenze fra i messaggi generalmente sono disastrose in termini di credibilità. Così, in clima di ‘’Googling’’, non è più possibile sopravvendersi (e infatti si vedono sempre meno ‘’numero 1 del settore’’.

E la questione del ‘’diritto all’ oblio’’?

Da qualche anno, con l’ intensificazione dell’ uso del web, i contenuti generati dagli utenti sono esplosi. E quindi cresce il rischio di veder apparire delle notizie negative su una marca o delle informazioni compromettenti su una persona. E, cosa ancora più penalizzante, esse restano spesso in eterno su internet e questo anche nei casi in cui la loro diffusione sia proibita (l’ esempio classico sono le foto rubate di star nude).

Si evoca allora il diritto all’ oblio, che prende la forma di una idea semplice a livello di Commissione europea e sfocia in Francia nel 2010 nella ‘’Crta del diritto all’ oblio digitale’’.

La Carta, sostenuta dal Ministero dell’ economia digitale e firmata da una sozzina di reti sociali e motori di ricerca, ha lo scopo di  facilitare la soprressione dei contenuti personali sul web.

Ma tutto questo non basta. Far sopprimere un contenuto resterà una questione molto complessa fino a quando non ci sarà un vero e proprio ‘’Ufficio centrale dei reclami’’ che si assicurerà della validità delle richieste (anche per proteggere la libertà di espressione) e della soppressione concreta su tutti gli spazi in cui il contenuto sia presente. Se questo Ufficio è teoricamente immaginabile, giuridicamente è un rompicapo, dal momento che le leggi sulla privacy sono troppo diverse fra uno Stato e l’ altro. Il diritto all’ oblio, come lo si intende in Europa, non esiste negli Stati Uniti mentre ci sono le sedi di Google e Facebook.

Ma se proprio dei giganti come Facebook o Google si rifiutano di piegarsi a delle regole di protezione dei dati privati, l’ e-reputazione è illusoria?

Le regole sulla privacy su Internet sono oggi ancora abbastanza vaghe per fare in modo che Facebook, Google e compagnia possano venir trascinate a forza su queste questioni.

Eric Schmidt, l’ ex presidente di Google (e oggi direttore generale) ha anche una visione molto particolare del futuro della privacy e immagina che ‘’ogni giovane di ora avrà un giorno il diritto di cambiare automaticamente il proprio nome quando sarà diventato adulto, in modo da poter negare le cose un po’ ‘compromettenti’ registrate sui siti sociali’’. Delle idee sbalorditive, ma intanto Google è un motore di ricerca e quindi non è dipendente dalle informazioni sulla vita privata delle persone.

Non è il caso di Facebook, che vale tanto di più quanto più possiede informazioni private sugli internauti. La società lo ha capito molto bene e ha incaricato dei lobbisti in Europa e Usa di influenzare i progetti di legge che dovessero andare contro i suoi interessi.

Recentemente, il suo giovane PDG, Mark Zuckerberg, ha annunciato di voler fare in modo che la legge evolva per consentire a un bambino che ha meno di 13 anni di aprire un account su Facebook, spiegando: ‘’La mia filosofia è che per l’ educazione (alle reti sociali, ndr) bisogna cominciare molto, molto giovani’’.

Quindi, se nonm c’ è molta speranza che gli imprenditori del web si autoregolino, la regolamentazione deve venire dallo Stato? La recente conferenza di Obama nella sede di Facebook per ottenere il sostegno di Zuckerberg alla sua riforma fiscale (che dovrebbe mettere fine ai ‘’regali’’ ai più ricchi), lascia presagire che non ci sarà nessuna rivoluzione negli Usa a breve termine sulla questione della privacy. In francia, l’ invito del governo alle imprese digitali a partecipare all’ e-G8 e soprattutto l’ assenza rilevante della CNIL (l’ istituzione pubblica incaricata delle questioni della privacy) lascia pensare per lo meno a un mantenimento dello statu quo.

Alla fine, prima di attendere una soluzione miracolosa al complesso problema della privacy e del diritto all’ oblio, è indispensabile interessarsi alla propria E-Reputazione. Bisogna sempre essere responsabili per le dichiarazioni e le foto/video che si diffonde (o che altri pubblicano sul vostro account), anche su degli spazi a priori privati come Facebook (il copia/incolla va molto veloce).

Se questa coscienza è abbastanza diffusa nella maggior parte degli adulti sul web, lo è meno fra i più giovani, che non riescono a immaginare come una determinata dichiarazione possa essere ‘’usata contro di lui’’, ad esempio in un colloquio di lavoro (a volte anche molti anni dopo). Ora, 1/3 degli addetti al reclutamento del personale dicono di aver già scartato dei candidati a causa delle informazioni trovate sulle reti sociali, e la principale ragione invocata (53%) è la pubblicazione da parte del candidato di foto o di informazioni provatorie o fuori luogo.

Insomma – conclude Fillias – ci sono un bel po’ di sforzi pedagogici da fare, ma I professori e I genitori sono in grado di dominare questi nuovi strumenti? Forse no.

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