—–
Perché, dopo che l’ informazione online è stata gratuita per tanti anni, gli editori vogliono che venga pagata? Perché ora?
Per rispondere a questa domanda, rivoltagli qualche giorno fa da un giovane ricercatore della USC’s Annenberg School of Communication, Ken Doctor — il famoso autore di Newsonomics – ha scritto per il Nieman Journalism Laboratory un articolo su The Newsonomics of do-over, l’  ‘’economia del ricominciare daccapo’’.
Ci sono due ragioni, mi pare – afferma Doctor -. La prima è economica, è quella che aveva avuto grande risonanza nella sessione della Newspaper Association of America che si era tenuta a San Diego due anni fa. Fu lì che Rupert Murdoch e Dean Singleton lanciarono il guanto di sfida: Google stava rubando contenuti e bisognava che i lettori cominciassero a pagare. Si trattava della espressione pubblica – spinta in primo piano dalla terribile crisi economica – di quella che era diventata ormai una constatazione privata: il tasso di cambio fra il dollaro della carta e i centesimi del digitale non sembrava affatto conveniente. Insomma, non c’ erano nella pubblicità digitale – almeno per quello che si poteva vedere – abbastanza soldi per sostenere a lungo termine delle imprese editoriali di una certa dimensione.
L’ altra ragione – secondo Doctor – è di tipo emozionale: quello che facciamo ha un valore e quindi la gente deve pagare per ottenerlo; anche se, come il ricercatore della Annenberg aveva sottolineato, gran parte del prezzo di copertina andava ai costi di stampa e distribuzione e non nelle tasche dei giornalisti.
Se il 2009 è stato un periodo di depressione, sia emozionale che economica, per tutto il mondo dell’ industria, il 2010 è stato invece un anno di speranze in ebollizione, che la nascita e lo sviluppo dei tablet ha alimentato. Ora, nel 2011, vediamo una convergenza di fattori che stanno dando corpo a una nuova sensazione della Direzione verso cui l’ editorial giornalistica può andare. Insieme, questi fattori determinano un punto di curvature, un punto a partire dal quale l’ industria giornalistica guarda a se stessa in modo diverso da prima e in cui i lettori vengono improvvisamente messi di fronte alla scelta fra diversi sistemi di pagamento. Insieme, questi fattori offrono una ‘’newseconomics’’ del ricominciare daccapo, la possibilità di cancellare quello che alcuni hanno definito il peccato originale della gratuità dei contenuti e di creare un nuovo modello economico della diffusione a pagamento dell’ informazione.
Ci sono quattro fattori che ci hanno portato a questo punto, all’ inizio del 2011:
- I tablet certificano l’ era dell’ informazione mobile e ubiquitaria. Fino a poco fa, quando si chiedeva agli editori che tipo di attività economica facessero, rispondevano: l’ industria dei giornali – e dell’ online.  E’ stata un’ attività a due facce, ancorata sulla stampa (l’ 85% di tutti i ricavi) e che si muoveva con la velocità dei ghiacciai verso l’ ‘’online’’, intendendo desktop/laptop. Gli smartphone hanno cominciato a cambiare questa mentalità , ma non hanno prodotto nuovi ricavi significativi per gli editori, anche se questi ultimi hanno provato a realizzare qualche prodotto specifici per gli smartphone. E’ stato l’ emergere dei tablet, con la loro promessa concreta di nuovi ricavi, che ha certificato quello che io ho chiamato il ‘’modello dell’ informazione- ubiquitaria’’. La raffigurazione che ne ha fatto Arthur Sulzberger alla Digital Life Design conference di Monaco è stata una buona sintesi: ‘’Dovunque le persone ci vogliano, dobbiamo stare lì. Questo deve essere il nostro impegno, stare lì con tutti i sistemi, compresa la carta (la carta è bella) fino a quando la gente ci vorrà ’’. Ora tutti gli editori, qualcuno a velocità stellare, qualche altro trascinato a forza, si stanno muovendo verso un mondo veramente multi-piattaforma.
- Un sistema di  rilevamento che ti assicura che puoi avere la tua fetta di torta e mangiarla, anche: non è un paywall, ma uno steccato, dice Journalism Online. Alzare lo steccato a 10 o 20 pagine/viste al mese significa che l’ 80% più o meno dei tuoi visitatori non lo vedranno nemmeno. Catturare la metà del 20% che resta, dei visitatori affezionati, può significare che è stato avviato un nuovo flusso di lettori digitali. E, ad ogni modo, se lo fai bene, i tuoi ricavi pubblicitari digitali possono continuare a crescere, perché il tuo traffico non calerà mai sotto il 10%. In parole povere, è la strategia del New York Times.
- Gli spintoni di Apple. Senza preavviso,  gli editori avanzano lungo la linea che Apple ha loro imposto. Apple li sta spingendo ad allineare la loro strategia di accesso al web a quella propria del tablet, dicendo: se volete mantenere dei rapporti diretti con i lettori e i ricavi, non potete offrire queste cose gratis per il desktop e a pagamento per il tablet. Questa è la spinta, e questa strategia sta spingendo gli editori, con l’ acquolina in bocca per i ricavi da tablet ma preoccupati per l’ ipotesi che il tablet acceleri il declino della readership su carta, in un modo o nell’ altro, ad allineare le loro strategie di accesso, dalla carta al dektop, allo smartphone, all’ iPad. E’ l’ accesso-globale, e sta diventando il modello industriale prevalente.
- La crescita dei capitali di investimento: i protagonisti del nuovo scenario economico, come mostra anche la loro crescente influenza, ad esempio, nel gruppo MediaNews, stanno spingendo le aziende editoriali a innovare sempre più velocemente, ad abbracciare il mobile, e a darsi da fare con i nuovi flussi di ricavi. Il modello dell’ accesso-globale, dell’  informazione-ovunque è un modello naturale per loro, visto che prospetta una buona quantità di soldi freschi per costruire aziende con un buon tasso di profitto – e questo è l’ unico biglietto che possono incassare fino al 2015.
Ecco – prosegue Doctor – se si guarda in maniera globale, il ‘’ricominciamo daccapo’’ diventa assolutamente ragionevole.
Non c’ è stato ancora l’ affondo risolutivo e dobbiamo ancora verificare come e se dalla teoria si passerà alla pratica. Gli esperimenti si stanno intensificando e cominciano a farsi corposi. Il Wall Street Journal si è spostato da poco sull’ accesso a pagamento multi-piattaforma. Il New York Times farà lo stesso presto, con il suo sistema di rilevamento. Il Daily della News Corp. sonderà la disponibilità dei lettori a pagare per un nuovo, originale prodotto giornalistico, mentre Ongo sembra aver fatto un passo falso, con una presentazione non entusiasmante e un elenco troppo piccolo – e casuale - di fonti giornalistiche iniziali ma chiedendo ai lettori 84 dollari l’ anno. Il Dallas Morning News supererà tutti i quotidiani metropolitani americani in questo nuovo mondo. Journalism Online alimenterà dalle 5 alle sei dozzine di siti web di quotidiani – molti con sistemi di rilevazione (metering system), molti con il sistema tablet – dalla metà del 2011.
Comunque, anche se tutto questo sembra offrire un buon profilo economico, qualche utente – quanti? –  potrà trovare delle soluzioni più interessanti di quanto gli editori si aspettino. Se gli editori hanno fatto tagli su tagli, c’ è stata anche una esplosione di nuovi contenuti giornalistici, dalle start up regionali di alto livello alle centinaia di siti nativi iperlocali e alla miriade di siti sportivi di nicchia oltre a una quantità di entertainement e di contenuti di costume e di lifestyle che nessuno stomaco riuscirebbe a reggere. Ci sono ancora là fuori grandi quantità di notizie gratuite, che vengono pianificate per stare là fuori, dalla Reuters al Washington Post, dal GlobalPosts alla BBC e ai siti della U.S. public radio. Sarà molto interessante vedere come i fornitori di informazione gratuita si organizzeranno – si parla di consorzi – per offrire una alternativa a questa vera e propria strategia del ‘ricominciamo daccapo’.