Site icon LSDI

Ex Jugoslavia, l’ aria è di nuovo surriscaldata e la stampa torna a schierarsi

Le testate dei vari paesi rispecchiano sempre di più le posizioni dei gruppi dominanti e i giornali indipendenti hanno un ruolo sempre più marginale – In Serbia, internet e i social network dicono che c’ è un paese giovane a cui di nuove guerre di conquista o di rivalse non frega nulla. Ma quanta voce hanno in capitolo? Soprattutto se si tiene conto che gli apparati statali (magistratura, università, le più importanti istituzioni culturali e scientifiche, polizia, esercito, la macchina burocratica) sono retti dalla stessa gente che dominava in epoca Milosevic

——

di Sandro Damiani*

L’ aria si sta nuovamente surriscaldando, ulteriore conferma che la cosiddetta ‘’pace di Dayton’’ sta dimostrando ancora una volta di essere, appunto, una pace “cosiddetta”, in quanto non ci puo’ essere pace senza un processo nei confronti di chi la pace l’ aveva spudoratamente calpestata.

Dice il poeta Marko Vesovic, montenegrino di nascita ma da decenni a Sarajevo, compresi i millequattrocento giorni di assedio, che la Serbia usa la pace come un proseguimento della guerra con altri mezzi… mentre – sempre loro, quattro gatti come allora!? – quel pugno di intellettuali belgradesi che sin dall’avvento al potere di Milosevic nella seconda meta’ degli Ottanta, ne combatteva i disegni, si chiedono come sia possibile che questo paese – classe dirigente e circoli culturali e popolo – ancora non abbia capito, non voglia capire chi e’ il primo se non unico responsabile dello sfascio nel sangue e nell’orrore della Repubblica federativa socialista di Jugoslavia, ossia la Serbia, l’altroieri guidata da Milosevic, ieri da Kostunica e oggi dal moderato – debole e ambiguo – Tadic, dopo il tentativo operato da Djindjic, ammazzato dagli scherani del primo?!

A Banja Luka, capoluogo della Republika Srpska, cioe’ l’entita parastale in seno alla Bosnia, nata grazie alla pulizia etnica di mezzo milione di cittadini di etnia non serba, cominciano a tremare. Dopo anni che provocano con atteggiamenti apertamente ostili verso ogni tentativo di dare forma compiuta allo stato bosniaco, come in fondo il Trattato di Dayton prevedeva (ma che la Comunita’ internazionae non riesce a far rispettare), i recenti episodi hanno portato la parte musulmana della Bosnia, i “bosgnacchi”, a irrigidirsi a loro volta. Con la differenza che oggi costoro sono armati fino ai denti, che oggi godono dell’appoggio dei paesi islamici, radicali e non, che oggi dicono apertamente di non vedere l’ora di vendicarsi.

Altra differenza, rispetto agli anni Novanta: oggi la Serbia, a parte l’invio (e sottobanco) di qualche decina di migliaia di volontari probabilmente armati di forconi, non e’ in grado di fare nulla di piu’. E non solo perche’ vive in condizioni da Terzo mondo, ma perche’ sa che per quanto Londra e Parigi forse chiuderebbero anche un occhio, gli USA non lo farebbero mai, perche’ e’ soprattutto a Washington che Belgrado, dopo i bombardamenti Nato (ma voluti appunto dagli USA), ha promesso che non avrebbe mai piu’ aggredito i vicini – in Kosovo o in Bosnia, indifferentemente.

Quanto alla componente croata della Bosnia e dello scacchiere ex jugoslavo, essa all’interno della Bosnia e’ stata marginalizzata: ha un suo potere/presenza totale in Erzegovina (due-trecentomila abitanti), non conta nulla nel resto del Paese: ne’ nella Republika Srpska, che e’ un’entita’ monoetnica e etnofobica, ne’ nel resto della federazione bosniaca, dove il “nuovo” islamismo l’ha relegata in un cantuccio. Per quel che riguarda la Croazia quale Stato a se’, sebbene il potere sia detenuto dal partito che fu del “padre della Patria”, Franjo TuÄ‘man, in esso tuttavia non c’e’ nemmeno l’ombra di quell’atteggiamento nazionalistico aggressivo dei Novanta, atteggiamento che poi nascondeva il vero volto di quel “patriottismo”, che era una politica di mero ladrocinio.

E dato che non c’e’ piu’ nulla piu’ da rubare, se non i debiti che Zagabria ha dovuto contrarre per non soccombere nella miseria, nessuno si sogna di far guerre a nessuno. Cio’ nonostante, non sarebbero pochi i cittadini croati (non necessariamente croati, etnicamente parlando) che in caso di scoppio delle ostilita’ in Bosnia, varcherebbero il confine per spazzare via cio’ che resta degli ideali egemonici dei serbi in loco…

Questa e’ la situazione. Come la descrivono i media locali?

Gli sloveni si sentono su…marte e quindi fanno finta che la cosa non li riguardi. In effetti, e’ difficile dar loro torto: al di fuori dei propri confini, a parte una qual presenza in Croazia poi minoranze slovene nelle altre ex repubbliche federate non ve ne sono; tutt’ al piu’ potrebbero essere preoccupati per qualche investimento, ma non danno a vederlo.

Pure i macedoni sembrano dire “non sono affari nostri”, tuttavia seguono l’evolversi della situazione con maggiore interesse, anche perche’ a differenza degli sloveni – intellettuali e non , media e non – in epoca jugoslava si “sentivano” jugoslavi e la frantumazione della Federativa non ha portato i macedoni a gioire. In fondo, grazie a Tito la loro chiesa ha avuto un riconoscimento di pari dignita’ con quella serba ortodossa e lo stesso popolo macedone e’ stato riconosciuto tale e non come una sorta di sottotribu’ serba o bulgara.

Nel Montenegro c’ e’ un’ala proserba molto accentuata, ma non e’ che si faccia troppo sentire: la nuova realta’ statale ha pemesso a tutti nel paese di avvicinarsi a un certo benessere: i capitali arrivano (dalla Russia) e non fuoriescono (verso la Serbia): insomma, per tutti c’e’ qualcosa. Una nuova guerra o eventuali nuovi equilibri farebbero arretrare tutto e tutti.

In Croazia, detto che il nazionalismo non ha piu’ sponde, a parte qualche piccola testata acquistata da pochi e letta da pochissimi (la maggiorparte dei nazionalisti, croati e non, non sono particolarmente alfabetizzati), nella stampa c’e’ la consapevolezza dei rischi, ma non timori. Da un lato – atteggiamento tipicamente slavo – il fresco ricordo di avere sbaragliato gia’ un esercito molto piu’ forte e meglio armato, quello serbo e serbo-federale, il fatto di non dover temere una eventuale ‘’quinta colonna”, che spesso involontariamente, e’ stata la comunita’ serba di Croazia, in quanto con la controffensiva denominata Tempesta nell’agosto del 1995, circa trecentomila serbi sono stati cacciati (o sono scappati) in Serbia e nella Bosnia serbizzata. E non e’ tutto. L’avanzata degli eserciti alleati croato e bosniaco e’ stata fermata con la minaccia di ritorsioni da Washington, se non si fosse fermate in pratica alle porte di Banja Luka con la popolazione locale gia’ pronta con le valigie a scappare per un migliaio di chilometri piu’ a est.

In secondo luogo, la Croazia oggi e’ nella Nato e sa che qualsiasi cosa avvenga, sara’ il Patto Atlantico a dire l’ultima parola.

In Bosnia, la stampa filoislamica, senza per questo essere islamista – qui non si parla di guerre di religione, nemmeno finte – e’ pronta alla resa dei conti: far pagare i 1400 giorni di assedio di Sarajevo, il massacro genocida di Srebrenica, le tante stragi di civili. E lo e’ da tempo. Sono già alcuni anni che questa fetta di politici, intellettuali, popolo della Bosnia chiede a gran voce che la “comunita’ internazionale” (qualche decina di migliaia di militari in assetto di guerra) se ne vada e la smetta di di comportarsi come dei governatori di colonie coll’aggravante di non fare nulla di concreto per costringere la Republika Srpska ad ostruire qualsiasi tentativo di normalizzazione della situazione e implementazione degli accordi sottoscritti sedici anni fa negli USA.

La stampa proserba – stiamo parlando di media strettamente controllati, anzi emanati dalle rispettive centrali di potere – a sua volta si comporta come se nulla fosse, persevera nella sua linea di condotta che sarebbe la conquista della piena autonomia e indipendenza di quel 51% di territorio bosniaco fatto proprio a forza di stragi e carneficine. bisogna tuttavia aggiungere che negli ultimi tempi un bel po’ di boria sta abbandonando anche i piu’ fanatici, poiche’ Belgrado sta dimostrando sempre piu’ scopertamente di essere nella miseerie, quindi di non poter continuare a dare iniezioni di soldi al governicchio di Banja Luka, retto dagli ex scagnozzi dei criminali di guerra Karadzic, Mladic e la Plavsic.

C’e’ poi, grazie a un paio di giornali e periodici anche una Bosnia etnicamente trasversale, civile, a-nazionale – laica e religiosa nelle sue varie componenti – che giorno e notte martella i rappresentanti della “comunita’ internazionale” con massicce dosi di informazioni su cio’ che sta accadendo nel paese reale, su cio’ che potrebbe succedere se per esempio i militari se ne andassero. Ma pare che i civilissimi esponenti con il compito di tenere in piedi il protettorato – ex politici di professione provenienti dai paesi scandinavi e da quelli anglosassoni, per lo piu’ – non vogliano capire che stanno veramente seduti su una Santabarbara…

Quanto alla stampa serba, che poi è Belgrado, perche’ il resto del paese e’ un insieme di villaggi piu’ o meno grandi, ci sono circoli dichiaratamente guerrafondai, cetnici, che ancora sognano la piu’ improbabile delle realta’ statuali: la Grande Serbia. Per lo piu’ si tratta di manovalanza al servizio di boss locali. Un “esercito” in primo luogo comodo in quanto elettore di gente senza arte ne’ parte che promette riscosse nazionali, sapendo di mentire; peraltro, cosa gli resta da fare, non avendo ne’ arte, ne’ parte e visto che da rubare non c’e’ rimasto nulla?

La stampa moderata e progressista, internet e i social network ci dicono che c’e’ una Serbia giovane a cui di nuove guerre di conquista o di rivalse non frega nulla. Ma quanta voce hanno in capitolo? Soprattutto se si tiene conto che gli apparati statali (magistratura, universita’, le piu’ importanti istituzioni culturali e scientifiche, polizia, esercito, la macchina burocratica) sono retti dalla stessa gente che la reggeva in epoca Milosevic: e non e’ che allora ci stesse per sbaglio, bensi’ per profonda convinzione che gli sloveni e gli albanesi del Kosovo, passando per i croati e i bosniaci non serbi, dovessero sottostare ai diktat di Belgrado.

—–

*Giornalista e animatore teatrale, 60 anni, ha vissuto fra l’ Italia e la Croazia. Da alcuni anni è a Spalato, dove si occupa di organizzazione e produzione teatrale. Ha diretto per otto anni l’ unico teatro di lingua italiana fuori dai confini nazionali, il “Dramma Italiano” del Teatro Nazionale Croato di Fiume, vincendo il Premio Ennio Flaiano “per la promozione del teatro italiano all’estero’’.
Ha vissuto a Firenze dalla seconda meta’ degli anni Settanta alla seconda dei Novanta, collaborando con varie testate giornalistiche (La Citta’, Firenze ieri oggi domani) occupandosi prevalentemente di teatro.Ha collaborato con la sede toscana della RAI e curato trasmissioni culturali per varie emittenti regionali.  Dal 1991 al 1997 è stato corrispondente dall’Italia per la tv di Capodistria, con cui aveva iniziato a collaborare sin dalla sua fondazione. Nel 1994 ha pubblicato con la Cooperativa Settegiorni di Pistoia il libro “Jugoslavia, genesi di una mattanza annunciata”, con prefazione di Franco Cardini.

Exit mobile version