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I confini etici nella pratica della camera oscura digitale: un problema che ricorre ciclicamente e che è ora al centro di un breve saggio realizzato da Matteo Bazzi, giornalista professionista, fotoreporter milanese dell’ Ansa, pubblicato integralmente da Pino Bruno sul suo blog e corredato da una interessante serie di confronti fotografici.
Bazzi prende spunto dall’ eclusione di un fotografo danese, Klaus Bo Christensen,  dall’ edizione 2009 del Premio nazionale “Picture of the Year† organizzato dalla più antica associazione  di fotogiornalisti del mondo, la Presse Fotograf Forbundet. Esclusione che la giuria ha deciso ritenendo ‘’esagerati i ritocchi alle caratteristiche cromatiche e al contrasto di almeno tre degli scatti’’ di un reportage su Haiti da lui presentato alla manifestazione’’.
Il fotoreporter danese, pur ammettendo di aver utilizzato in maniera intensiva alcuni strumenti di Photoshop, non è per nulla d’accordo sul fatto che i suoi interventi abbiano stravolto il valore rigorosamente fotogiornalistico del suo racconto. Dalla sua parte – racconta Bazzi – si sono schierati molti suoi colleghi che basano la loro “assoluzione†fondamentalmente sul fatto che Christensen non ha manipolato la realtà : le scene ritratte, contrasti e rafforzamento dei colori a parte, sono infatti rimaste esattamente quelle riprese in origine. Insomma: nessuna manipolazione dei contenuti informativi.
Resta però aperto, ovviamente – prosegue il giornalista -, il problema se “il rispetto della verità sostanziale dei fatti†– principio etico, per esempio, imposto ai giornalisti italiani direttamente dalla legge sull’ordinamento professionale – può essere messo a rischio da un eventuale uso eccessivo di Photoshop nello schiarire o scurire, nel contrastare, nell’â€imbottire†sovraesposizioni e colori e in tutte le altre fasi di trattamento delle immagini che non intaccano il rispetto sostanziale degli elementi informativi presenti nella scena ritratta.
Su questo le scuole di pensiero che hanno determinato i variegati codici di comportamento che regolano la materia nel mondo del giornalismo occidentale lasciano più o meno tutte larghi margini all’interpretazione del principio che i fotoreporter – come indica per esempio l’agenzia americana Black Star – non devono alterare le foto “oltre il limite dettato dal miglioramento tecnico della qualità dell’immagineâ€. Qual è però esattamente la linea di confine di questo limite da non superare nel miglioramento tecnico resta un fatto piuttosto vago e soggettivo. Così includendo anche qualche caso come quello dell’agenzia internazionale Associated Press che nel regolamento interno di comportamento per  suoi dipendenti, dopo aver specificato l’accettabilità dei miglioramenti tecnici generici di “stampa†già ammessi prima dell’avvento del digitale, stabilisce molto blandamente che nel ritocco “l’aggiustamento dei colori dovrebbe essere effettuato al minimoâ€.
La veridicità della fotografia, la legittimità della manipolazione digitale. E’ una discussione senza fine, ma della quale è importante essere consapevoli se parliamo di fotogiornalismo ed informazione. L’utilizzo delle tecniche di manipolazione digitale ci dicono molto del nostro mondo, della rappresentazione della realtà al giorno d’oggi. Ci ricordano che è facile alterare la realtà .
Bisogna essere vigili: l’avvento di nuove tecnologie ha inevitabilmente conseguenze sul modo in cui rappresentiamo e percepiamo il mondoâ€.