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Giornalismo digitale: il marketing avanza e rompe la separazione fra ‘’stato’’/pubblicità e ‘’chiesa’’/informazione (Innovazioni e paradossi di una ‘’rivoluzione’’ ancora in cerca di un modello economico/9)

Il nono e ultimo capitolo di ‘’The story so far’’, la Ricerca sul giornalismo digitale della Columbia, dedicato alla gestione manageriale del settore, dedica un’ ampia analisi al ruolo del marketing mettendo in rilievo come esso finisca a volte per essere rilevante almeno quanto quello della produzione dei contenuti, e nello stesso tempo segnala anche la trasformazione della figura del giornalista, che ora non può fare a meno di un punto di vista manageriale – I direttori, infatti, sono sempre più tenuti a considerare gli articoli anche sotto il profilo dei potenziali ricavi, tanto che un manuale ad uso interno di Aol li invita la direzione a considerare che il prezzo di acquisto di un articolo non dovrebbe superare la metà dei ricavi pubblicitari che ci si aspetta possano derivare da esso – L’ ampliamento del numero di lettori, una volta affidato agli esperti di tiratura, ora è assegnato a impiegati commerciali ed editoriali che sviluppano “strategie di crescita del pubblico” individuando le forme migliori di copertura giornalistica – Quando decidono quali argomenti possano attrarre più lettori, o lettori di fasce differenti, questo influisce sugli sforzi della redazione e dei collaboratori per trovare followers e fans – Intanto la prassi di pagare i freelance secondo la ‘’resa’’ economica dei loro articoli rischia di radicarsi anche all’ interno delle redazioni, come avviene ad esempio ad About.com che ha cominciato a pagare i suoi redattori esperti (le ”guide”) in base alle loro performance – Dall’ altro lato, però, siccome nel giornalismo digitale il pubblico può seguire i migliori con grande facilità, i giornalisti che hanno un grande seguito individuale potrebbero cominciare a registrare i dati sui loro lettori e cercare di usarli per farci dei soldi, piuttosto che lasciarlo fare ai loro datori di lavoro

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In un ecosistema ‘’brutalmente competitivo’’ come quello del giornalismo digitale, le società che riescono meglio di altre sono quelle che i cui dirigenti colgono con maggiore prontezza le opportunità che l’ innovazione offre.

E’ una delle chiavi del successo dell’ HuffPost, i cui fondatori, in particolare, hanno capito velocemente che la direzione presa dai social network combaciava con le loro convinzioni originali, fortemente orientate a favore del versante degli utenti. “Il pubblico stava abbracciando i social media, noi lo abbiamo seguito” ha raccontato Eric Hippeau, uno dei primi azionisti della testata. E questa attenzione ad attrarre i lettori (che ora scrivono sul sito 4 milioni di commenti al mese) – li ha portati a spendere più nella tecnologia e meno nei contenuti.

Il nono e ultimo capitolo di ‘’The story so far’’, la Ricerca sul giornalismo digitale della Columbia, dedica un’ ampia analisi al ruolo del marketing mettendo in rilievo come esso finisca a volte per essere rilevante almeno quanto quello della produzione dei contenuti, e nello stesso tempo segnala anche la trasformazione della figura del giornalista, che ora non può fare a meno di un punto di vista manageriale.

Come accade all’ Huffington Post – osservano gli autori – è essenziale sviluppare una certa abilità nel reagire velocemente ai dati sul traffico e sull’ uso del sito a mano a mano che i dati sono disponibili. Secondo la Ricerca, si tratta di un elemento importante del successo nel giornalismo digitale. In effetti, l’ analisi dei dati, che prima era una competenza propria degli uffici finanziari delle società editoriali, è diventata una componente essenziale del curriculum vitae di direttori, redattori e web designer.

A CNNMoney.com, ad esempio,  ogni redattore  “ha accesso ai dati delle visite e del traffico” dice il direttore esecutivo Christopher Peacock. “Abbiamo valutazioni in tempo reale del rendimento – dice -. Abbiamo un sistema brevettato che ci dice quanto sono accattivanti i nostri titoli e la nostra homepage”.

E  LIN Media, con le sue 32 stazioni televisive locali, è dotato di un sistema integrato di gestione che distribuisce i contenuti (e ripartisce i costi) su tutti i suoi mercati e le sue piattaforme. Ogni mattina gli uffici commerciali e la direzione editoriale ricevono la loro relazione giornaliera sul rendimento del giorno precedente.

Il paradosso è che ora anche i promotori del marketing sono in possesso di strumenti per produrre e distribuire testi in maniera indipendente.  L’ampliamento del numero di lettori una volta era affidato agli esperti di tiratura, ora è assegnato a impiegati commerciali ed editoriali che sviluppano “strategie di crescita del pubblico” individuando le forme migliori di copertura giornalistica. Quando decidono quali argomenti possano attrarre più lettori, o lettori di fasce differenti, questo influisce sulla scelta dei blogger e sugli sforzi dello staff e dei collaboratori per trovare followers e fans.

Forbes incoraggia inoltre i suoi inserzionisti più grandi a produrre direttamente contenuti per il giornale e per il sito, come parte del loro acquisto di servizi pubblicitari. Alle aziende vengono forniti gli strumenti per pubblicare direttamente i contenuti (testi, video e immagini) sulla loro pagina nel sito.

Avanza il marketing:  Etichettare il materiale come proveniente dagli inserzionisti aiuta a proteggere la testata dall’ accusa di violare la divisione “stato-chiesa”, spiega DVorkin, aggiungendo che l’ approccio di Forbes permette agli uomini del marketing di non essere confinati nel “ghetto” dei redazionali scritti dai freelance.

Eric Hippeau, che è tornato ad essere un venture capitalist, definisce questo approccio così: “trasformare i tuoi clienti in editori”. Le aziende che fanno pubblicità, dice, non solo creeranno contenuti che aumenteranno il traffico web, ma questo rappresenterà “una grande diversificazione dei ricavi” rispetto alla pubblicità venduta in base al numero di visite al sito. E per Hippeau, ‘’una volta che le aziende iniziano a interagire con il pubblico in questo ambiente, sono agganciate’’. “Una volta che un marchio inizia questo processo, non si fermerà. E’ un grande beneficio per le società editoriali7”.

In questo quadro i direttori sono sempre più tenuti a considerare gli articoli anche sotto il profilo dei potenziali ricavi, tanto che un manuale ad uso interno di Aol li invita a considerare che il prezzo di acquisto di un articolo non dovrebbe superare la metà dei ricavi pubblicitari che ci si aspetta possano derivare da esso.

Il tutto è stato evidenziato in un grafico (qui sotto)

Così, il costo dei contenuti può andare da 25 dollari per l’ articolo di un freelance, che ha bisogno di 7000 visualizzazioni per rientrare nei costi, fino a 5.000 dollari per un video che richiederà mezzo milioni di visualizzazioni per compensare le spese.

Ma a questo punto, se i parametri cominciano ad essere questi, la prassi di pagare i freelance secondo la ‘’resa’’ economica dei loro articoli rischia di radicarsi anche all’ interno delle redazioni. Ad esempio, About.com, il sito di informazione generalista fondato nel 1995 e ora proprietà del New York Times, paga i suoi redattori esperti (le ”guide”) in base alle loro performance. USA Today ha annunciato all’inizio di aprile che sta valutando l’ idea di pagare agli articolisti dei bonus basati sulle visualizzazioni.

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Le aziende però si trovano di fronte anche un altro fenomeno: devono fare i conti anche con i giornalisti che sono capaci di guadagnarsi un seguito più per il loro talento che per il prestigio o la diffusione della testata. Il blog Daily Dish di Andrew Sullivan produceva per esempio un milione di visitatori unici al mese (circa il 20% del traffico) del sito dell’Atlantic. Ma era il pubblico di Sullivan, non quello dell’ Atlantic.

E quindi, consiglia la Ricerca, siccome nel giornalismo digitale il pubblico può seguire i migliori con grande facilità, i giornalisti che hanno un grande seguito individuale potrebbero cominciare a registrare i dati sui loro lettori, e cercare di usarli per farci dei soldi, piuttosto che lasciarlo fare ai loro datori di lavoro.

D’ altronde il Rapporto lo ammette senza alcun pudore: sta cambiando il modo in cui si valuta la qualità di un reporter. “Una volta era la capacità di utilizzare e sviluppare le fonti. Ora è la capacità di sviluppare le fonti ma anche la loro audience”. Dai giornalisti di Forbes uno si aspetta che non solo siano bravi a seguire le notizie, ma anche che siano “maestri” di commenti e di follower. E devono essere bravi anche a selezionare i collaboratori. “Quando assumevamo un reporter, dicevamo ‘Mostrami qualche cosa di tuo’. Ora invece chiedo ‘Che contatti hai? Chi sono le tue fonti? Chi conosci? Chi puoi convincere a collaborare?’ ”.

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Ma nonostante tutto questo – concludono gli autori – gran parte delle aziende si trovano di fronte ad un dilemma continuo. Se non avessero deciso di vendere pubblicità online, non starebbero perdendo così tanto, almeno per il momento. Ma ritengono che la presenza online dei loro contenuti sia destinata a crescere nel tempo, e quindi stanno investendo sui problemi legati alla definizione del prezzo e al rapporto con la clientela, anche se il ritorno immediato non giustifica per ora quello sforzo.

Il loro successo o meno nel campo della pubblicità online dipenderà dalla qualità del loro management.

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Capitolo 9 – Gestire il digitale: audience, dati e dollari


Introduzione e Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5

Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8

(La traduzione del Rapporto è a cura di: Valentina Barbieri, Elena Bau, Stefania Cavalletto, Claudia Dani e Andrea Fama).

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