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HuffPo-AOL: ‘’Scusa Arianna, ti rimane qualche soldo?’’

Un gruppo di ex blogger incazzati dell’ HuffPo ha creato una pagina su Facebook per far sentire le proprie ragioni – ‘’AOL ci dà 315 milioni di dollari. Puoi vedere di restituire qualcosa agli autori non pagati che hanno costruito il blog?’’ – E intanto il comico e presentatore televisivo Stephen Colbert ha creato un nuovo sito, chiamato ColbHuffingtonRe-post,  che riprende tutto quello che pubblica l’ Huffington Post ma sotto una nuova testata – Ora offre il sito a 316 milioni di dollari e, se riuscirà a vendere, assicura che farà ad Arianna lo stesso trattamento che lei ha fatto a lui, e cioè zero soldi – E qualcuno accusa l’ Huffington Post e altre piattaforme che utilizzano massicciamente lavoro non pagato di praticare del ‘’feudalesimo digitale’’

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Continuano le polemiche sull’ affare HuffPo-AOL, e in particolare sul business model adottato dal sito e sulla impeccabilità delle credenziali progressiste di Arianna Huffington.

Ci ritorna su Jeremy Daniel, in un articolo su Memeburn. Riprendendo un commento su ThrutDig, intitolato Huffington’s Plunder (Il bottino di Huffington), Daniel cita in particolare una frase di Chris Hedges: ‘’Qualunque imprenditore che usa in abbondanza lavoro non pagato, con un pugno di dipendenti sottopagati, per costruire un’ azienda che viene venduta per alcune centinaia di milioni di dollari, in qualsiasi modo si giustifichi sugli schermi televisivi, non è un liberal né un progressista’’.

I difensori di questo modello così fortunato – rileva Daniel – sostengono che nessuno costringe gli autori a contribuire al blog e che, se lo fanno, è per ragioni personali e per rafforzare la propria reputazione. Il portavoce di HuffPO, Mario Ruitz, scrive: ‘’La grande maggioranza dei nostri blogger capiscono il valore di avere una piattaforma che raggiunge una audience vastissima. Le persone scrivono gratuitamente sull’ HuffPo per la stessa ragione per cui vanno ogni notte in tv senza farsi pagare – perché sono appassionati delle loro idee, vogliono che esse raggiungano il maggior numero di persone possibile  e capiscono il valore che quel tipo di visibilità può portare’’.

Ma Hedges ribatte: “L’ argomento utilizzato per difendere lo sfruttamento è che i collaboratori possono scegliere. E’ un ragionamento che ho sentito fare dai manager delle aziende che utilizzano lavoratori sottopagati nella Repubblica Dominicana o in Messico, delle miniere di carbone in West Virginia o Kentucky e degli allevamenti intensivi di polli del Maine. E’ il discorso che fa chi sta al calduccio, chi non sa che cosa significa essere disperati e senza soldi, che fanno quelli divorati dalla passione di esprimere se stessi e il mondo attraverso il giornalismo o l’ arte’’.

In una eloquente analogia – osserva Memeburn -,  Anthony De Rosa, un  product manager della Reuters, viene citato dal New York Times in questi termini: “Viviamo in un mondo di Fuedalesimo Digitale – scrive -. Su una terra che appartiene a qualcun altro, che sia Facebook o Twitter o Tumblr, o qualsiasi altro servizio che ci ospita gratuitamente: ma i contenuti prodotti dagli ospiti di questa terra diventano alla fine di proprietà della piattaforma che possiede questa terra’’.

E’ uno scenario sconcertante per gli autori che vedono il valore del loro lavoro diminuire giorno per giorno, mentre i contenuti a basso costo diventano la norma, e solo ora stanno cominciando ad organizzarsi per dare battaglia.

Un gruppo su Facebook chiamato “Hey Arianna, Can you Spare a Dime?” (Scusa Arianna, ti rimane qualche soldo?) ha più di 800 membri, molti dei quali sono ex blogger incazzati di HuffPo. Nella sua presentazione il gruppo spiega: “AOL ci dà 315 milioni di dollari. Puoi vedere di restituire qualcosa agli autori non pagati che hanno costruito l’ Huffington Post?’’.

Intercettando lo spirito del tempo, il comico e presentatore televisivo Stephen Colbert ha annunciato la creazione di un nuovo sito, chiamato ColbHuffingtonRe-post,  che “ha tutto quello che voi amate dell’ Huffington Post ma in una nuova cornice, quella del Colbuffington Repost’’.  Colbert offre il sito a un milione di dollarti in più, 316, e, se riuscirà a vendere, assicura che farà ad Arianna lo stesso trattamento che lei ha fatto a lui, e cioè zero soldi.

Delle critiche ancora più pungenti sono state pubblicate su Slate.com a proposito delle tecniche SEO (ottimizzazione per i motori di ricerca, ndr)  di HuffPo. Farhad Manjoo sostiene che l’ Huffington Post ‘’gioca’’ i motori di ricerca ‘’riempiendo gli articoli con sfilze di parole-chiave irrilevanti (HuffPo lo fa con tutti gli articoli), ripetendo serie di potenziali quesiti all’ inizio di ogni servizio, e mettendo a punto con estrema attenzione gli articoli in modo che essi rispondano ai termini maggiormente in auge fra le richieste’’. Non c’ è niente di illegale. Ma se Google diventa sempre più brava nel ‘’gioco della scoperta delle parole chiave’’ e se le notizie arrivano sempre di più ai lettori attraverso i social media. è probabile che questa tattica perda la sua capacità di generare molto traffico.

Tutto questo – conclude Daniel – pone l’ interrogativo: AOL ha preso una decisione saggia oppure si è gettata (insieme ad HuffPo) a capofitto dal sesto piano? David Carr, del New York Times, ha  l’ ultima parola:  “Sarà interessante vedere come le legioni di blogger non pagati dell’ HuffPo reagiranno. Scrivere per un blog nato da poco è una cosa un po’ diversa dal sudare per AOL, un gigante mediatico con un mercato di 2,2 miliardi di capitalizzazione’’.

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