I quotidiani e internet, prove di sopravvivenza
I giornali (quotidiani) possono sopravvivere solo con Internet ?
La risposta sintetica è “no”.
Come ogni cosa, la risposta più articolata è “dipende”…
Vediamo di approfondire:
La risposta un filino meno sintetica è “nella loro forma attuale, pochi”. Devono cambiare.
Così Sefano Quintarelli introduce una riflessione molto interessante sulle condizioni e le prospettive dei giornali (quotidiani). Una riflessione particolare anche perché nel flusso continuo e a volte ridondante di notizie , di ricerche e di dati sulla stampa si sente un forte bisogno di un’ analisi pacata ed ‘’elementare’’ – che colga appunto gli elementi costitutivi di questo processo di trasformazione.
Nella rigorosa semplicità delle sue argomentazioni l’ articolo di Quintarelli che pubblichiamo su Lsdi ci offre la possibilità di individuare i primi lineamenti del mondo nuovo. Un mondo in cui, per fare solo due esempi, non sarebbe più corretto ‘’parlare di ‘giornali’ online o ‘quotidiani’ online ‘’  e in cui anche la parola ‘editore’ starebbe  ‘’cambiando significato’’.
Quindi?
Il ruolo tradizionale di produrre e/o aggregare contenuti con una redazione, impacchettarli e distribuirli venendo pagati dal cliente e dalla pubblicità , è destinato ad essere abbastanza presto un ricordo legato a tecnologie passate – conclude Quintarelli in questa analisi, proponendo ‘’una nuova definizione: Editore è colui che monetizza l’attenzione del cliente. (nel massimo numero di modi e occasioni possibili)’’.
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I giornali (quotidiani) possono sopravvivere solo con Internet ?
di Stefano Quintarelli
(Quinta’s weblog)
La risposta sintetica è “no”.
Come ogni cosa, la risposta più articolata è “dipende”…
Vediamo di approfondire:
La risposta un filino meno sintetica è “nella loro forma attuale, pochi”. Devono cambiare.
I) C’E’ GIORNALE E GIORNALE
Ci sono giornali che sono organi di partito (e quindi finanziati dalla politica) e giornali che non lo sono; giornali che hanno una grande base di abbonati e giornali che praticamente dipendono dalle edicole; giornali che si rivolgono ad un pubblico planetario (in inglese) e giornali che si rivolgono a pochi intimi (in lingue di nicchia); giornali che stanno in paesi con età media avanzata e aspettativa di vita lunga e altri che stanno in paesi pieni di giovani.
Altro punto rilevante è che come “disco” e “film” sono parole prive di significato oggi sostituite da “musica” e “video” (essendo spariti i supporti fisici circolari e i nastri magnetici o di celluloide), anche il “giornale” online non è più giornaliero e tantomeno quotidiano, ma continuo.
Quindi non si puo’ parlare di “giornali” online o “quotidiani” online.
E come si chiamano i contenuti quando si va online ? come struttura sono certamente testi, mediagrammi, immagini fisse o in movimento, suoni; come tipo di messaggio sono “notizie”, oppure “commenti”, oppure “informazioni”…
Per “informazioni”, intendo quelle tipiche dei “giornali di servizio”. Il Sole, ad esempio, con il direttore Napoletano, ha riconquistato la sua caratterizzazione di giornale di servizio: uno strumento che fornisce informazioni utili ai lettori per destreggiarsi in diversi ambiti (finanza e mercati, casa, lavoro, ecc)
Le notizie, sono sempre più una commodity. Viviamo immerse nelle notizie che riceviamo più e più volte alla TV, alla radio, in metropolitana, cone le free press, con i giornali, … online.
L’Economist è una testata (almeno questo nome può restare) che propone essenzialmente commenti, rivolgendosi ad un mercato globale (in inglese)
Tra l’altro gli articoli sono spesso senza firme. Questo toglie riconoscibilità ai giornalisti (i pezzi sono spesso sintesi della redazione di contributi provenienti da molti giornalisti), fatto che può essere visto negativamente (reputazionalmente per il giornalista) o positivo (come protezione delle opinioni). La fonte citata diventa così L’Economist, non il giornalista specifico.
II) COME FA SOLDI UN GIORNALE
Iniziamo dal cartaceo. Un giornale cartaceo incassa, come noto, dalla pubblicità , dalle vendite e da contributi pubblici.
1) la pubblicitÃ
La pubblicità tra l’inserzionista ed il giornale passa da due intermediari: il centro media e la concessionaria.
Il centro media gestisce i budget dei clienti e li assiste nella pianificazione (aggrega i budget dei clienti); la concessionaria aggrega i mezzi (giornali, radio, web, tabelloni…) per fare massa critica. Ogni mezzo ha delle caratteristiche di target raggiunto sia per numerosità che per specificità .
Questi dati entrano in sistemi di pianificazione dei centri media per che suggeriscono la pianificazione da fare per raggiungere le casalinghe 55enni o gli imprenditori 80enni…
E’ cosi’ che viene deciso che quota dei budget allocare ai diversi mezzi; decisioni che in italia premiano la TV sopra tutti gli altri mezzi in misura assai maggiore rispetto al resto del mondo.
Se hai una property che non ha numeri sufficienti, una concessionaria non ti prende in considerazione e tanto meno il centro media.
Quanta pubblicità piglia un giornale dipende dal numero dei lettori. Il numero dei lettori e’ il risultato della moltiplicazione del numero di copie diffuse per il numero medio di lettori per copia. I dati di diffusione vengono certificati dalla ADS (Accertamenti Diffusione Stampa).
Il numero di utenti di un sito internet viene certificato da Audiweb con un meccanismo duplice che prende in considerazione i dati di erogazione di pagine ed utenti provenienti dagli editori (mediante un pezzo di script visibile in fondo ai sorgenti delle pagine monitorate), i dati provenienti da un panel molto esteso di utenti reclutato da Nielsen ed il tutto corretto per limare alcune spurie di poco interesse per gli inserzionisti (pagine viste dall’estero, da robot, ricaricate, ecc.).
In entrambi i casi il prezzo dipende dalla qualità del target. Siti che generano tonnellate di traffico o testate che si rivolgono ad un pubblico indifferenziato sono meno premiati di siti e testate che si rivolgono ad un target più preciso e pregiato.
Oltre ai siti, che generalmente non sono repliche del quotidiano, essendo aggiornate in continuo, ci sono le copie in PDF dei giornali fatte per essere visualizzate con appositi browser (sfogliatori) su PC o su tablet.
Essendo queste repliche esatte del giornale, entreranno anch’esse nei conteggi di diffusione dell’ADS ma, mentre la readership del cartaceo è n lettori per ogni copia diffusa, l’idea e’ che per le copie digitali sia un lettore per ogni copia diffusa.
Quindi, anche a parità di contenuti, una copia digitale rende meno di una copia cartacea (oggi nemmeno contabilizzata, domani contabilizzata come una frazione di readership di una copia cartacea).
Oltre alla pubblicità esattamente identica a quella del giornale, a volte le copie digitali sono sponsorizzate, ovvero c’è uno sponsor aggiuntivo che si fa carico del costo complessivo al fine di poterle regalare agli utenti.
Infine, come ultima osservazione, c’e’ anche il fatto che per qualche motivo che a me appare francamente incomprensibile, gli inserzionisti, in linea di massima, prediligono mettere le loro inserzioni sul giornale “vero”, quello di carta, e non online. Detto in altri termini, un lettore digitale, sia esso online o copia digitale, “vale” meno di un utente cartaceo.
2) le copie
Un editore dichiara all’ADS il numero di copie che diffonde e questo e’ il dato che viene verificato e certificato.
Le copie diffuse includono, ad oggi, quelle vendute in edicola, quelle in abbonamento e le “copie di sostegno” che sono quelle distribuite ad un prezzo oserei dire quasi nominale, a volte sponsorizzato, (ad esempio in molte scuole, per abituare alla lettura).
I resi sono le copie non vendute dalle edicole, il cui dato torna all’editore. La vendita perfetta è quella in cui l’edicola esaurisce le copie a disposizione soddisfando tutti i lettori. ovviamente ci sono variazioni ed esperti di distribuzione che cercano costantemente di minimizzare il reso massimizzando le copie vendute, seguendo andamenti settimanali e stagionalità (la gente va al mare o in montagna).
Le copie digitali sono vendute con formule disparate: alcune sono, come detto sopra, vendute ad uno “sponsor” che le regala agli utenti; altri usano un meccanismo a punti, altri a copia, altri solo ad abbonamento ed altri ancora (tendenza che sta imponendosi) regalano la copia digitale all’abbonato cartaceo (o viceversa). ovvero: l’abbonato ha il diritto di leggere il contenuto, a prescindere dal supporto.
Naturalmente questa cosa non è fattibile con la copia venduta in edicola: l’idea che uno va in edicola, compra il giornale e su esso trova un codice che gli consente di guardare anche la copia online, non puo’ funzionare in quanto i sistemi di stampa a rotativa, quei macchinoni infernali che sputano carta stampata con gradissima velocità , non sono in grado di personalizzare un codice differente per ogni copia.
3) i contributi
un giornale che sia organo di un partito politico riceve contributi specifici che incidono in modo abbastanza rilevante sui suoi ricavi.
Tutti gli altri quotidiani ricevono un contributo sotto forma di rimborso di spese postali o altro per un ammontare che incide per lo 0,qualcosa per cento dei ricavi complessivi.
III) QUALI SONO I COSTI DI UN GIORNALE
Per il discorso che voglio fare qui non considerero’ i costi degli investimenti infrastrutturali. Se hai comprato le rotative quelle le hai; te le trovi in ammortamento sotto l’EBITDA, magari ti penalizzano il risultato netto ma una volta che li hai pagati non intaccano piu’ il cash flow e pertanto, al limite, dato che non sono piu’ toccabili si possono considerare un sunk cost.
Ci sono poi dei costi operativi semi-variabili: quelli necessari a sostenere la produzione ovvero il pool di giornalisti, poligrafici e tutti gli strumenti e spese funzionali alla loro attività . Certamente sono quelli che da toccare sono più critici, in primo luogo perchè coinvologono direttamente la vita di alcune persone ma anche perchè possono, con erosioni successive, andare a toccare la qualità e tipologia del prodotto realizzato.
Infine ci sono i costi correlati all’andamento delle vendite. (costi del venduto e altro)
La prima cosa da osservare è il costo della carta: maggiore la foliazione, maggiori i costi.
Le copie distribuite in edicola hanno un costo logistico di distribuzione ed un costo, chiamato aggio, che è il margine che rimane all’edicolante. questo aggio esiste anche per quegli editori che domiciliano gli abbonamenti presso l’edicola (come fa il Sole), per compensare il funzionamento della logistica postale che non consente agli abbonati di ricevere il quotidiano se non in tarda mattinata.
Alcuni editori per rendersi piu’ attraenti per i lettori usano, in poche città , anche servizi postali alternativi che consegnano in prima mattinata, a costi decisamente elevati.
Talvolta ci sono costi per gli inserti, per la cellophanatura, ecc.
Per le copie digitali, i costi sono in larga misura quelli per la transazione della carta di credito (quindi minimi) per ciò che viene fruito su PC. Per ciò che viene fruito su tablet, la quasi totalità del mercato delle copie vendute su tablet avviene su iPad ed apple, come noto, esige una gabella del 30% del prezzo di vendita (e’ arrivata anche ad esigerlo sul costo dell’abbonamento cartaceo, per editori che volevano regalare la copia digitale ai propri abbonati).
Per avere una foglia di fico per l’antitrust, Apple consente di acquistare contenuti anche pagandoli su un portale differente dall’apple store (e quindi, per l’editore, con basso costo di transazione), pero’ richiede che lo stesso prezzo sia presente anche nell’apple store per il quale esige il 30% di gabella. Ovviamente la user experience integrata fa si che i clienti prediligano questa soluzione e gli editori ci rimettono il 30% dei ricavi.
IV) L’IVA
Per quasi tutte le attività l’IVA è un dettaglio, in quanto omogenea rispetto alle varie nature del prodotto/servizio offerto, ma non cosi’ nell’editoria.
Per i giornali l’IVA e’ al 4% assolta dall’editore (e, in virtù di alcuni complessi meccanismi di crediti fiscali, l’impatto e’ ulteriormente ridotto), mentre per le versioni digitali l’IVA e’ al 20%.
Dato che il prezzo esposto al cliente è sempre inclusivo di IVA, ne consegue che per le attività digitali lo stato si prende poco meno del 20% in più rispetto alla carta
V) LA DEMOGRAFIA
Non si puo’ evitare una considerazione demografica: come sappiamo bene XXX, i “diversamente giovani” sono molti di piu’ degli altri ed hanno, rispetto a loro, una maggiore propensione a leggere il bundle di notizie “quotidiano” (pdf). in particolare questo pubblico manifesta alta fedeltà verso la testata, comprando sempre gli stessi giornali.
Online la maggioranza delle visite alla maggioranza delle testate non avviene perchè l’utente inserisce direttamente il loro indirizzo nella barra degli indirizzi o con un segnalibro; arrivano da motori di ricerca e social network, denotando quindi una fedeltà inferiore (ed anche la fine del “bundle” di articoli XXX)
VI) LA BOTTOM LINE
Possiamo sintetizzare che esistono tre tipi di clienti: quelli della carta, quelli del sito e quelli della versione digitale che beneficiano del “trascinamento” della pubblicità dalla carta al digitale.
Per rispondere al titolo del post, dobbiamo capire quale è il margine di contribuzione di ciascuno di essi, ovvero la loro capacità di contribuire a coprire i costi fissi (gli impianti) ed i costi semi-fissi.
Per la carta, abbiamo visto, ci sono
- incentivi (anche se inferiori alle leggende metropolitane),
- iva molto bassa,
- readership per copia alta,
- prezzi maggiori della pubblicità ,
- target più ampio
- fedeltà al bundle “testata”
Per le versioni digitali ci sono
- iva alta,
- 0 readership per copia (sarà 1)
- prezzi della pubblicità bassi
- fee elevato di intermediazione di apple (sui tab)
- target più ristetto
e, per i siti web,
- prezzi della pubblicità bassi
- target più ristretto
- minima fedeltà al bundle “testata”
Tutte queste cose si possono modellare in un semplice conto economico che ci indica il margine di contribuzione delle tre categorie.
Tutte le testate in lingua inglese si sono lanciate ad aggredire un mercato planetario anzichè il loro tradizionale mercato locale. Alcune di esse hanno pubblicato dei numeri e al cosa che si riscontra è che, nonostante il target amplissimo, il più ampio possibile, e anche nonostante operazioni di marketing di successo, queste testate online hanno dei ritorni economici molto inferiori a quelli delle loro versioni cartacee.
Come diceva Jeff Zucker, si passa da dollari analogici a pennies digitali.
Senza svelare quindi alcun dato riservato (che poi è diverso per ogni editore), facciamo un ragionamento molto spannometrico su ordini di grandezza. Se quello che dice Zucker è vero, con i siti web, per sostenere i costi fissi e semi-variabili abbiamo bisogno di una audience un ordine di grandezza più ampia.
Quindi, la risposta sintetica alla domanda è proprio “no”.
VII) L’EVOLUZIONE
“Il futuro è già qui, solo che non è distribuito in modo uniforme”, una bellissima massima di Gibson. A complicare la situazione c’è appunto il fatto che la situazione non è statica ma dinamica e non bianca e nera ma con un continuo di sfumature di grigio.
Chi ha una struttura di costi fatta tempo fa per sostenere il lucrativo business della carta, in una evoluzione “all digital” è svantaggiato rispetto a chi nasce con una struttura di costi più leggera; la sua scommessa è spostare la sua massa di clienti da un mondo all’altro mentre ricostruisce dall’interno la sua struttura per essere sostenibile andando avanti.
Non è ovviamente tutto fosco.
Se qualcuno vi dicesse “c’e’ un business in cui
- il cliente è intermediato,
- non si hanno dati di vendita precisi se non dopo molto tempo dopo,
- non si sa nulla dei clienti,
- il rapporto con il cliente avviene a intervalli fissi,
- i servizi devono essere venduti a pacchetto
oppure un business in cui
- il cliente è diretto
- si hanno dati e informazioni in tempo reale
- si conoscono gli interessi dei clienti
- il rapporto è continuo
- si può vendere al cliente per ogni livello di importo
- si può dare al cliente esattamente ciò che gli serve quando gli serve
Voi, in quale business preferireste essere ?”
La tendenza complessiva del mercato, per la tradizionale editoria, è discendente per il semplice fatto che siamo grossomodo ad un figlio per donna.
Ma le evoluzioni fornite dalla tecnologia possono consentirci di immaginare un futuro diverso dai vincoli che abbiamo adesso, che ci consentano di monetizzare ogni volta che forniamo qualcosa al cliente degno della sua attenzione. (quando un cliente manda un SMS ad una radio per partecipare a una trasmissione sta manifestando la sua disponibilità a pagare, solo che il pagamento è diretto ad altri..)
Vediamo oggi e andando avanti vedremo sempre più iniziative tese a ridurre gli svantaggi di cui sopra come ad esempio, micropagamenti con meccanismi per spostare il focus verso abbonamenti, iniziative per fidelizzare gli utenti, per moltiplicare le occasioni di contatto, per ridurre i costi di distribuzione, ecc.
(stanno nascendo nel mondo, fatte a livello di sistema da gruppi di editori, edicole basate su HTML5 e su carta di credito per acquistare contenuti, in modo da sfuggire al morso della mela)
Il tutto in un conflitto interno tra tutela del passato e promozione del futuro; per estremizzare, dubito che vedremo l’IVA sulla carta passare al 20% e quella sul digitale diventare assolta dall’editore…
VIII) CONCLUSIONE
Assistiamo ad una evoluzione del business dell’editore.
Dicevo all’inizio che “giornale” e “quotidiano” sono parole che nel digitale non hanno più cittadinanza.
Anche la parola “editore” sta cambiando significato; il ruolo tradizionale di produrre e/o aggregare contenuti con una redazione, impacchettarli e distribuirli venendo pagati dal cliente e dalla pubblicità , è destinato ad essere abbastanza presto un ricordo legato a tecnologie passate.
Propongo una nuova definizione: Editore è colui che monetizza l’attenzione del cliente. (nel massimo numero di modi e occasioni possibili)