Un gran  numero di discussioni si sono spostate verso Facebook o Twitter e il dibattito che un tempo si sviluppava nei commenti sotto i post oggi è polverizzato ‘’dentro piattaforme differenti, difficili da tracciare e spesso incapaci per tali ragioni di aggiungere un valore complessivo ai post stessi’’ – Ma se i blog sono ‘’morti’’ il blogging fa ormai parte integrante del modo con cui leggiamo gli avvenimenti a livello globale, come la primavera araba
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‘’Il mondo dei blog è come una vecchia scatola impolverata. Io dentro al mio reader, con grande stupore ho trovato per alcuni blogger, che un tempo sputavano decine di post al giorno, appena 4 o 5 aggiornamenti in 5 mesi. I guru sono rimasti, molti hanno la giubba rossa, altri hanno ormai una famiglia e si sentono di meno. Hanno scritto libri e partecipato alle trasmissioni tv, ma il loro ciclo pare un po’ lì lì per finire. Blogger con il riportino insomma’’.
Andrea Toso ha descritto così qualche giorno fa la parabola che la blogosfera starebbe attraversando. E su cui in questi giorni è in corso nella Rete, non solo in Italia, un certo dibattito. Il tema è quello di una ennesima, possibile estinzione, quella del blog, che è stato ripreso ora da Luca Conti su Pandemia, con una citazione del post ‘’I blog sono morti, lunga vita al blogging’’, di Charlie Beckett, direttore dei Polis.
La citazione di Toso è di Massimo Mantellini, che sdrammatizza naturalmente, ricordando come il tema della fine dei blog sia vecchio quasi come i blog stessi. Ma aggiungendo che oggi, evidentemente, esso ‘’ha alcuni argomenti a proprio vantaggio davvero difficili da controbattere, il più importante dei quali è quello dello spostamento di un numero enorme di discussioni verso facebook (ed in misura minore verso altri social network come Twitter o Friendfeed). Del resto se avere un blog qualche anno fa significava sostanzialmente dimostrare una presenza di rete, oggi tale attitudine, lungi dall’essersi esaurita, riguarda un numero sempre maggiore di persone ma si è spostata verso differenti architetture’’.
Un problema, secondo Mantellini, è l’ assottigliarsi del dibattito che un tempo si sviluppava sotto i post e che invece oggi è polverizzato ‘’dentro piattaforme differenti, difficili da tracciare e spesso incapaci per tali ragioni di aggiungere un valore complessivo ai post stessi’’.
Aggiunge Mantellini: ‘’In termini di “conservazione del senso†una simile evoluzione verso le reti sociali ha fatto grandi danni. L’autore perde buona parte del controllo delle discussioni a margine dei suoi scritti (e questo non e’ necessariamente una cattiva notizia) ma svapora al contempo ogni forma di archiviazione del pensiero collettivo: le parole stesse di chi commenta perdono spessore, il tono e l’attenzione di commenti e concetti che affidiamo alla “statusfera†subisce una inevitabile minimizzazione visto che il luogo del cazzeggio e quello della critica ragionata si uniscono e si confondono’’.
Su Nazione Indiana, in un post dal titolo ‘Morte del blog?’, Jan Reister segnalava però anche alcuni dati che testimoniano invece una leggera costante crescita dei lettori e che dipenderebbero da una cosa semplice: ‘’un blog – osserva – è un fantastico sistema editoriale per pubblicare agilmente ed a basso costo. Un progetto culturale pubblicato in semplice sequenza temporale, senza i vincoli di un processo editoriale tradizionale e senza la preoccupazioni di dover soddisfare complesse architetture delle informazioni, permette di concentrarsi sul progetto e produrre cultura (o qualsiasi cosa sia quel che c’è qui) con continuità nel tempo. Questo vale per Manteblog, Nazione Indiana, Carmilla e tanti altri’’.
‘’I blog sono morti, lunga vita al blogging’’ è il titolo che Charlie Beckett – direttore di Polis, un interessante blog inglese dedicato ai rapporti fra giornalismo e società – dà a una riflessione sull’ argomento.
La dimensione classica del blog può essere superata – sostiene Beckett, che con Conti ha partecipato a Perugia a uno degli appuntamenti del Festival internazionale di giornalismo –  ma il blogging è vivo e vegeto, anche se è in una fase di crisi creativa.
I motivi di questa transizione, secondo Beckett, sono vari. Fra gli altri:
– Twitter ha spostato molti blogger dalla forma-ampia alla delizia dei 140 caratteri;– Ci sono molti più semi-professionisti. Quando ho avviato questo blog cinque anni fa ero un innovatore solitario. Ora ogni istituto o dipartimento universitario ha il suo blog (e i suoi feed Twitter e la sua pagina Facebook).– I media mainstream ormai hanno integrato i blog. Giornalisti professionisti hanno i loro blog ‘personali’– Sul piano pratico, molte persone sono stufe di fare tutto quello sforzo con una piccola ricompensa.
– Una offerta in surplus. C’ è una tale quantità di commenti professionali e personali in giro, su forum indipendenti come Mumsnet o Facebook, che l’ opinione ora è talmente così poco costosa che ha perso il suo valore sul mercato del dibattito pubblico. Le nuove idee e i nuovi avvenimenti improvvisamente valgono di più dei punti di vista.
In sintesi – commenta Conti -, ‘’l’ecosistema dell’informazione (e della comunicazione, aggiungo io) evolve come è naturale che sia. Twitter si è inserito ed è efficace sui contenuti brevi. Ci sono più blog semiprofessionali e molti più blog e blogger all’interno dei grandi media.
Basta questo per chiudere il dibattito e condividere che i blog hanno ancora un ruolo importante, ma non sono più soli nel supportare la voglia di esprimerci, comunicare, informarci?’’.
Beckett sembra d’ accordo:
A livello internazionale il blogging fa ormai parte integrante del modo con cui noi comprendiamo gli avvenimenti a livello globale. Abbiamo seguito intensamente la cosiddetta primavera araba attraverso il lavoro di diversi blogger nella regione così come attraverso Global Voices. E molto del lavoro giornalistico fatto da costoro è finito nei media mainstream.
Quindi,
se l’ idea del blog classico può essere in declino, l’ idea del blogging ha ancora un futuro smagliante.
Ecco.
Forse – sostiene Alessio Jacona – quello che oggi sta davvero morendo è il “blogger†che era in molti di noi incalzato dal cambiamento, dalla crescita e dell’evoluzione personale che lo stesso “fare blogging†ha determinato almeno in parte.
Insomma, è morto il blog, viva il blog!