Lettera aperta di tre componenti del gruppo di Lsdi – Vittorio Pasteris, Pino Rea e Marco Renzi – ai delegati del 26° Congresso della Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti italiani, che si apre martedì a Bergamo – La sensazione di fragilità e di incertezza che domina la scena dell’ editoria digitale in Italia acuisce le differenze di ‘’valore’’ che continuano a restare in piedi all’ interno della stessa professione giornalistica e impedisce una sperimentazione meno timida e più profonda delle potenzialità che l’ online dovrebbe portare con sé – Una ‘’rivoluzione culturale’’ – Il problema della formazione – Una rappresentanza sindacale specifica del giornalismo online?
——
IL SINDACATO DEI ‘GIORNALISMI’
E LA SPECIFICITA’ DIGITALE
(Lettera aperta ai delegati al 26/o Congresso della Fnsi – Bergamo, 11-14 gennaio 2011)
La specificità del digitale
1)Dal punto di vista industriale una delle principali specificità dell’ informazione digitale è il ”valore” diverso dei messaggi diffusi. Per ora è una specificità di segno negativo, determinata dalla complessiva debolezza dell’ editoria digitale e dall’ incertezza dei capitali che dovrebbero esservi investiti. Nel nostro paese – se si escludono pochissime eccezioni – , sia nel caso delle grandi redazioni che in quello del publishing diffuso, self e semi-imprenditoriale, si continua a respirare un’ aria di estrema fragilità e di forte incertezza legata anche ad una amnesia degli organi deputati che con grave ritardo si stanno accorgendo delle potenzialità del digitale.
Un senso diffuso che crea una vera e propria barriera psicologica, una sorta di ‘’muro’’ nella considerazione di valore anche all’ interno della stessa professione giornalistica. E finisce per impedire una sperimentazione meno timida e più profonda delle potenzialità che l’ online dovrebbe portare con sé e che da tempo vengono profetizzate.
2) C’ è poi una specificità ‘’strutturale’’ delle forme di produzione dell’ informazione online, con la nascita di figure intermedie e ibride, per esempio gli addetti al filtraggio dei contenuti esterni, gli ‘ottimizzatori’ della SEO, gli addetti all’ aggregazione o alla ‘curation’, ecc., da un lato. E, dall’ altro, con la sovrapposizione sempre più marcata di funzioni giornalistiche e imprenditoriali.
3) E c’ è poi una specificità più ampia, caratteristica del nuovo ecosistema informativo che le tecnologie hanno innescato. I meccanismi del nuovo non sono la pura e semplice estensione di quelli del giornalismo tradizionale, ma l’ irruzione di nuovi protagonisti e quindi la nascita di nuove interazioni fra chi fa giornalismo e chi legge: il giornalismo partecipativo ne è un esempio illuminante, se non lo si legge in maniera riduttiva come semplice aumento delle fonti.
In realtà le nuove fonti richiedono nuovi modi di produzione e nuovi processi di legittimazione: perché la legittimazione alla fine non te la dà il pezzo di carta, ma il processo di produzione in  cui sei inserito e la formazione continua e specifica che ricevi…..
Il valore e la professione
In una ricerca realizzata da LSDI nel 2008 sui giornalisti digitali italiani (Lsdi,https://www.lsdi.it/2008/10/15/giornalisti-online-un-primo-identikit/) si disegna l’identikit di una figura professionale di giornalista digitale chiaramente definita anche se in forte divenire, con un’ età media di 37 anni e che da oltre sei anni lavora per testate digitali. Prevalentemente in redazione, secondo modalità di lavoro “tradizionali” (56,76%) e solo in seconda in telelavoro (40,54%). Prevale largamente il lavoro al desk (78,38%), mentre solo il 16,22% lavora in esterno. Nei siti online “nazionali†o diretta emanazione di testate tradizionali prevalgono i giornalisti professionisti (57,14%), mentre nelle testate nate direttamente per il web dominano i giornalisti pubblicisti e le figure non iscritte all’Ordine (assieme toccano quota 85,71%).
Oltre che sul piano professionale il peso della specificità del digitale a livello industriale viene ribadito continuamente dalle ricerche econometriche che in Usa vengono sfornate a ripetizione.
Per esempio, un dato di una recentissima ricerca della Morgan Stanley (Lsdi, https://www.lsdi.it/2010/11/20/in-soli-cinque-paesi-il-46-degli-internauti-di-tutto-il-mondo/) è molto esplicito a questo proposito: c’ è un gap vertiginoso fra il tempo dedicato all’ online e gli investimenti pubblicitari nel settore. Quelli di Morgan Stanley calcolano in 50 miliardi di dollari l’ orizzonte che potrebbe aprirsi per l’ editoria digitale se la pubblicità rispettasse il criterio della quantità di tempo speso davanti ai monitor. Una ‘’strepitosa occasione’, la definisce la ricerca. Ma perché continua ad esistere quel gap? Perché la carta stampata e la tv attirano più soldi di quanto tempo fanno consumare?
Perché la qualità dell’ attenzione viene ritenuta diversa, e per ora è concretamente diversa, visto che ha una ”resa” nettamente inferiore. Qualche settimana fa Sally Dickerson, direttore generale di Brand Science, ha presentato una nuova ricerca econometrica secondo cui la stampa genera 1,47 sterline di ricavi per ogni sterlina investita sulla pubblicità di prodotti di largo consumo (FMCG), mentre la pubblicità ‘ambientale’ ne genera 1,09, la radio ‘produce’ 89 pence, la tv 80 e l’ online solo 66 pence. (vedi http://www.brandrepublic.com/go/media/article/1040965/print-efficient-medium-fmcg-advertisers/ ).
Ecco. In altri paesi, alcuni esperimenti (vedi HuffPost e Rue89 come testate native, o la poderosa sperimentazione di NYT e Guardian, per la stampa mainstream) fanno ben sperare che la base economica del settore riesca a crescere ai livelli di quella dell’ editoria cartacea. Il tabù del gratuito sulla Rete continuerà a pesare probabilmente per vari anni, ma è in corso un’ ampia discussione/sperimentazione su altri canali di ricavi delle testate online (tipo vendita di servizi, di merci, di libri, organizzazione di eventi, ecc.).
Ma in Italia la situazione è ancora parecchio arretrata, anche se c’ è qualche esperimento coraggioso, come ilPost, Lettera 43 e – fra poco – Linkiesta, che sfidano i problemi di sostenibilità del settore.
Un altro problema è che il giornalismo digitale in Italia non ha ancora raggiunto una massa critica evidente. E non è neanche chiaro se si arriverà da noi a una integrazione generalizzata delle redazioni (carta, online, video, ecc.), con una multimedialità intelligente e non ‘’schiavistica’’ o residuale, oppure se le redazioni per le diverse piattaforme resteranno autonome anche se comunicanti.
Infine la situazione è complicata dal fatto che mentre altrove c’ è solo il ‘’mercato’’ e la contrattazione sindacale, da noi c’ è anche l’ Ordine professionale. Spesso non è giornalista chi fa il giornalista ed è giornalista chi non fa il giornalista. E così via.
Un esempio
Un commento ad un articolo di Lsdi (https://www.lsdi.it/2010/08/02/giornalisti-digitali-vendersi-per-50-centesimi/) dal titolo ‘’Giornalisti digitali: vendersi per 50 centesimi?’’ raccontava:
“Io sono uno dei fortunati in questo mondo: ho cominciato come blogger per un grande network italiano (3-4 euro a post, sui 10 euro giornalieri) e poi, dopo pochi mesi, sono stato inglobato nello staff. E ora ho uno stipendio diciamo normale. La mia attività è prettamente di redazione: correggo contenuti altrui, decido cosa pubblicare e gestisco le attività di circa 50 collaboratori. Premetto che il nostro network non si è mai permesso di offrire 0,30 centesimi a post (è davvero vergognoso), ma quel che manca, a mio avviso, è la qualità . Molti articolisti conoscono a stento le regole base dell’italiano e, spesso, copiano lettera per lettera post altrui. Credo che, di conseguenza, bisognerebbe evitare di far diventare “giornalista Web†chiunque disponga di una tastiera, ma ridurre il numero dei collaboratori – mantenendo solo quelli davvero capaci – consentendo loro guadagni dignitosiâ€
Ecco. Il versante dei “non giornalisti†rappresenta una parte considerevole, la più numerosa, degli operatori dell’ informazione sulla rete.
Persone non contrattualizzate, non inquadrate, non opportunamente formate, ma che ogni giorno vomitano tonnellate di megabyte di comunicati e post e video on line. Persone che, come fa notare lo sconosciuto autore del commento svolgono, come lui medesimo afferma, attività giornalistica pesante (desk, impaginazione, titolazione, cucina di pezzi altrui), senza la preparazione necessaria, e, soprattutto, senza senza rendersene neanche troppo conto.
Un altro esempio
Un altro commento a quello stesso articolo. E’ Sonia che scrive:
Sono circa 4 anni che cerco di lavorare nell’ambito del web content writing – non mi permetto nemmeno più di chiarmarlo giornalismo online – e vivere di questo lavoro è praticamente impossibile.
Quando ti va bene riesci ad ottenere 5 euro ad articolo. Del resto ho lavorato anche per un quotidiano cartaceo, una testa locale ma molto affermata. Risultato 60€ mensili, se mi pubblicavano. Non mi ci pagavo l’affitto, ma voi mettere aver il tesserino da pubblicista in tasca dopo 2 anni di fame? Beh io ho rinunciato.
Fnsi, rappresentanza, contrattazione
Guardando dall’esterno la sensazione è che nella Fnsi ci sia in questo momento, in generale, una certa riluttanza ad aprire un altro fronte specifico, come è avvenuto con fatica per il lavoro autonomo.
E’ comprensibile che ci siano delle riserve, soprattutto dopo l’ impegno per l’ abolizione dell’ allegato N del contratto nazionale di lavoro giornalistico. Ma la realtà chiarisce che, almeno per ora, solo alcune, poche, strutture – legate a grandi gruppi, prevalentemente editoriali, o espressione delle testate tradizionali – possono sostenere dei costi del lavoro frutto di un antico ecosistema editoriale dominato dai grandi quotidiani e dall’ emittenza nazionale.
Questo quadro e i risultati delle prime indagini compiute due anni fa da Lsdi e di quelle più recenti curate per ”Giornalisti digitali” (sempre di Lsdi), ci sembrano confermare l’ esigenza di un progetto di rappresentanza specifica del settore.
Il sindacato non può pensare di aver risolto il problema cancellando l’ allegato N e auspicando che il settore dell’ editoria online raggiunga i livelli di profittabilità della carta o della grande emittenza (ma questo avverrà mai?). Lasciando che nell’ editoria alta le cose se le vedano i Cdr (Ma quei comitati di redazione che considerano ‘’cinesi’’ e paria i colleghi dei dorsi locali del giornale e impediscono loro di scrivere sul fascicolo nazionale? Oppure che protestano perché il direttore ha tolto gli autisti ai grandi inviati?) e che nei piani bassi si consumino livelli di sfruttamento e di autosfruttamento tali che quelli dei precari ”normali” da 3 euro lordi a pezzo sembrano quasi un paradiso! L’editoria digitale va affrontata come una potenzialità possibile per i giovani e per quelli non più giovani che vogliono o devono reinventarsi un lavoro.
E allora, come far entrare tutti questi nuovi giornalisti nel perimetro della contrattazione Fnsi? Ma, soprattutto, la Fnsi lo vuole davvero? La Federazione vuole continuare nella linea di ‘tutti i giornalismi’, della difesa e la valorizzazione del giornalismo (sia i giornalisti che i loro prodotti), oppure comincia a immaginare di poter chiudere qualche varco, tenendo conto – alla fin fine – che su 110.000 iscritti all’ Ordine solo 50.000 sono attivi e visibili?
Certo, se già è stato difficile superare l’ allegato N – che era nato sulla base proprio di quella percezione di forte fragilità di sistema (come era già stato per emittenti locali e piccoli periodici) – e pareggiare i redattori dell’ online a quelli della carta stampata e dell’ emittenza nazionale, è realistico pensare che il contratto Fnsi-Fieg possa essere lo strumento obbligatorio e unico per normare il lavoro giornalistico in tutte le testate dell’ editoria digitale? Anche nella microeditoria?
In attesa che migliorino sensibilmente i parametri economici smentendo la fragilità dell’ attuale modello editoriale dell’ online , quanti contratti Fnsi-Fieg si riuscirebbe a fare?
La Fnsi non si può girare dall’ altra parte ritenendo che sia bastato abolire ‘l’ allegato N dal contratto e pareggiare teoricamente i giornalisti digitali a quelli della carta/agenzia/Rai-Mediaset/ per risolvere il problema: ci sarà una parte di sistema industriale online che va in quella direzione (anche attraverso l’ integrazione fra le redazioni e i compiti, ecc.)/ e che punterà ad inglobare e a imporre forza economica (perché vorrà fare l’ informazione online come dice lei) ma ci sarà un’ area vastissima di industria giornalistica polverizzata in cui spesso i giornalisti non ci sono, oppure quelli che fanno lavori giornalistici non sono giornalisti.
Come difendiamo questo giornalismo? Con una ”rivoluzione” mentale e culturale, che prima di tutto accetti la specificità e che su quella base costruisca pezzo a pezzo un quadro di generalità (contratto generale uguale agli altri, ma specificità graduale dei trattamenti economici?).
Certo qualcuno si opporrà sottolineando i rischi di una linea del genere: rischi di depotenziare anche il contratto Fieg-Fnsi, provocando un ”movimento” di piccoli editori, piccole strutture finte, ecc., che reclamano anche la loro specificità – e quindi degli alleggerimenti contrattuali -. Ma la situazione è questa. Il contratto Aer.Anti-Corallo non ha avuto affatto questo effetto, ad esempio. E non si può restare paralizzati.
D’ altra parte è la stessa linea ipotizzata con estrema nettezza dal documento di Autonomia e Solidarietà presentato in occasione dell’ ultima assemblea di Fiuggi (metà novembre):
”L’ impianto della contrattualistica dei giornalisti dovrà essere oggetto di ripensamento: serve un modello che riaggreghi sulla base delle specificità professionali. Se vogliamo essere il sindacato dei ‘giornalismi’, dobbiamo prendere atto che il mestiere ha subito radicali trasformazioni che richiedono risposte contrattuali diversificate. Si può pensare a un contratto nazionale che fa da quadro generale, ad una contrattualistica integrativa di comparto, e ad eventuali accordi aziendali legati alle specificità produttive’’.
Il fenomeno del digitale come una opportunità e la risorsa della formazione
Ma c’ è un altro importante orizzonte che questo ribollire impetuoso del mondo digitale apre anche al sindacato, quello della formazione.
Il fenomeno internet, e la possibilità che la rete fornisce a tutti di poter manifestare liberamente la propria opinione, non va confusa con la necessità di fare informazione, anche in rete, in modo professionale, e quindi attenendosi scrupolosamente a precise regole deontologiche.
Quando ad esempio si diffondono informazioni false per generare confusione o, peggio ancora, fuorviare l’ utenza attribuendo etichette fantasiose o peggio, offensive, ad un organo di informazione moderno e attuale come Wikileaks, spacciandolo per altro, o demonizzandolo; è evidente la volontà di alterare la realtà a beneficio di pochi gruppi di potere, non certo di fare corretta informazione per tutti.
Se la professione è in crisi, è anche perché gli editori non investono sul giornalismo, limitandosi a tagliare sugli organici e considerando il digitale non una possibile risorsa ma una attività che ‘’bisogna’’ fare perché la fanno gli altri’’, senza fantasia, continuando a guardare alle redazioni online come a dei piccoli ghetti. Fior di colleghi che lavorano nell’on line per i più grandi editori italiani sovente non possono neanche firmare i pezzi prodotti, altre volte si vedono sottrarre dai colleghi “di carta†le notizie, o ancora peggio debbono ricorrere al tribunale per vedere riconosciuto il proprio status lavorativo.
I nuovi media sono il futuro, e l’editoria e il giornalismo, debbono, per cercare di superare i venti di crisi, avviare un processo di riqualificazione e aggiornamento, funzionale alle rinnovate esigenze dei mezzi digitali.
Per riformare la professione in epoca digitale è necessario, fra le altre cose, fare in modo che essa si apra in modo realistico e coerente alle logiche del settore, alle nuove dinamiche professionali, fondamentali per battere le moderne strade telematiche. Con un pieno e consapevole accesso ai media digitali il numero degli addetti nel settore è probabilmente destinato a crescere, ed una volta tanto i nuovi professionisti non saranno destinati ad accrescere le già nutrite liste di disoccupazione, ma ad essere occupati in aziende operanti in rete e nell’indotto che si andrà a creare attorno all’informazione on line. Non dimentichiamoci che per fare correttamente il nostro mestiere in epoca digitale non basta saper scrivere!
Un pieno e consapevole accesso alla professione, nell’era digitale significa: realizzare un percorso di formazione garantito ed efficiente sia in sede scolastica, sia in sede di inserimento in azienda. Nessuna novità rispetto al mondo analogico! Ma significa anche, un’adeguata formazione per i nuovi addetti ai moderni strumenti per creare e diffondere le notizie. L’ipertesto, la produzione audio video, i linguaggi di realizzazione e gestione delle pagine web, le architetture della rete, le strategie di web-marketing, etc.etc
La formazione è anche il settore attraverso cui si può provare a riformulare in senso completo la figura del giornalista in epoca digitale, nel nostro Paese. Per poter fare informazione in modo corretto, anche, o meglio, soprattutto, nell’era “digitaleâ€, bisogna essere correttamente istruiti a farlo. Un macellaio non farà mai il farmacista, un imprenditore difficilmente potrà fare lo scienziato.
*************
Alcune proposte operative per un piano d’azione per il giornalismo digitale italiano; gli obiettivi
Valutare concretamente le opportunitÃ
- Il digitale è il futuro del settore ?
– Nel digitale possono trovare lavoro “vecchi†e “giovani†?
- Nel digitale possono esserci opportunità professionali e imprenditoriali per i giornalisti ?
Evidenziare i problemi del settore
– Scarsa visibilità dei colleghi giornalisti digitali
– Scarsa adesione dei giornalisti digitali a sindacato e ODG
– Mancato rispetto dei contratti e abusivato da parte di editori tradizionali e online
– Carenza di competenza e di formazione nei giornalisti tradizionali sui temi del digitale
– Necessità di adeguamenti contrattuali e normativi realistici e produttivi per il giornalismo in rete
– Limitati investimenti strategici da parte degli editori
– Necessità di adeguamento delle leggi sui reati a mezzo stampa ai tempi di Internet
– Impostazione di un quadro per la definizione legale e organizzativa di aziende in rete costituite da giornalisti
Strumenti conoscitivi utili
– Rifare e ampliare la ricerca di Lsdi per fotografare operativamente il settore
– Elaborare una tassonomia delle professioni che definisca delle aree giornalistiche o non giornalistiche
– Quantificare numericamente ed economicamente il mercato dei giornalisti e dell’editoria digitale
– Realizzare una serie di FAQ (organizzative, tecniche, legali) per i colleghi non nativi digitali da editare in un ebook
– Organizzare incontri con i Cdr dei maggiori quotidiani e delle testate online
– Proporre un gruppo – comitato che analizzi la normativa del giornalismo digitale e proponga proposte e migliorie.
—–
Firenze-Torino 7 gennaio 2011
Vittorio Pasteris
Pino Rea
Marco Renzi