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L’ Huffington Post torna sul banco degli imputati, ma l’ aggregazione non è plagio

Dare dei ladri a quelli dell’ HuffPo è come lamentarsi perché dopo l’ invenzione dell’ automobile non si trovano più dei buoni calessi – Piuttosto bisogna puntare ad aggiungere valore ai contenuti, più di quanto possa fare la creatura di Arianna Huffington, e gli editori dei quotidiani si devono convincere che bisogna cominciare ad aggiungere un po’ di link ai loro articoli, come consiglia Mathew Ingram su GigaOm
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L’  Huffington Post è continuamente accusato da altri media di essere impegnato in una sorta di “over-aggregation”: di prendere cioè articoli da quotidiani e altre testate senza una sufficiente attribuzione.  L’ ultima accusa viene da Miami, dove il sito locale dell’ HuffPo è stato denunciato per ‘’furto’’, per  aver utilizzato una serie di dettagli contenuti in due articoli del Miami Herald.

Queste accuse, ribatte però Mathew Ingram su gigaom.com, sono prive di senso per svariate ragioni: gli articoli dell’ HuffPo forniscono ampie attribuzioni alle fonti, hanno i link agli originali e soprattutto contengono anche informazioni ulteriori che quelli del quotidiano non avevano.

Comunque, a parte questo, le testate che si lamentano per questa ‘’iper-aggregazione’’ stanno dimenticando il modo con cui funziona attualmente l’  informazione giornalistica.

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Critics of  HuffPo news “theft” are missing the point
di Mathew Ingram

Il sito che ha cominciato a sbandierare di nuovo la bandiera del ‘’furto’’ – un blog che si chiama Random Pixels, e che fa capo a un fotogiornalista di Miami, Bill Cooke — ha speso un sacco di tempo a mettere all’ indice l’ Huffington Post perché non paga i blogger che forniscono contenuti al sito (un’ altra accusa che ricore spesso) per poi raccontare quello che gli sembra il modus operandi dell’ impero che Arianna Huffington ha creato e poi ha venduto ad Aol nel febbraio scorso per 315 milioni di dollari:

Ecco come funziona. Un giornale paga un reporter per scrivere un articolo. L’ articolo appare sul sito del giornale. L’ Huffington Post arriva e riscrive il pezzo – aggiungendo qualche elemento che l’ originale con aveva – e pubblica l’ articolo sul suo sito con il link alla storia originale.

In che consiste questa ‘’iper-aggregazione”?
Qual è il nocciolo di questa accusa di iperaggregazione che qualcuno –  compreso Marty Baron del Boston Globe –  ama descrivere come un ‘’furto’’ o almeno come un plagio? Nel caso specifico del Miami Herald è difficile intravederlo. La versione dell’ HuffPo (di un articolo che riguarda un grosso incidente stradale) riprende molti dei fatti descritti nell’ articolo originale, ma anche i brani che sarebbero stati oggetto di ‘’furto’’ attribuiscono ripetutamente quegli elementi all’ Herald, oltre a fornire vari link in maniera molto visibile alla storia originale. In più la versione dell’ HuffPo è sicuramente migliore di quella dell’ originale. Perché?

Per una cosa almeno, include dozzine di link e informazioni complementari sul codice della strada, incidenti analoghi e altre notizie che possono essere rilevanti e che l’ Herald non aveva.

Mentre l’ articolo dell’ Herald non conteneva nessun link, di nessun tipo.

Soluzione: l’ aggregatore aggiunga quanto più valore possibile

Il problema con questi tipi di accuse è che nessuno può dire con sicurezza che cosa è una iper-aggregazione e nemmeno se essa esiste. Se una redazione – anche di un altro quotidiano – cita fatti e include sia la fonte che il link, oltre ad eventuali ulteriori informazioni sull’ argomento in questione, tutto questo è offensivo?  La risposta è che non c’ è stata alcuna offesa se non quella fatta all’ orgoglio della testata originale, ed eventualmente alla sua concezione delle cose.

Se si accusa l’ Huffington Post di furto, la legge su questo tipo di comportamenti è piuttosto oscura: una sentenza giudiziaria che risale al 1918 e che coinvolgeva l’ Associated Press delineò quella che è poi stata definita come la “hot news” doctrine, che considera illecito appropriarsi di notizie di attualità a scopo di lucro. Ma successive sentenze hanno poi stabilito che chi faceva il tipo di aggregazione che fa l’ Huffington Post poteva sfuggire all’ accusa se includeva l’ attribuzione dei materiali alla fonte.

Ma a parte l’ aspetto giuridico, che è sempre diversi decenni più indietro rispetto all’ evoluzione delle tecnologie, resta il fatto che il tipo di aggregazione che fa l’ HuffPo è proprio il modo con cui vanno le cose oggi, e lamentarsene è come lamentarsi del fatto che da quando è stata inventata l’ automobile è veramente difficile trovare un buon calesse.

I contenuti verranno sempre più aggregati, e a questo punto  la sfida è aggiungere più valore di quanto facciano i siti dell’ Huffington Post. Gli editori come quello dell’ Herald si devono convincere a cominciare a mettere un po’ di link.

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