Il valore del lavoro di decostruzione (in ‘’atomi’’) e ricostruzione (in ‘’molecole’’ significative) dell’ enorme massa di informazioni prodotte compiuto da programmi sempre più sofisticati sfugge in gran parte ai media e va a finire nelle mani di aziende commerciali o finanziarie che sanno sfruttarne i risultati – Un articolo di Marc Mentre sulle riflessioni di Reginald Chua, ex redattore del Wall Street Journal e direttore del South China Mornig Post – ‘’Persone intelligenti dispiegano tecnologie sempre più potenti per analizzare e comprendere le parole che scriviamo e trasformarle in qualcosa di più comprensibile e valorizzabile grazie agli aggregatori; e noi, le persone che scrivono quelle parole, abbiamo la possibilità di scriverle in dei format più strutturati e più facilmente aggregabili. In questo modo le nostre parole avrebbe un valore maggiore e i nostri lettori vivrebbero meglio. Ma non lo facciamo’’
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Alcune aziende come Bloomberg, Thomson-Reuters, Dow Jones hanno realizzato dei programmi che ‘’aspirano’’ ogni tipo di informazione (notizie, commenti, tweet, ecc.) per analizzarle e determinare quello che il mercato ‘’sente’’ oppure ‘’dice’’.
Dow Jones ha compilato un vocabolario di circa 3700 parole che possono segnalare dei cambiamenti nel ‘’sentimento’’: i termini negativi includono parole come ‘’ingegnosità ’’, forza’’ o ‘’vincente’’; quelli negativi saranno, per esempio, ‘’litigioso’’, complice’’ e ‘’rischio’’. Il computer identifica di solito l’ oggetto di un articolo e poi analizza le parole che lo compongono. I programmi sono scritti per riconoscere il senso delle parole e delle frasi nel loro contesto, come una distinzione fra ‘’terribilmente’’, ‘’buono’’ e ‘’terribilmente buono’’.
Ma i risultati di questi programmi, che aggregano dei dati destrutturati, vengono utulizzati da altre aziende come, ad esempio, Alpha Equity Management, una società commerciale. Le informazioni così raccolte, spiega un gestore di portafogli, vengono iniettate direttamente nel sistemadi trading del Fondo e permettono così di aumentarne la redditività .
E’ quello che Reginald Chua, ex giornalista del Wall Street Journal ed ora direttore del South China Morning Post e titolare in un interessante blog sull’ evoluzione del giornalismo (Re)Structuring Journalism – , chiama informazione molecolare, Molecules of News.
Chua – come racconta Marc Mentre in MediaTrend.com – lamenta che quello che fanno le aziende con l’ informazione, destrutturandola e ricostruendola secondo i propri interessi, sfugge invece proprio a chi le informazioni produce, i giornalisti, che non si rendono neanche conto di questi processi.
Non abbiamo bisogno soltanto di aggiustare il modello economico del giornalismo. Dobbiamo fare molto di più: dobbiamo esaminare la struttura di fondo di quello che facciamo e come lo facciamo. Senza dimenticare perché lo facciamo.
Per Chua – dice Mentre – i cambiamenti da introdurre nella produzione dell’ informazione  non si riassumono nel pubblicare dei video, utilizzare il crowdsourcing, mettere i link, bloggare… tutte cose diventate banali. Sono le azioni più di fondo che bisogna avviare. Per esempio, spiega Chua:
- molti lettori leggono i nostri articoli parecchio dopo la loro pubblicazione. Non abbiamo tenuto conto di questo fatto e non abbiamo adattato a questo scenario il nostro modo di fare giornalismo. Trattiamo l’ informazione come se pubblicassimo ancora solo dei giornali cartacei – con più edizioni.
- Tranne che in rare eccezioni, non utilizziamo realmente le nuove tecnologie digitali per ripensare la natura di quello che pubblichiamo. (…) Certo tweettiamo, usiamo FourSquare e geolocalizziamo i nostri articoli; mettiamo i link, produciamo dei diaporama, creiamo dei forum. Ma non abbiamo realmente riflettuto su che cosa è un articolo – questa struttura di base a cui dedichiamo la nostra attività quotidiana. Questo non significa che dobbiamo far ‘’esplodere’’ questa nozione. Almeno non completamente. (…) Ma dovremmo esaminare la struttura di quello che facciamo – che è stato costruito attornio alla vecchia tecnologia del telex, al fatto che riempiamo una pagina di parole, con un involucro quotidiano - e ripensarlo nell’ epoca della banda larga, di uno spazio di pubblicazione infinito e con dei lettori che non sono più incatenati alle nostre pagine di carta.
L’ idea di informazione molecolare è scattata sulla base di queste riflessioni, scaturite – come si diceva – dalla lettura di un articolo del New York Times, Computers that Trade on The News (Computer che trafficano con l’ informazione), in cui l’ autore, Graham Bowley, spiegava l’ utilizzo del trattamento di destrutturazione/ristrutturazione delle informazioni da parte di aziende tipo  l’ Alpha Management.
Per Reginald Chua – aggiunge Mentre – quella raccontata dal New York Times è la storia di una spoliazione e della incapacità da parte dei media di risalire lungo la catena del valore. Se una parte del valore viene sottratta da alcuni media (Bloomberg, Thomson-Reuters, ecc) tutto il resto, la gran parte, va a finire nelle mani di altre persone (…).
E questo mette in luce tutto quello che la nostra industria non capta come valore. C’ è del valore non solo nel creare degli atomi di informazione, ma anche delle molecole di informazione – che avranno sicuramente maggior valore.
Persone intelligenti mettono a punto tecnologie sempre più potenti per analizzare e comprendere le parole che scriviamo e trasformarle in qualcosa di più comprensibile e valorizzabile grazie agli aggregatori; e noi, le persone che scrivono quelle parole, abbiamo la possibilità di scriverle in dei format più strutturati e più facilmente aggregabili. In questo modo le nostre parole avrebbe un valore maggiore e i nostri lettori vivrebbero meglio.
Ma non lo facciamo.
Indubbiamente – conclude Mentre – le soluzioni non sono semplici, ma con tutta evidenza le riflessioni di Reginald Chua aprono delle strade per sfruttare meglio la massa di informazioni che i media accumulano piuttosto che accontentandosi di piazzare qualche link ‘’per sfruttare agli archivi’’.