Le prime notizie sul gioco sporco del domenicale britannico dell’ impero Murdoch sono venute da un giornale mainstream (la vicenda è stata svelata dai cronisti vecchio stile del Guardian) ma sono stati i social media e internet a farne uno scandalo di enormi proporzioni, tanto da indurre perfino gli inserzionisti ad abbandonare il giornale per salvare la faccia – Una analisi della Reuters
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La vicenda del News of the World è l’ ultimo esempio di come i social media possono agire come forti acceleratori delle crisi politiche, commenta Peter Apps, un giornalista che si occupa delle interazioni fra  politica, economia e mercati, in una analisi sulla Reuters dal titolo: ‘’ Press barons lose information monopoly in Twitter era’’.
Lo sviluppo di internet e soprattutto i social media – osserva Apps – stanno rivoluzionando le strutture di chi controlla l’ informazione e, per certi versi, anche le strutture del potere. Mantenere la segretezza sta diventando più difficile, mentre la diffusione di dati riservati in grandi quantità e la disseminazione di informazioni in tutto il mondo è sempre più facile – come abbiamo visto con la vicenda WikiLeaks..
Insomma, brutte notizie per i mogul dell’ Informazione come Murdoch.
“Quello a cui stiamo assistendo in tutti questi casi è un processo che si potrebbe definire di democratizzazione, un declino nel potere dei grandi ‘controllori’, come i governi o i direttori dei giornali’’ – sostiene Jonathan Wood, analista nel settore dei Control Risks.  – Si possono ottenere informazioni in enormi quantità e inviarle immediatamente intorno al mondo: ed è molto più difficile ora fermare questo processo’’.
Tutto questo – spiega Wood – renderà molto più difficile in futuro quella sorta di “gentleman’s agreement” fra i vertici dei media e gli altri poteri, per assicurare ad esempio la riservatezza per i familiari dei politici o il segreto sugli spostamenti del principe Harry in Afghanistan.
Dieci anni fa, un politico ben introdotto o un’ azienda interessata a evitare l’ uscita di qualche articolo avrebbero facilmente alzato il telefono di qualche direttore di quotidiani o telegiornai. Ora devono temere per quello che può uscire su Twitter, Facebook o Google, che è molto più difficile influenzare.