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Pubblicità, la macchina del riciclaggio e della ‘normalizzazione’

Esprit, un noto marchio di abbigliamento,  cerca di utilizzare la forza dirompente e i codici di comunicazione degli  Indignati e del movimento di Occupy per una campagna giocata sul tema dei desideri, ma, come spiega Culture Visuelle, non fa altro che un recupero freddo e levigato – E il tentativo di usare anche il discorso partecipativo finisce per ridurre l’ indignazione individuale e una vera rivolta collettiva in sorta di banale lotteria natalizia

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Ogni volta che nasce qualche nuovo movimento di massa che scuote il potere e, insieme a nuovi discorsi, porta anche nuovi stili di comunicazione, l’ apparato pubblicitario scatta nell’ operazione recupero.

Un sito molto attento all’ universo dell’ immagine come Culture Visuelle descrive un nuovo capitolo di questo processo di appropriazione dei codici della rivolta da parte del marketing e dell’ invenzione pubblicitaria e della loro ‘’normalizzazione’’ all’ interno del discorso commerciale. Si tratta di una campagna (Make Your Wish) di Esprit, noto marchio di abbigliamento, che si è richiamato al movimento degli indignati e di Occupy Wall Street. E l’ articolo di Culture Visuelle ha come titolo, appunto, Esprit de récupération.

L’ équipe del fotografo svizzero Yvan Rodic ha percorso in sei settimane sei diverse città – Berlino, Shanghai, Sydney, Los Angeles, New York e Londra – realizzando 60 foto e 18 videoclip in cui un modello improvvisato regge un cartello che esprime un desiderio in occasione delle feste di fine d’ anno:

L’ espressione visuale collettiva generata dal movimento Occupy Wall Streat – osserva Patrick Peccatte – ha probabilmente ispirato il progetto pubblicitario di Esprit.

Ma questa appropriazione commerciale è diventata totalmente levigata, asettica. Non contesta e non denuncia niente. Le persone che figurano in queste foto sono tutte giovani, belle, sorridenti. Le immagini danno una impressione di grande uniformità. I cartelli dovrebbero essere personalizzati ma sono scritti tutti in modo molto leggibile e regolare. Grafie impersonali, molto diverse da quelle che si potevano leggere o solo a stento intuire su We are the 99 percent.

Esprit ha aggiunto alla campagna anche un effetto crowdsourcing, chiedendo agli internauti  di partecipare formulando sul sito dei desideri. L’ azienda, a conclusione del concorso,  si impegna a selezionarne cinque e a realizzarli.

Se alcuni desideri generali e disinteressati formulati dai visitatori ricordano quelli della campagna pubblicitaria – commenta Peccatte -, la promessa di una realizzazione di cinque proposte spinge  piuttosto a esprimere delle scelte concretamente realizzabili – una casa, un lavoro, un nuovo guardaroba, ecc. Il gioco partecipativo viene quindi percepito come un concorso.

L’ effetto visuale di questo muro di aspirazioni e desideri è certo più elegante di quello del We are the 99 percent. Si è ben lontani quindi dalla ‘’potente opera collettiva’’ – per riprendere l’ espressione di André Gunthert – che costituisce l’ iniziativa dei militanti del movimento Occupy.

Così, questa appropriazione formale testimonia la capacità della pubblicità di riciclare l’ espressione di indignazione individuale e una vera rivolta collettiva in sorta di lotteria natalizia.

Il marketing virale in atto nel movimento politico diventa totalmente mercantile. Il recupero opportunista del dispositivo avviato dagli ‘’indignati’’ di Wall Street sfocia in un lavoro collettivo edulcorato e molto ben inquadrato.

Tra l’ altro, secondo i terms of use, il materiale pubblicato dai partecipanti diventa di fatto proprietà di Esprit che si riserva il diritto di utilizzarlo nei rodotti o contenuti derivati.

 

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