Site icon LSDI

Se 5 euro vi sembran pochi…
(la trascrizione completa /prima parte)

Qualche giorno fa avevamo annunciato la pubblicazione su Youtube della videoregistrazione completa di ”Se cinque euro vi sembrano pochi, per un futuro radiosissimo”, l’ incontro sul tema del precariato nel mondo dell’ editoria giornalistica tenutosi domenica 17 aprile in occasione del Festival del Giornalismo di Perugia nell’ ambito del Journalism Lab curato da Lsdi (la playlist dei 15 video, curati da Vittorio Pasteris con la collaborazione di Roberto Favini, è a questo indirizzo: http://bit.ly/midNMw ).

Ora pubblichiamo la trascrizione (ragionata e sintetica) degli interventi, a cura di Marco Renzi.

Ricordiamo che i temi dell’ incontro erano stati al centro anche di una serie di interventi che Lsdi ha pubblicato qui, qui e qui.

All’incontro, moderato da Roberto Zarriello (giornalista, autore di ‘’Penne Digitali 2.0’’)  partecipavano: Paola Caruso (giornalista precaria), Raffaella Cosentino (giornalista freelance), Francesca Ferrara (giornalista e blogger freelance), Cristiano Tassinari (giornalista, autore di ‘’Volevo solo fare il giornalista’’), Roberto Natale (presidente Federazione Nazionale della Stampa Italiana), Enzo Iacopino (presidente Ordine Nazionale dei Giornalisti).

Prima parte

Storie personali e professionali di precari, free lance, e giornalisti scomodi

Dopo l’ introduzione di Vittorio Pasteris e la presentazione dell’attività di Lsdi a cura di Marco Renzi,  il dibattito entra immediatamente nel vivo quando il moderatore Roberto Zarriello passa il microfono al primo ospite in scaletta: Cristiano Tassinari, che, invitato da Zarriello a prendere la parola per presentare il suo libro “Volevo fare solo il giornalista”, glissa elegantemente, ed entra a piedi uniti sulle scottanti questioni all’ordine del giorno:

‘’….una ricerca fatta in Italia tra i tanti collaboratori di quotidiani e non solo, – dice Tassinari – ha evidenziato come il prezzo medio di un articolo pagato ad un collaboratore free lance sia mediamente 5, e dico 5, euro! Se in Italia ci sono circa 90.000 giornalisti quelli famosi – continua Cristiano Tassinari – sono pochi, pochissimi. Io sono riuscito a trovare uno straccio di  contratto a più di 40 anni e dopo aver girato in lungo e in largo l’Italia e l’Europa. Vi voglio raccontare alcune piccole storie che mi sono accadute cercando di svolgere al meglio la mia professione. Io lavoro in una tv locale a Torino, mi hanno offerto di fare il testimonial per la pubblicità, mi davano 1.200 euro, per mezz’ora di riprese.  Non si può! Mi han detto all’Ordine: deontologia professionale. Mi hanno chiesto di  fare il doppiaggio per un documentario, mi davano 1.000 euro. Non si può! Mi hanno confermato all’Ordine: deontologia professionale! I responsabili del Co.recom del Piemonte, comitato regionale delle comunicazioni, mi hanno chiesto di presentare un convegno sul giornalismo,   mi davano 300 euro. Non si può! Hanno tuonato ancora dall’Ordine: deontologia professionale! Allora la mia domanda è: ci volete puri, duri, cristallini e trasparenti, ma morti di fame?’’

La domanda, tutt’altro che retorica di Cristiano Tassinari per il momento resta inevasa,  e il dibattito riprende con un nuovo intervento del moderatore Zarriello che serve si a smistare e ordinare gli interventi degli altri ospiti dell’evento,  ma che ci sembra doveroso riportare integralmente perchè  solleva una problematica molto precisa in tema di precarietà e sfruttamento nel mondo del giornalismo, dice Zarriello:

” Devo dirvi che il filo comune che lega tutte le esperienze che vi stiamo presentando  è  sicuramente    una grande passione e un grande amore per questo mestiere. Ma…..! Il dato concreto è che questo purtroppo non basta! Qualcuno dice deve emergere la qualità. Certamente! Ma devono soprattutto esserci le condizioni, le opportunità  affinchè si possa lavorare con dignità e professionalità >>

Prende la parola Francesca Ferrara, napoletana, giornalista e blogger free lance, 12 anni di lavoro alle spalle. Il curriculum di Francesca  assomiglia al percorso professionale della maggior parte  dei  “giovani” con il pallino del giornalismo. 24 mesi di collaborazioni e tantissimi pezzi pagati pochi euro,  per raccogliere la documentazione per diventare pubblicista,  e poi subito  alla ricerca di un editore che ti assuma, o alla peggio che ti assicuri il praticantato per poter avere accesso all’esame di Stato e diventare professionista.   << Oramai – dice Francesca – lo spauracchio del praticantato d’ufficio è così presente nelle redazioni che anche quelli con cui collaboro  e che mi pubblicano,  non mi chiedono i miei dati bancari.  Io ho quasi 37 anni – continua Francesca – e fino a tre anni fa c’era qualcuno, un collega con tanto di contratto, che si permetteva di chiamarmi “piccirella”, dall’alto del suo posto fisso. Questo non può e non deve succedere più. Una donna di 33 anni deve poter campare con i proventi del proprio lavoro, deve potersi fare una famiglia, deve potersi sentire orgogliosa di quello che fa. Per poter inserire nel mio curriculum determinate esperienze in redazioni diverse,  sono stata costretta a pagare di tasca mia corsi di formazione.

In realtà non ho acquistato l’accesso alla professione, bensì lo stage non retribuito presso il quotidiano o il settimanale. Io faccio parte – conclude Francesca Ferrara – del coordinamento dei giornalisti precari  campani, negli anni, in tutta Italia, sono nati numerosi coordinamenti come il nostro: Presidenti – rivolgendosi a Iacopino e Natale – se  il Paese intero si è riempito di coordinamenti di giornalisti precari,  credo sia perchè la Federazione e l’Ordine dei Giornalisti un buon lavoro non l’hanno fatto, c’è malcontento!”

La parola passa a Raffaella Cosentino, una delle giornaliste free lance più attive sul fronte della denuncia dello sfruttamento professionale. Dopo aver ringraziato gli organizzatori e aver premesso che il suo intervento al dibattito non sarà rivolto ai “pezzi grossi  del giornalismo” che conoscono bene la drammaticità della situazione in cui versa la professione,  ma al pubblico in sala che forse la conosce un poco meno,  dice:    <<   La situazione editoriale italiana in questo momento è una gigantesca macchina dello sfruttamento. I dati sono contenuti in  un e-book da me stessa realizzato,  che si intitola “4 per 5” pubblicato da terrelibere.org.

Io non sono qui per parlare di precariato ma di illegalità vera e propria in ambito giornalistico.

In Calabria ad esempio la situazione è così grave che non occorre essere un giornalista famoso per ricevere  minacce pesanti e subire intimidazioni dalla criminalità organizzata. Basta svolgere normalmente il proprio lavoro per dare fastidio.

Gli editori calabresi hanno creato un “cartello” per poter pagare gli articoli dei collaboratori 4 centesimi a riga.

Ma il fenomeno del mancato riconoscimento professionale  è diffuso ovunque e ad ogni livello.

Io stessa – prosegue Raffaella – ho seguito la vicenda di Rosarno in Calabria per il Manifesto,  e poi ho dovuto lottare non poco per essere pagata per il lavoro svolto.

Secondo loro, io non avevo preso accordi economici in precedenza.

Abbiamo testate che fanno battaglie ipocrite contro il precariato di tutti gli altri,  e poi non parlano di noi!

Il collaboratore – prosegue la Cosentino – è cambiato nel suo ruolo, una volta era l’ultima ruota del carro, adesso è l’ingranaggio, è la macchina, è lui che fa il giornale.

Il problema nostro – conclude Raffaella -  è che siamo isolati,  non riusciamo a risolvere il problema individuale come un problema collettivo, qualunque tema personale esponga un giornalista, crea un cortocircuito nel sistema dell’informazione.

Quando il giornalista   diventa lui stesso notizia, viene visto con  diffidenza dalla categoria  e si ritrova molto presto isolato. I coordinamenti fra colleghi nati dentro o fuori dal sindacato e/o dall’ordine,  servono a vincere questo isolamento che causa debolezza e anche omertà.

Paola Caruso è la quarta collega coinvolta nel dibattito. L’esempio di Paola precaria al Corriere della Sera, entrata in sciopero della fame per difendere il diritto al posto di lavoro, ha fatto balzare improvvisamente agli onori delle cronache il fenomeno del precariato anche nel “dorato” mondo del  giornalismo.

<< Collaboro con il Corriere della Sera da quasi 8 anni – esordisce Paola – la mia storia è semplice. Ho chiesto di essere assunta e mi è stato detto che il giornale era in stato di crisi  e non avrebbero assunto nessuno. Qualche giorno dopo ho visto una persona nuova prendere dimestichezza con il sistema editoriale del Corriere alla postazione di un collega che si era appena licenziato. Ho chiesto spiegazioni e nessuno me le ha date. Allora mi sono confrontata con i colleghi che mi hanno detto: “tu non sarai mai assunta”.

Mi sono detta che faccio? Accetto di essere pagata a pezzo a vita, soprattutto dopo aver visto che comunque qualcuno riesce a entrare? Ho deciso di  protestare e ho iniziato uno sciopero della fame, una protesta forte  per denunciare un’ingiustizia. Ho avvisato tutti i miei capi prima di intraprendere la protesta per e-mail.  Qualcuno mi ha chiamato prima dell’inizio della mia azione minacciandomi: “se inizi questa protesta non lavorerai mai più con noi!”

Ho rischiato sulla mia testa, ho messo in gioco la mia carriera, la mia salute. Speravo che la mia azione potesse essere l’inizio di un qualcosa di più grande. La fiamma per alimentare un fuoco. In realtà non è andata così.

L’unico modo per ottenere qualcosa – prosegue Paola – è quello di protestare. Io ho protestato e sono riuscita a conservare il posto. Mi terranno sempre come collaboratrice probabilmente, non importa. Avrò contratti annuali, niente tredicesima, ne quattordicesima, niente ferie pagate. Ok ci sto! Io sono bassa manovalanza, faccio quello che mi chiedono, faccio i pezzi scomodi che nessuno vuol fare, va benissimo.

Il problema non è quello che faccio o i pezzi che scrivo.  Io sono una collaboratrice e la mia figura professionale non è inquadrata da nessuna parte.

Ogni editore per ogni collaboratore fa un contratto diverso, quello che gli conviene di più.

Quello che vorrei sapere dal sindacato è: c’è la volontà di inquadrare all’interno del contratto nazionale della stampa la figura del collaboratore? Noi siamo una categoria.

I precari, in tutte le categorie, salvo forse la scuola, sono  coloro  che, prima vengono assunti con  un contrattino a tempo determinato, magari rinnovabile,   e poi scatta il tempo indeterminato. C’è un percorso anche nel precariato, prima i contratti non tanto buoni e poi l’assunzione.

Nel giornalismo non è così, i collaboratori che arrivano all’art.1 sono pochissimi, tutti gli altri rimangono collaboratori, e questa figura professionale non è tutelata da nessuno.

(segue)

Exit mobile version